Il progetto per il nuovo stadio di San Siro, l’operazione da 1,2 miliardi di euro destinata a rivoluzionare lo storico quartiere milanese, sta entrando, calcisticamente parlando, nell’ultimo quarto d’ora di gara. Ma non vuol dire che i dubbi intorno a questa opera miliardaria si siano dissolti, soprattutto quelli sul profilo finanziario dell’operazione e agli introiti del comune, decisamente magri. Restano alcune zone d’ombra che neanche i documenti depositati negli uffici comunali da Inter e Milan, rimasti finora confidenziali, hanno dissipato. La dichiarazione finale di “pubblico interesse” dell’opera potrebbe arrivare già in questo mese, dopo che le due squadre hanno accolto le 16 indicazioni provenienti dal consiglio comunale, tra cui il mantenimento di una traccia del vecchio Meazza, e dopo che hanno risposto all’ultima richiesta di informazioni arrivata dall’amministrazione su uno dei grandi nodi di questa maxi convenzione urbanistica, ovvero l’effettiva proprietà. Il comune non è tenuto a saperlo, norme alla mano, e i due club potrebbero sottrarsi legittimamente a questa dichiarazione prima della firma della convenzione urbanistica.

Chi comanda

Non dovrebbero esserci grandi sorprese, comunque almeno dal Milan. Già da qualche tempo il Registro lussemburghese dei titolari effettivi ha certificato che il proprietario di oltre il 95 per cento della Project Redblack, la società lussemburghese a monte nella catena di controllo della squadra rossonera, è ora il miliardario americano Paul Singer del fondo Elliott. Che si è appoggiato ai finanzieri Gianluca D’Avanzo e Salvatore Cerchione, che ora sono scesi al 4 per cento circa delle quote della Project, per traghettare la squadra verso di sé. Paradossalmente qualche elemento nuovo potrebbe arrivare dall’Inter, se sarà meglio specificata la catena proprietaria che arriva al gruppo cinese Suning.

Sempre sul tema della proprietà del Milan è aperta da tempo un’inchiesta della procura di Milano, nata dal passaggio di proprietà del club da Silvio Berlusconi all’uomo d'affari cinese Yonghong Li, uscito velocemente di scena per l’impossibilità di ripagare i crediti proprio a Elliott che aveva supportato finanziariamente l’operazione. Il sentore è che non manchi molto per avere un responso dalle indagini coordinate dai pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Paolo Storari. Nel caso non sia chiesta l’archiviazione sarà interessante capire se le informazioni depositate a Palazzo Marino dalla società presieduta da Paolo Scaroni abbiano una connessione logica con i riscontri degli inquirenti che hanno cercato di risalire, attraverso una serie di rogatorie internazionali, all’origine effettiva del denaro usato dal claudicante businessman cinese per acquisire il Milan.

La proprietà delle squadre, al centro di questa ultima richiesta del comune, è un tema che non risolve assolutamente i dubbi sull’operazione. Che non si colmano neanche scorrendo i numeri del nuovo San Siro depositati in comune a novembre e in mano al responsabile unico del procedimento, l’architetto Giancarlo Tancredi. Una montagna di cifre allegate allo studio di fattibilità tecnica, che Domani ha potuto leggere.

Il documento

L’opera complessiva che si compone del nuovo stadio e della riqualificazione del vecchio San Siro, di cui resteranno alcune porzioni e delle zone commerciali di contorno, sarà finanziata al 60 per cento ricorrendo a debiti, ovvero poco meno di 740 milioni di euro, e per il 40 per cento con iniezioni di capitale, che sarà pari a 490 milioni circa (245 milioni a squadra), per una provvista totale che dovrebbe arrivare al miliardo e duecento milioni di «fondi esteri», come aveva specificato Scaroni. Per sviluppare quest’opera sarà creata una società ad hoc. Controllata da altre società non italiane come succede per il Milan? Dal documento non emerge nessuna indicazione. Chi fornirà i 740 milioni di debito? Sarà lo stesso fondo Elliott a provvedere a questo denaro, magari attraverso una società lussemburghese che fornirà i soldi e incasserà gli interessi anno dopo anno? In tal caso il guadagno sarà duplice: uno dall’attività economica in sé e uno dai prestiti.

Con il Milan lo schema è già questo: basta scorrere il bilancio della Project Redblack, che controlla a sua volta la Rossoneri Sport Investment Luxemburg che a sua volta controlla il Milan. Lungo la catena di controllo si snoda un dare-avere di prestiti per centinaia di milioni di euro a valle fino al club rossonero, che garantiscono interessi con tassi a due cifre. Se anche il Milan perde soldi, il suo proprietario guadagna dagli interessi che la società stessa gli paga. Il vantaggio di questo schema è che in Lussemburgo non si pagano le tasse sugli interessi percepiti, così come sui dividendi o sulle plusvalenze al contrario che in Italia, sotto determinate condizioni. E gli interessi maturati lungo questa catena di prestiti a un certo punto escono anche dal Lussemburgo per finire prima nel Delaware, il piccolo stato americano a fiscalità agevolata, e da lì chissà dove.

Nuovo ma caro

Come saranno usati i soldi dell’opera? La costruzione del nuovo catino e la riqualificazione di quello vecchio assorbiranno, tutto compreso, ben 846 milioni di euro, di cui 78 milioni per il glorioso Meazza. Un esborso significativo e superiore, ad esempio, ai 575 milioni di euro per il rifacimento del nuovo stadio Bernabeu di Madrid, dove gioca il Real, o ai 250 milioni prospettati alla trasmissione Report dal professor Riccaro Aceti del Politecnico di Milano per rifunzionalizzare il vecchio San Siro. Per le opere commerciali di contorno, cresciute di 46mila metri quadri rispetto alla primissima ipotesi che non contemplava la riqualificazione del vecchio Meazza, ci vorranno 511 milioni di euro (la somma è superiore a 1,2 miliardi, tasse comprese, perché ci sono oltre 100 milioni di costi capitalizzati aggiunti nel computo). Le due squadre hanno chiesto più metri quadri commerciali del previsto come compensazione per sopportare i costi di riqualificazione del vecchio San Siro. Il compromesso col comune è stato fissato con un indice di edificabilità di 0,51 a fronte del limite di 0,35 del Piano di governo del territorio (Pgt), che può essere superato grazie alle norme contenute nella legge sugli impianti sportivi.

C’è poi il capitolo ricavi: le due squadre sostengono che il passaggio da uno stadio pubblico al nuovo San Siro privato farà incassare loro 78 milioni di euro in più degli introiti attuali (ora sono 74 milioni), da dividere per due, già nel primo anno di utilizzo del nuovo impianto, 2025 o 2026, con miglioramenti continui lungo i 90 anni di durata della concessione. Tante le voci in più di ricavo che si attiveranno: a partire dalle pubblicità e dal nome dello stadio – quello della Juventus si chiama Allianz stadium, per intendersi – fino agli ingressi al museo, che varrebbero da soli 16 milioni di euro. A questi ricavi si aggiungeranno quelli delle aree commerciali tra hotel, centro congressi, attività legate allo sport e all’entertainment e altro ancora, che già nel 2029 dovrebbero far incassare 38 milioni circa. Saliranno ovviamente anche i costi di gestione, ma il conto economico vedrà un risultato operativo positivo fin da subito e a regime una marginalità molto consistente. Se poi gli interessi sul corposo debito finiranno agli stessi gestori si confermerà l’impressione che i guadagni di quest’operazione siano molto elevati.

Ma al comune arriveranno solo le briciole per il diritto di superficie: le parti si sono accordate per dare solo due milioni di euro l’anno, contro i cinque milioni che Inter e Milan pagano ora per l’affitto. Si dirà, tra 90 anni il nuovo San Siro tornerà al comune, a un valore stimato oggi di 36 milioni di euro. Così si mantiene l’equilibrio tra interesse pubblico e privato che prevedono le norme in un caso come questo? La risposta la dovrà dare il consiglio comunale, chiamato a una votazione finale.

Una ricerca di Swg in questi giorni ha fatto emergere che il 57 per cento dei milanesi non vorrebbe un nuovo San Siro perchè è affezionata alla vecchia Scala del calcio. Non resta da sperare che la giunta di Sala abbia fatto i conti giusti.

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