Negli Stati Uniti si è mobilitato nelle ultime settimane un composito fronte critico sull’obbligo di indossare le mascherine per gli studenti. A guidare la rivolta non è la destra no mask che minaccia di morte Anthony Fauci, ma la sinistra liberal che si affida senza esitazioni alle indicazioni della scienza, e ora fa notare che, dopo due anni di pandemia, le prove scientifiche dell’efficacia della misura non ci sono, oppure sono troppo deboli e incerte per giustificare un obbligo a tempo indeterminato.

Il Washington Post ha pubblicato un intervento di tre scienziati (due epidemiologi e un infettivologo) che sostengono che l’obbligo a scuola, che era ragionevole nella prima fase della pandemia, nel contesto attuale non è giustificato.

Altri tre specialisti hanno dato conto in un intervento sull’Atlantic della loro attenta ricognizione degli studi che dovrebbero dare fondamento alla decisione politica, «ma sono tornati a mani vuote». 

Lo storico magazine liberal già lo scorso anno aveva già avanzato forti dubbi sul presunto consenso scientifico che ha indotto il Centers for disease control and prevention (Cdc) a raccomandare l’uso della mascherina in classe per tutti gli studenti da due anni in su, anche alla luce della disponibilità del vaccino.

Un gruppo di medici della University of California San Francisco ha scritto una lettera aperta al governatore democratico, Gavin Newsom – fra i più rigidi in fatto di mascherine – chiedendo di abolire immediatamente l’obbligo per gli studenti.

Diversi commentatori saldamente nel campo dei difensori delle indicazioni degli scienziati ora chiedono apertamente l’abolizione dell’obbligo a scuola. Fra questi c’è Michelle Goldberg, editorialista del New York Times, secondo cui la rimozione dell’obbligo «non dovrebbe essere rimandata di un secondo in più del necessario».

Anche la radio pubblica Npr ha dato voce alle posizioni del crescente fronte che definisce «pro vaccino e anti mascherine».

Perché in America?

È significativo che questa posizione stia crescendo negli Stati Uniti più che in altri paesi occidentali. I Cdc americani hanno proposto linee guida più stringenti rispetto a tutte le altre agenzie di sanità pubblica, raccomandando l’uso universale della mascherina in tutti gli ordini scolastici, inclusa la scuola dell’infanzia, a prescindere dallo stato vaccinale. 

L’Organizzazione mondiale per la sanità raccomanda di non imporre le mascherine ai bambini sotto i cinque anni e ha forti dubbi anche sull’uso fra 5 e 11 anni. 

Lo European centre for disease prevention and control raccomanda di non usare le mascherine agli studenti delle scuole primarie. 

Sedici stati americani seguono scrupolosamente le raccomandazioni dei Cdc e impongono l’obbligo generalizzato, il che significa che circa la metà dei 53 milioni di studenti americani deve portare la mascherina in classe.

In alcuni distretti scolastici si è deciso anche di introdurre l’obbligo di Ffp2, un eccesso di zelo apparentemente giustificato dai recenti pronunciamenti dei Cdc, che ha confermato che i dispositivi filtranti sono molto più efficaci nel proteggere chi li indossa rispetto alle mascherine chirurgiche e a quelle pressoché inutili fatte di stoffa.

Ma le nuove disposizioni dei Cdc dovrebbero invece essere lette come un argomento contro l’obbligo scolastico e a favore del ricorso facoltativo alla Ffp2: «Per tutti quelli che temono un allentamento dell’uso universale della mascherina, l’ottima notizia è che, dopo essersi vaccinati, potranno continuare a indossare la Ffp2 e a vivere una vita a basso rischio a prescindere da quello che fanno le persone intorno a loro», ha scritto il professore di Harvard Joseph Allen.

Non sussiste nemmeno l’obiezione del costo ingiusto imposto a chi liberamente decide di proteggersi, visto che l’amministrazione di Joe Biden ha reso le Ffp2 disponibili gratuitamente, anche per gli studenti.

Guerra culturale

Dunque gli americani ora avanzano dubbi sulla mascherina a scuola perché le linee guida dell’agenzia che si occupa della salute pubblica sono particolarmente restrittive. Ma la disputa ha anche una dimensione politica e ideologica.

Le scuole sono al centro della grande guerra culturale americana, che oggi si combatte sui libri di testo, l’insegnamento secondo l’ermeneutica della critical race theory, la lettura della storia americana, i pronomi accettabili, i servizi gender neutral e altre questioni particolarmente sensibili. Candidarsi per una posizione in un board scolastico oggi è un’iniziativa per stomaci forti.

In questo contesto incandescente le mascherine sono un’arma potente, perché sono segnali della collocazione politico-culturale. Imporre l’obbligo attenendosi alle indicazioni dei Cdc significa presentarsi come progressisti che si fidano della scienza e dello stato; togliere l’obbligo vuol dire abbracciare pericolosamente una mentalità antiscientifica e negazionista.

Il distretto scolastico di Los Angeles che raccomanda l’uso delle Ffp2 in classe a tutti e il governatore repubblicano della Virginia che ne abolisce l’obbligo, suscitando l’ira dei liberal che protestano al grido di “don’t Texas my Virginia”, sono le rappresentazioni di una dialettica manichea in cui quello che conta davvero è il “virtue signalling”, l’esibizione delle proprie superiori qualità morali, non la scienza.

Studi inconcludenti

Gli studi sugli effetti reali delle mascherine nel ridurre i contagi nell’ambiente scolastico sono inconcludenti. È provato che le mascherine sono efficaci nel mitigare la diffusione di molti virus nella popolazione generale, ma prima della pandemia da Covid-19 non erano mai stati fatti studi ampi e generalizzati sull’effetto nella popolazione scolastica, men che meno ricerche che tenessero conto di altre misure di sicurezza che praticamente ovunque vengono adottate, a prescindere dall’obbligo di mascherina: distanziamento, finestre aperte, ingressi scaglionati, pasti separati, classi divise in “bolle”, igienizzazione delle mani ecc.

Le ricerche condotte durante la pandemia non chiariscono l’efficacia dell’obbligo generalizzato. Un report commissionato dal governo inglese dice che i dati a disposizione non permettono di valutare l’efficacia della misura. Una ricerca sui contagi nell’ambiente scolastico in Spagna, dove c’è l’obbligo di mascherina per gli studenti da 6 anni in su (come in Italia), mostra che non c’è alcuna differenza negli indici di trasmissione fra i gruppi scolastici che indossano la mascherina e quelli che non la indossano.

Negli Stati Uniti è stata messa in dubbio la validità di studi stracitati dai vertici dei Cdc per sostenere che fra gli studenti senza mascherina il rischio di contagio è tre volte superiore rispetto alle classi che non lo indossano.

Ma tutte le ricerche su cui si è basata la valutazione, in particolare una molto dibattuta sulle scuole in due contee dell’Arizona, non tenevano conto di alcune variabili fondamentali, ad esempio il tasso di vaccinazione fra gli studenti, dunque attribuivano alla mascherina effetti benefici senza però dimostrare in modo scientificamente accettabile nessi di causalità.

Questo non significa che le mascherine a scuola non servono a niente, ma mostra, più modestamente, che non lo sappiamo con certezza, cioè che la policy scelta non è dettata dall’evidenza scientifica. 

Si potrebbe obiettare che, di fronte a dati parziali e in attesa di chiarimenti sulla reale efficacia di un provvedimento, è ragionevole adottare misure prudenti. Tradotto: la scommessa che la mascherina sia efficace anche a scuola giustifica l’imposizione ai bambini di un fastidio tutto sommato sopportabile.

Questo era il ragionamento prudente che correttamente è stato fatto nella prima fase della pandemia, quando si procedeva per tentativi e approssimazioni, ma soprattutto quando non c’era il vaccino. 

Ora, sostiene il fronte «pro vaccini e anti mascherine», il calcolo di rischi e benefici va ricalibrato, anche perché la policy della mascherina obbligatoria – come tutte le policy – non è neutrale, ma comporta costi che dovrebbero essere proporzionati ai risultati. E i risultati dovrebbero essere verificabili.

I costi

I costi dell’obbligo scolastico della mascherina si manifestano innanzitutto in termini di danni psicosociali a bambini e ragazzi, fenomeno che è molto più complicato da misurare rispetto agli indici di contagio. 

Lo studio del Regno Unito dice che «indossare la mascherina può avere effetti collaterali fisici e impedire l’identificazione e la comunicazione verbale e non verbale fra insegnanti e alunni», altri studi suggeriscono che la copertura costante del volto contribuisce ai risultati negativi in termini di apprendimento che si registrano più o meno ovunque, l’Oms cita fra le ragioni della prudenza sulle mascherine a scuola il potenziale impatto «sull’apprendimento e lo sviluppo psicosociale».

L’approfondirsi degli studi sugli effetti della pandemia sui più giovani iniziano a includere anche gli effetti negativi delle scelte sanitarie fatte, in una prima fase, con il sacrosanto intento di contenere i danni ben peggiori causati dalla diffusione del Covid-19. Quei danni che fortunatemente il vaccino ha drasticamente ridotto.

E in Italia?

Accanto ai danni psicologici e sociali ci sono poi i costi economici e ambientali. I primi non possono essere elusi semplicemente dicendo che gli studenti ricevono le mascherine gratis, perché dietro a quel “gratis” c’è sempre un costo che pesa sulla fiscalità generale. 

Da non sottovalutare anche l’impatto ambientale, perché le 11 milioni di mascherine al giorno distribuite nelle scuole – per limitarci all’Italia – devono essere smaltite.

Anche qui si tratta di una questione di distribuzione efficace delle risorse: è perfettamente plausibile che i costi di una misura, in certe condizioni, siano giustificati, mentre non lo siano più al cambiare delle condizioni.

Nel caso delle mascherine obbligatorie a scuola, le condizioni e le conoscenze al riguardo sono cambiate – in particolare con la diffusione della variante Omicron – ma molte scelte di politica sanitaria per ora non sono state minimamente riviste né verificate.

Se in America l’opinione pubblica si sta spostando, in Italia l’argomento non è quasi sfiorato. L’introduzione del vaccino per la fascia di popolazione fra 5 e 11 anni non ha innescato un dibattito su una misura generalmente considerata efficace e dunque imprescindibile, anche in assenza di prove certe al riguardo.

Di più: i protocolli scolastici su tamponi, tracciamento, quarantena e isolamento mostrano che il sistema è ancora tarata su una fase precedente della pandemia, contraddicendo nei fatti la priorità data a parole dal governo alla continuità scolastica (che non implica il rischio zero, ma un ragionevole contenimento dei rischi).

Quando si sarà faticosamente passati all’aggiornamento a una nuova fase, forse si potrà passare anche a una valutazione, senza isteria e ideologia, dell’efficacia delle mascherine a scuola. 

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