«La Corte cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in diversa composizione personale». Le parole sono scritte in linguaggio giuridico, ma raccontano l’ultimo capitolo della carriera di un magistrato, Donato Ceglie, e l’interminabile vicenda che normalmente accompagna ogni toga che finisce sul banco degli imputati.

L’ex pubblico ministero è stato considerato da molti, Legambiente e Libera in testa, eroe e paladino dell’antimafia, ma è stato coinvolto in diverse indagini giudiziarie dalle quali è sempre uscito pulito. Inchieste che, però, hanno fatto emergere fatti incontrovertibili che hanno condotto alla sua radiazione dall’ordine giudiziario, sancita dalla commissione disciplinare dell’organo di autogoverno del Csm, nel febbraio 2022.

Ora l’ex pm, a differenza di quanto scritto in questi giorni dopo un lancio dell’agenzia Ansa, non è stato riabilitato. Le sezioni unite civili della corte di Cassazione, presidente Margherita Cassano, hanno accolto il ricorso per vizi motivazionali restituendo gli atti alla sezione disciplinare del Csm. Sarà quindi una diversa composizione a decidere sul provvedimento nei confronti di Ceglie.

Tra le informative agli atti dei procedimenti penali dai quali il magistrato è uscito assolto o archiviato, ci sono le sue telefonate nelle quali, parlando di colleghi impegnati in prima fila nel contrasto al crimine organizzato, li bollava con epiteti offensivi (Raffaele Cantone era «un delinquente», Antonello Ardituro e Alessandro Milita erano «bastardi»).

Il passato glorioso

L’ex magistrato è stato per anni sostituto procuratore presso la procura di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, territorio nel quale spadroneggiava il clan dei Casalesi e la criminalità ambientale, incrocio tra boss, imprenditori e politici.

Per il suo impegno ha ricevuto premi, come quello dedicato alla memoria di don Peppe Diana, il prete ucciso dai killer del clan, ma anche riconoscimenti ed encomi da Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti, e Legambiente, associazione per la quale ha ripetutamente contribuito alla stesura del rapporto annuale sull’ecomafia. Chi scrive ne aveva raccontato rapporti e contatti opachi già nel 2010, ma Ceglie aveva continuato a partecipare a convegni, a fare il magistrato e a fornire le sue consulenze alla commissione parlamentare antimafia ed ecomafie.

Nella sentenza vengono ripercorsi il pronunciamento della sezione disciplinare del Csm, le ragioni addotte per la radiazione e gli errori commessi che hanno portato all’accoglimento del ricorso. L’organo di autogoverno delle toghe aveva deciso per la rimozione a fronte di due illeciti commessi da Ceglie che ha, tramite l’avvocato Fabio Viglione, articolato un ricorso in otto punti, in parte accolti, nonostante il parere contrario di ministero e procuratore generale.

I fatti contestati

L’azione disciplinare ministeriale era iniziata nel 2016 quando Ceglie era stato indagato dalla procura di Roma per il reato di corruzione in atti giudiziari con l’aggravante dell’agevolazione camorristica, per la quale era maturata la prescrizione (contestazione per la quale è arrivato il decreto di archiviazione su richiesta del pubblico ministero), mentre è stato assolto per un’altra ipotesi di reato per la quale era arrivata la richiesta di rinvio a giudizio.

Per quali condotte è stato dunque ritenuto responsabile in sede disciplinare? La prima è quella relativa ai rapporti con Raffaele Russo, suo consulente, che ha messo a disposizione gratuitamente dell’allora pm, per un periodo di quasi quattro anni (2006-2010), «un appartamento ed è stato condannato in relazione a tale illecito alla pena edittale prevista, ovvero alla pena della rimozione, avendo ritenuto la Sezione disciplinare l’identità tra i fatti contestati e quelli accertati».

Appartamento nel quale si recavano alcune studentesse come A.C. e F.D., all’epoca assegnatarie di tesi e seguite da Ceglie, docente di ordinamento giudiziario all’Università. «Le due ragazze riferivano di essersi recate più volte, per brevi periodi, nell’appartamento del quale il Ceglie disponeva», si legge nella sentenza che ripercorre le contestazioni.

Un altro fatto riguarda la vicinanza tra Ceglie e Sergio Orsi, imprenditore considerato dall’antimafia napoletana in rapporti con il clan dei Casalesi (il fratello, Michele Orsi, è stato ucciso nel 2008 dal gruppo camorristico ndr). I fratelli Orsi lo chiamavano «Donatino», come ha raccontato il collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo.

«La Sezione disciplinare ha ritenuto acclarato, sulla base degli elementi di prova raccolti, il coinvolgimento in tutte le questioni d’interesse per le società dei fratelli Orsi del dottor Ceglie come consulente delle strategie più convenienti per aggiudicarsi appalti ed espandere il loro raggio di azione (...) ha ritenuto pienamente provato che il Ceglie abbia ricevuto a più riprese denaro dai fratelli Orsi per un ammontare complessivo di circa 150.000 euro, quale prezzo della messa a disposizione della sua funzione di magistrato (...) Ha, infine, sottolineato la durata dell’attività illecita, protrattasi per quasi dieci anni, e la personalità dei corruttori, imprenditori risultati legati ad associazioni criminali di stampo mafioso», si legge.

Il ricorso e l’accoglimento

Rispetto a questi due addebiti, che hanno portato alla sua rimozione, Ceglie ha presentato un ricorso articolato in otto punti. I primi quattro riguardano l’appartamento. Secondo la difesa dell’ex pm, in merito alla questione dell’appartamento dato in uso gratuito dal consulente, bisognava considerare che vi è stata una modifica del capo di incolpazione con lesione del diritto di difesa, Russo è stato rinviato a giudizio per calunnia e ritenuto inattendibile, il monolocale è stato utilizzato per pochi mesi, la commissione non ha valutato la tenuità del fatto, «documentata dal modesto valore dell’immobile avuto in uso, semplice dependance di un più vasto appartamento alla periferia della città», con l’applicazione dell’esimente della scarsa rilevanza. Le sezioni unite hanno accolto i primi tre motivi di ricorso e hanno ritenuto assorbito il quarto.

Gli altri quattro motivi di “appello” hanno riguardato, invece, i rapporti economici con i fratelli Orsi. La difesa di Ceglie ha sostenuto la scadenza dei termini per l’avvio dell’azione disciplinare visto che erano trascorsi dieci anni dall’ultima dazione di denaro (ricevuta da Orsi); la differenza tra accusa e sentenza perché, anche in questo caso, sarebbe stato modificato il capo di incolpazione con lesione del diritto di difesa; la mancata considerazione dell’esito dei procedimenti penali, conclusi con archiviazioni o assoluzioni; l’ottavo motivo, infine, ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

Le sezioni unite civili hanno respinto il quinto motivo sulla scadenza dei termini per avviare il procedimento disciplinare perché è risultato «provato sulla base non soltanto delle dichiarazioni della teste Miranda (moglie di Michele Orsi, ndr), ma di tutte le sopra indicate risultanze istruttorie, che la condotta corruttiva, e l’asservimento del Ceglie, si siano protratti fino a metà del 2007».

La corte di Cassazione ha accolto il sesto e il settimo motivo e assorbito l’ottavo rimandando gli atti alla sezione disciplinare dell’organo di autogoverno delle toghe per un nuovo pronunciamento. Non è stata ancora scritta la parola definitiva sulla carriera di Donato Ceglie.

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