Di “padrini” e di “figliocci” ce ne sono ormai veramente pochi e nelle parrocchie siciliane e calabresi c’è tanta agitazione. È un’assenza che non piace ai fedeli, soprattutto non piace alla gente di mafia. Una parte di chiesa non vuole più i boss davanti all’altare, troppi i legami criminali che si saldano con i sacramenti del battesimo e della cresima, troppi che approfittano dei riti religiosi per legittimarsi sul territorio e trovare consenso sociale. La vicenda è assai controversa, molti credenti scalpitano e disapprovano, fra le alte gerarchie ecclesiastiche c’è chi storce il naso dopo la scelta di alcune diocesi di sospendere “ad experimentum” la figura dei padrini e delle madrine.

Ci sono vescovi a favore e vescovi silenziosamente e ostinatamente contrari. Nonostante l’anatema di Giovanni Paolo II contro i boss invocando la loro conversione nel 1993 ad Agrigento e nonostante la scomunica di Papa Francesco nel 2014 a Cassano allo Jonio, la chiesa sulla questione mafia non è così unita come sembra.

I padrini banditi

La chiesa è anzi attraversata da dubbi e combattuta al suo interno. Mentre nel mondo religioso italiano si dibatte sui boss devoti, il caso è sbarcato qualche giorno fa negli Stati Uniti con un lungo articolo pubblicato dal New York Times con il titolo ”In the land of the Godfather comes a ban on them”, nella terra del Padrino vengono banditi i padrini.

Il gancio di cronaca, con una coda improvvisa di polemiche, l’ha offerto l’arcivescovo di Catania Salvatore Gristina che, per tre anni e a partire da questo ottobre, ha congelato padrinaggi e comparaggi in tutte le comunità religiose della città. Secondo il New York Times per ragioni di mafia, per la curia catanese perché padrini e madrine spesso si rivelano incapaci di un cammino di fede. La chiesa catanese pretende una rettifica dal giornale («Tutto falso, la mafia non c’entra») e addirittura minaccia querela. Il tema evidentemente prende e accende fuochi.

Perché, al di là del caso catanese, il problema c’è e se ne discute da tempo. È lo stesso NYT che ne ricostruisce le origini, ricordando la prima richiesta di sospensione recapitata in Vaticano nel 2014 dal vescovo di Locri Giuseppe Fiorini Morosini “per contrastare la ’ndrangheta”.

La sua proposta si è arenata, l’allora sostituto della segreteria di Stato Angelo Becciu – il cardinale coinvolto nello scandalo legato all’investimento del palazzo londinese di Sloane Avenue – rispose a Morosini che quella strada non era praticabile. Diventato capo della chiesa di Reggio Calabria, Morosini è tornato alla carica cancellando per dieci anni la figura del padrino. Sulla sua stessa linea Michele Pennisi, vescovo di Monreale (la diocesi più ricca ed estesa della Sicilia che è stata regno dei mafiosi di Corleone) e poi ancora altri prelati in terrae infedelium.

Come finirà questa contesa nella chiesa sulle ingerenze mafiose nei sacramenti? C’è un braccio di ferro fra chi è schierato «per una sosta che aiuterebbe a purificare una mentalità ormai tarlata» e chi invece vorrebbe mantenere la tradizione senza fare distinzione tra padrini e “padrini”. Materia molto delicata: perché i bambini calabresi o siciliani estranei al mondo mafioso non dovrebbero avere un padrino per il loro battesimo o la loro cresima?

Precedente di Salvo Riina

I precedenti che inducono alla prudenza o a prendere adeguate contromisure non mancano. Il più clamoroso quattro anni fa, quando a Corleone è tornato Salvo Riina, il figlio più piccolo del capo dei capi, per tenere a battesimo una nipotina. Anche lui condannato per associazione mafiosa, aveva ottenuto da un parroco di Padova il “certificato di idoneità” per fare da padrino e da un altro sacerdote di Corleone un lasciapassare per l’altare. Tutto ciò ha scatenato l’ira del vescovo Pennisi: «Né io e né gli uffici della curia eravamo informati, consentirgli di fare il padrino è stata una scelta censurabile».

L’intera storia della mafia è segnata da padrinaggi e comparaggi, nella fiction e nella realtà. Nel film Il Padrino di Francis Ford Coppola, memorabile è la scena di Michael Corleone che “rinuncia a Satana” con il nipote in braccio davanti alla fonte battesimale mentre i suoi scagnozzi fanno strage dei nemici di cosca. La realtà non è meno cupa. Al funerale di Calogero Vizzini, il capo della Cosa Nostra dopo la Seconda guerra mondiale, al seguito del feretro c’erano tutti i boss dell’isola. E dietro di loro più di duecento “figliocci” che, il caro estinto, aveva tenuto a battesimo in ogni paese della provincia di Caltanissetta.

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