Michele Santoro, giornalista e popolare conduttore, è diventato una partita iva, non ha più società editoriali. L'ultima sua fatica è un libro di prossima pubblicazione. 

La pandemia ci ha migliorati?

Siamo un paese schiacciato dall’emergenza, dove gli spazi democratici si sono ridotti e questo dovrebbe essere un problema per tutti. Hanno trattato gli italiani come un popolo da teleguidare, da rinchiudere in casa, in una zona rossa perenne. L’ospedalizzazione è stata la sola risposta, hanno chiuso le scuole mentre vaccinavano i docenti, non c’è un esperimento di ripartenza, un’idea, qualcosa che coinvolga le persone, ma solo il loro confinamento. Poi c’è una cosa che mi ferisce particolarmente di questo anno che ci lasciamo alle spalle.

Cosa?

L’informazione non doveva fare così schifo come ha fatto nel racconto della pandemia. Il pensiero critico non trova cittadinanza. Il dibattito politico, culturale e scientifico viene ridotto alle linee imposte dal governo. 

E la Rai?

Più che servizio pubblico, parlerei di servizio di ordine pubblico. La Rai è indietro. Sono rimasti due monumenti, Vespa e Berlinguer, che vanno in onda per il cognome che portano, ma salvando Report, non c’è comunque nessuno in grado di cambiare l'agenda politica, di incidere veramente. Ormai la produzione di senso si è spostata dalla tv alla rete. Non è solo questione di informazione, anche nella fiction vedo lo stesso appiattimento. La fiction Rai è ridotta a una collezione di commissari. Tutto ciò che è problematico è stato espulso pregiudizialmente. I produttori propongono e offrono ciò che i dirigenti sono già disposti ad accettare.

Hai programmi da proporre alla Rai?

Io l’ultima cosa che ho proposto alla Rai era un lavoro critico sui social, fatto non da me, ma da cronisti giovani. Non l’hanno preso neanche gratuitamente. Non saprei cosa proporre e a chi. L’ultima volta ho visto Fabrizio Salini (amministratore delegato Rai, ndr), gli ho offerto gratuitamente nove anni di programmi di cui detengo i diritti a condizione di rendere disponibili in rete anche gli altri programmi di proprietà Rai che ho realizzato. Non l’ho più sentito.

Tra poco si rinnovano i vertici, sei pronto?

No, sono loro che non sono pronti per uno come me, ma se mi chiamano per dare idee su nuovi programmi, anche di approfondimento, ci sono. Gli ultimi che hanno prodotto hanno fatto l'uno per cento. 

Ma non salvi neanche La7?

Una volta l’ho chiamata Cnn all’amatriciana e una collega del tg di Mentana si è offesa. In realtà amatriciana è un sugo povero e immediato con poca spesa e ottimi risultati. È una televisione dove per mettere un microfono nuovo… una fatica. Per diventare Cnn devi avere uffici di corrispondenza, realizzare reportage. Sono costretti dentro un genere unico: il talk, immediato, che non teme l'usura del tempo e che costa poco.

Li guardi?

Certo, ma non troppo, a pezzi. Piazzapulita ha qualche similitudine con i miei programmi, ma quello che non trovo è lo spirito con il quale andavamo in onda noi, quello dire qualcosa di diverso. Giletti, a modo suo, fa una sorta di tv popolare, però mena. A volte ripete cose che mi piacciono meno, però rispetto al potere ha un atteggiamento più irriverente, da cane da guardia.

Che programma faresti oggi?

Se facessi oggi un programma di attualità ripartirei da Samarcanda, ma non sarebbe un’impresa facile, ci vorrebbe un dirigente come Angelo Guglielmi (all’epoca direttore di Rai3, ndr) alle mie spalle. Non prendevamo mai in considerazione quello che dicevano i telegiornali. I politici se non c'erano era meglio anche perché un programma si fa con le idee e non in base all'ospite che hai. Abbiamo portato in tv il dramma dei sequestri, il tema mafie, il caso vaccini, 30 anni prima del movimento No Vax. Dopo quella puntata arrivarono quattro sacchi di lettere sugli effetti indesiderati. Oggi c’è un conformismo impressionante.

Chi avresti voluto intervistare?

Bettino Craxi. Io per i socialisti sono stato una bestia nera, ma sono stato molto vicino al loro spirito laico rispetto a quello cattocomunista. Quando io lasciai la Rai per andare a Mediaset, Craxi mi fece avere un messaggio chiaro che io stavo sbagliando visto che, a suo avviso, ero l'unico che poteva dare filo da torcere ai comunisti. Sono passati anni, abbiamo fatto battaglie, ma il conflitto d'interessi è ancora lì sia sul fronte berlusconiano, sia sul fronte della sinistra che sulla cultura, in tutte le case di produzioni, presenta figli, mogli e parenti.

Berlusconi è tornato decisivo?

Per me è drammatico che siamo ancora a Berlusconi. Come è drammatico che vada al potere un comico, Beppe Grillo, e abbiamo il servizio pubblico più controllato della storia senza un programma di satira sul potere. 

A proposito di politica, ti piace il governo Draghi?

È un governo mostro, ma neanche quando l’hanno incaricato avrei immaginato Di Maio e Carfagna insieme. I partiti dovevano stare fuori e recuperare credibilità, ma Draghi era l'unica scelta possibile. Giuseppe Conte è stato mitizzato, è una persona di buona volontà, ma senza statura politica. Quel governo non si capiva con chi stava, ha comprato mascherine dalla Cina grazie a faccendieri e questo lo sanno tutti anche i servizi segreti. C’erano persone influenti all’esterno che condizionavano il governo e lo spingevano, un po’, verso la Cina, e, un po’, verso la Russia. Quando c'era Trump, Giuseppi era perfetto, ma oggi la pandemia è diventata geopolitica, bisogna scegliere con chi stare. Draghi nasce per dare certezze sul piano internazionale per essere sicuri di dove vanno soldi e investimenti. Nasce per una questione di necessità, non certo per i capricci di Renzi. Renzi è indifendibile, però questo è un paese che ha fretta di liberarsi degli individui fuori dall'ordinario. Renzi ha una velocità di pensiero pari alla sua ignoranza. Velocissimo a vedere i problemi, ma senza gli strumenti culturali per gestire il cambiamento si finisce male. La sua riforma costituzionale non mi piaceva, ma era evidente che se l’avessimo bocciata saremmo tornati indietro. Perfino Fedez, vicino al M5s, aveva i miei stessi dubbi. Se avesse vinto il sì, il M5s avrebbe governato da solo senza fare accordicchi. 

Oggi cosa è diventato il M5s?

All'inizio il M5s era una gigantesca domanda di rinnovamento nei confronti delle istituzioni e degli altri partiti. Questo è stato determinato anche dal fatto che la sinistra, quando è caduto Berlusconi, poteva governare il paese, ma non non l'ha fatto. Bersani, oltre le metafore delle mucche e del giaguaro, non ha proposto una visione di paese. Oggi il M5s è un partito alla ricerca di un leader. Ha smarrito i principi dell’uno vale uno e cerca un leader in Conte. Ma Grillo ha già detto cosa dovrebbe fare il leader, ma perché non lo fa lui?

Serviva Letta al Pd?

Letta è il Draghi del Pd. Spero che lui non si illuda che nominando Serracchiani dia un’identità al partito. Se queste operazioni restano di facciata, il potere reale è altrove. Ormai il Pd sembra un sindacato del ceto medio, una corporazione. I dirigenti sono tutti eleganti, di buone maniere, ma le radici dove le hanno? Nel quartiere dove abito io, ai Parioli, vanno fortissimo, ma nelle periferie?

A Roma voteresti Gualtieri?

Non lo so. A Roma vorrei capire con quali idee vogliono rimettere mano alla città, è già anomalo che la scelta del candidato stia arrivando così tardi. Il Pd deve iniziare dalla lotta alle disuguaglianze e si fa solo ridando centralità ai diritti. Il diritto alla giustizia non può essere solo riservato ai ricchi. Cento euro in più non cambiano le cose, ma se io ho un asilo dove mandare mio figlio mi cambia la vita. Se io posso andare a mare a Ostia in un mare balneabile, la mia vita migliora in modo decisivo. Ci vuole la transizione, ma vera.

Allora voti Raggi?

No. Ha introdotto qualche elemento di novità sulla questione legalità, ma Roma dal punto di vista culturale si è spenta. Non ha nulla di paragonabile a una metropoli come Parigi o Londra. Cinque anni fa le ho fatto un favore non votando, questa volta cercherò di non ripetermi. 

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