Siamo abituati a pensare alla cucina – specialmente quella di cui non siamo noi gli attori – come a qualcosa di costantemente reperibile. Nelle voci dei menù e nelle portate che arrivano ancora bollenti in tavola troviamo gioia, radicamento e conforto. Possiamo trovarli tutti i giorni e, grazie a una visione sempre più internazionale e dinamica del lavoro, praticamente in qualsiasi momento della giornata.

Questo ci rende consumatori avidi, impazienti di ricevere quelle attenzioni che (diciamolo) a casa difficilmente riusciremmo a darci nemmeno con le migliori delle intenzioni. Diventa quindi inevitabile vedere chef, brigate e personale di sala come ingranaggi di una macchina in continuo movimento. Il servizio non deve essere troppo veloce né troppo lento. Il personale dev’essere cordiale ma non invadente, attento a non farci mancare niente ma non troppo premuroso. E se la nostra prenotazione ricade in un giorno di festa come quelli che bussano alla porta in questo periodo a maggior ragione gli ingranaggi devono funzionare alla perfezione per farci passare un clima il più possibile piacevole, accogliente e conviviale.

Voglia di fare

Ma mentre noi siamo intenti a ricostruire un po’ di quella tradizione familiare attorno alla tavola imbandita di un ristorante lo stesso succede dall’altra parte del pass, anche per i giovanissimi. Una mise en place certosina, un servizio più serrato del solito ma poi ad allentare la pressione un brindisi. Che diventa anche il modo per stare tutti insieme e riunirsi come durante una cena di famiglia.

«È un lavoro pesante, perché quando la maggior parte delle persone stacca da lavoro e si rilassa a tavola noi stiamo entrando nel vivo del servizio. Inoltre una volta che ti abitui a lavorare durante le festività è quasi la prassi diventare immune all’effetto magico del Natale» racconta Martina, classe ‘96 ma con alle spalle diverse esperienze in ristorazione tra cui le più recenti l’hanno vista come parte del team nella cucina di Viviana Varese al Viva di Milano e adesso nel suo nuovo bistrot Polpo Pesce di via Melzo. «Allo stesso tempo però è bello quando si crea un clima di coesione che permette a tutti di alleggerire il turno senza farci sentire il peso di non essere a casa con la nostra famiglia». Lo stesso vale per Lara, classe 2001 e salita da pochi mesi a bordo di Guido Ristorante nel villaggio di Fontanafredda a Serralunga d’Alba, dove si occupa di servizio di sala e il cui percorso senza dubbio lungo in salita come lo definisce lei, sta già dando i suoi primi frutti regalandole tanta soddisfazione.

Ecco ciò che accade quando si decide di abbandonare una ristorazione figlia di anni delle tanto osannate “gavette” e di terrorismo psicologico per cercare di muoversi sempre di più verso un modello che abbraccia il benessere dei ragazzi in tutti i suoi aspetti, da quello psicologico a quello sociale. Questo si traduce in una maggiore cura dello staff durante il periodo natalizio, con una gestione dei turni che permetta di passare a casa almeno una delle due festività (Natale o Capodanno) e in un ambiente di lavoro che preservi il più possibile l’atmosfera conviviale e solidale anche mentre si corre dalla cucina ai tavoli. Il tutto senza dimenticare che anche l’atmosfera in sala gioca un ruolo importante: durante le festività natalizie le persone sono a casa dal lavoro, probabilmente al tavolo con i loro amici o la loro famiglia intente a scambiarsi i regali o gli auguri, e questo contribuisce a rendere l’intero servizio più piacevole.

A ognuno la sua parte

Che i tempi di turni infernali e racconti in pieno stile Cucine da Incubo dovessero tramontare era chiaro già da un pezzo, e certamente per quanto sulla buona strada la ristorazione su questo ha ancora parecchio lavoro da fare. Ma non è nello scarico di responsabilità la soluzione; piuttosto dovremmo imparare a riflettere tutti un po’ di più, in qualità di consumatori, su ciò che succede dietro le porte di una cucina e di sentircene parte attiva siccome spesso è anche il nostro atteggiamento a fare la differenza.

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