Nel 2001 il canale televisivo francese M6 trasmetteva la prima puntata della sitcom Camera Café. Due anni dopo anche noi iniziavamo ad appassionarci alle avventure del responsabile dell’ufficio vendite Paolo Bitta e il corrotto responsabile dell’ufficio acquisti, nonché rappresentante sindacale Luca Nervi, raccontate attraverso una telecamera nascosta nel distributore di bevande calde installate in ufficio. Flirt, pettegolezzi, imbrogli: tutto avveniva rigorosamente davanti alla macchinetta automatica sempre pronta ad erogare bevande calde e momenti di conciliabolo tra i dipendenti. In gergo tecnico, questi dispositivi si chiamano vending machine, anche se negli uffici con un numero ridotto di dipendenti ha dato vita a un segmento più specifico chiamato Office Coffee Service (Ocs). Sta di fatto che, piccola o grande che sia, la “macchinetta” è ancora oggi il luogo di ritrovo canonico per consumare la pausa caffè e intessere relazioni sociali. O anche solo rinverdire il rito del racconto delle barzellette, aggiornarsi sull’inizio o la fine delle relazioni amorose, imbastire il fantacalcio o fissare l’appuntamento per il calcetto settimanale. Sullo sfondo, un insieme di pulsanti e ingranaggi, che fanno da teatro anche a momenti di creatività e riflessione. La pausa caffè può diventare uno spazio catartico in cui costruire un nuovo senso al riposo dal lavoro. E pensare che il cammino fatto da queste macchine è stato lunghissimo ed è iniziato nell’antico Egitto.

L’invenzione della pausa caffè

A inventare la pausa caffè intesa come momento di interruzione del lavoro per il ristoro attraverso il consumo di una bevanda calda fu lo psicologo cognitivo-comportamentale prestato al marketing John Broadus Watson. Il termine vide la luce in una campagna pubblicitaria realizzata per il Pan American Coffee Bureau negli anni Cinquanta. Obiettivo: rilanciare i consumi di caffè. L’organizzazione investì circa due milioni di dollari all’anno per far re-innamorare gli americani del caffè. Era il 1952. Watson notò che durante la Seconda guerra mondiale alcune fabbriche avevano iniziato a offrire ai propri lavoratori un paio di minuti di pausa al termine di ogni turno. Durante questo momento, si consumava una veloce tazza di caffè per ritemprarsi. Intuì, dunque, che il rilancio della bevanda ristoratrice passava proprio attraverso questa fascia di consumatori abituali. Nacque una campagna che recitava così: «Give yourself a Coffee Break – and Get What Coffee Gives to You» (Prenditi una pausa caffè – e prendi ciò che il caffè ha da darti). Nei suoi manifesti venivano ritratte persone felici, intente a chiacchierare mentre sorbivano tazze di caffè. Ma la vera “magia” di Watson fu instillare la convinzione che se nei momenti di pausa fossero state consumate altre bevande, il momento sarebbe stato rovinato. Entro la fine del 1952 l’80 per cento delle aziende iniziarono a concedere ai propri dipendenti la pausa caffè. Non tè. Non soft drink. Non “mangia o bevi quello che vuoi”. Ma caffè. Un po’ come a dire che solo con questa bevanda possono succedere cose buone.

Le macchinette automatiche

Il primo a pensare di “automatizzare” la vendita di sostanze è stato Erone di Alessandria. Nel I secolo a.C. questo matematico inventò un rudimentale distributore di acqua santa a fini religiosi. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si automatizzò la vendita di molte cose: dai giornali ai francobolli, passando per tabacco e liquori. Il mondo anglosassone, Stati Uniti in testa, sembrava aver integrato perfettamente questi dispositivi nelle proprie città. L’Italia ha dovuto aspettare fino al 1963 per poter ordinare il primo caffè da un distributore automatico. L’innovazione prende piede nelle grandi fabbriche, che nel 1963 iniziano a installare la Faema E61, una macchina capace di produrre ed erogare un caffè ottenuto da grani macinati al momento all’interno del dispositivo.

Caffè e rivoluzione

Il 1968 è l’anno che cambia la pausa caffè in Italia. Gli scioperi infuocano strade e piazze. I lavoratori chiedono più diritti. È necessario ripensare il lavoro e i suoi tempi. Tra questi, il momento della pausa caffè non è più visto come un atto da consumare in velocità, quasi nascondendosi agli occhi del capo, ma come un vero e proprio esercizio del diritto al riposo e alla socialità con gli altri lavoratori. La pausa caffè diventa così un servizio sociale e la distribuzione automatica passò da mero strumento a funzione sociale all’interno dei luoghi di lavoro. A dare varietà alla pausa sono le prime macchine “a dischi” che erogano gli snack. Negli anni Ottanta la tecnologia si evolve nelle “spirali”, tutt’ora utilizzate e spesso, quando si inceppano, maledette.

Pausa da ufficio

Lo sviluppo delle vending machine accompagna quello delle attività umane. Infatti, con la terziarizzazione galoppante degli anni Ottanta, nasce l’esigenza di assicurare una pausa caffè automatica anche ad uffici di dimensioni ridotte. Inutile installare un distributore automatico quando si hanno tre dipendenti. Arriva Faemina, una macchina di ridotte dimensioni che utilizza caffè liofilizzato. In seguito, le dimensioni cambiano ancora, grazie all’arrivo della 1X, la prima macchina da ufficio a capsule. Quel dispositivo garantisce un caffè un’ottima qualità, tanto da convincere Lavazza comprare il brevetto per espandersi nel nascente mercato dell’Office Coffee Service, ovvero il caffè in cialde e capsule.

Ocs e vending machine: i numeri in Italia Dopo le necessarie contrazioni di business dovute alla pandemia, il 2022 ha segnato un anno di ritorno di fiamma tra gli italiani e le macchinette automatiche. Con più di 30mila addetti, 3mila imprese e oltre 830mila vending machine installate, l’Italia è leader del mercato in Europa, con un fatturato di 1,5 miliardi di euro (+10 per cento rispetto al 2021). A questi si aggiungono i 348 milioni di euro dell’Ocs. Ci sono state quattro miliardi di consumazioni (+5 per cento rispetto al 2021), mentre l’Ocs ha visto una lieve contrazione del suo business (-1,8 per cento) con quasi due miliardi di bevande consumate. Tra i diversi canali, le aziende si confermano quelle con il peso maggiore a livello di consumazioni di Ocs (75 per cento) e cresce, proprio all’interno degli uffici, l’Ocs in supporto a preesistenti vending machine.

Le sfide del settore

«Il settore sta affrontando due sfide importanti che sono la digitalizzazione e la sostenibilità», ha dichiarato Massimo Trapletti, Presidente Confida, Associazione Italiana Distribuzione Automatica. Unica rappresentanza del settore, dal 1979 riunisce, oltre ai gestori, anche i fabbricanti di tecnologie e i produttori di alimenti. Sopravvissuta allo smart working, la pausa caffè diventerà più digitale e green. Infatti, i dispositivi saranno dotati di nuove tecnologie per i pagamenti digitali tramite app, si lavorerà sull’interconnessione e su interfacce utenti più avanzate con touchscreen. Le vending macchine di ultima generazione hanno già la funzionalità save energy, che consente di risparmiare energia quando la macchina non è utilizzata. Grande attenzione anche alla gestione del fine vita della plastica con cui sono fatte le cialde. Infatti, il progetto “RiVending” raccoglie e ricicla i principali imballaggi delle vending machine. Ciò non cambierà la soddisfazione che ci provoca questo momento. Il bicchiere compare. Il liquido si materializza attraverso degli ingranaggi. Scende anche una palettina a sostituire il cucchiaino per girare e sciogliere lo zucchero. Siamo ancora in ufficio, ma per un momento sorridiamo, felici. Siamo in pausa caffè.

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