Festa della zucca di Pecorara, sull’appennino di Piacenza, che già pare il carteggio della scenografia di Cesare Zavattini, e Giulio Tremonti sibilante invita gli astanti, militanti della Lega nord a guida bossiana, a «occupare l’Emilia», mentre quelli invocavano la secessione unendosi alla Lombardia. L’avanzamento delle camicie verdi verso sud ha nel mirino la terra rossa emiliana e la crescita elettorale è in quegli anni – siamo nel 2009 – prologo del tentativo, poi fallito, di un partito nazionale a guida Matteo Salvini da Locri. Nessuno a sinistra prende sul serio l’intento leghista, e il Pd si crogiola su fasti ormai decadenti. Qualcuno che scrive, legge e analizza le sorti dell’Emilia fu rossa esiste, ma l’auto-considerazione dei dirigenti è elevata, salvo trasformarsi in auto-commiserazione appena il vento cambia, come se non ci fossero stati cattivi, evidenti, presagi ad annunciare tempesta. L’incitamento/motto del ministro delle Finanze diventò anche il titolo omonimo per un ben fatto documentario (Lombardi-Tomassone-Aurighi), ma le vittorie, pur rocambolesche, tacitano quasi sempre tutto e tutti. Tanto che la sorpresa aleggiava ancora allorché la Lega (nord) di Salvini nel 2020 rischiò il colpaccio, se non fosse stato per la supermobilitazione e per il contributo dell’area metropolitana bolognese, e se non avesse candidato una figura politicamente evanescente. Ma nel Pd ancora le ragioni di quella vittoria non sono state ben investigate.

Il Pd dovrebbe produrre una azione politica analoga e di segno contrario, una pianificazione di “conquista” elettorale. Perché? Per varie, concomitanti e convergenti ragioni. È impossibile, impraticabile, ambire a essere partito di governo nazionale senza la guida almeno di Lombardia e/o Veneto, come minimo di una delle regioni più ricche e popolose. Il Pd non può limitarsi alla gestione delle grandi città, delle aree metropolitane; non sarebbe credibile, oltre che non competitivo. In Italia il 70 per cento dei comuni ha meno di 5mila abitanti, che rappresentano il 17 per cento della popolazione nazionale; di tutti questi il 45 per cento si trova dislocata tra Piemonte, Lombardia e Veneto (fonte Istat). Inconcepibile non avere una prospettiva per governare il nord. Il Pd non è il partito della Ztl, una definizione facile per i talk show, è piuttosto il partito dei dipendenti pubblici. Il dato su chi siano gli elettori democratici genera la condensazione e la concentrazione spaziale, e non il contrario. L’aspetto geografico è una conseguenza e perciò è distorcente se assume caratteri esplicativi. Se guardiamo alle caratteristiche socio-demografiche e professionali, emerge un quadro inquietante per il Nazareno. Un dato circa le professioni: gli operai che hanno votato Pd erano il 23 per cento nel 2013 e solo il 10 per cento nel 2018 (fonte Itanes).

Malgoverno

Le ragioni di una riscossa che parta da nord, come detto, sono molteplici e poggiano su basi agilmente spendibili sul piano politico, elettorale e persino comunicativo. L’asse lombardo-veneto non rappresenta affatto un “modello” di buon governo. La giunta e l’amministrazione del Veneto e della Lombardia rappresentano in realtà casi esemplari di malgoverno, per molti aspetti. Dalla sanità, martorizzata e consegnata ai privati, alla gestione del territorio e dell’ambiente. Dai diritti sociali a quelli civili, posti in secondo piano rispetto al perseguimento esclusivo della difesa degli interessi imprenditoriali, o meglio solo di una parte di essi. Il presidente Luca Zaia è un politico di professione, eppure si presenta come parvenu, ed è meno valido come amministratore di quel che si narra. Perché manca un racconto alternativo credibile. È un politico per nulla “moderato”, ma ha i tratti ideologici tipici dell’estrema destra (basterebbe ricordare i molti momenti di puro razzismo), come il partito cui appartiene, sebbene ogni tanto provi tatticamente a sganciarsene.

In termini di rappresentanza, Lombardia e Veneto generano una quantità di seggi pari a quasi un sesto del totale, derivante dalla popolosità, mentre il sud si svuota con la continua migrazione unilaterale. È tempo di impiantare una squadra speciale a tempo pieno. Amministratori locali, dirigenti ed eletti del Pd, esponenti di associazioni, intellettuali, lavoratori e imprenditori. Una vasta operazione di ascolto, di apprendimento, di raccolta dati, di incontri. Attivare militanti, giovani, donne, precari, in territori dove la disuguaglianza è cresciuta enormemente ed esiste una sete atavica di sinistra e di diritti sociali. Una domanda inevasa di partecipazione e di rilancio dei valori progressisti. Per “occupare il nord”, partendo dai molti dati e analisi presenti, ma tentando di riconnettersi “sentimentalmente” con quel mondo. Una riunione mensile della direzione nazionale svolta nelle province lombardo-venete sarebbe l’ideale, da ripetere con incontri periodici itineranti in giro per il paese. Per dare un segnale, ma soprattutto per raccogliere idee, critiche e informazioni. Andare nella tana del lupo, e stanarlo. È un lavoro di lunga lena, ma da qualche parte e prima o poi bisognerà principiare.

L’esempio americano

Un esempio può venire dai democratici americani. I quali grazie a un lavoro intenso, diffuso, articolato, e prolungato, hanno conquistato la Georgia, strappandola al controllo dei repubblicani. Grazie a una mobilitazione capillare, a un disegno strategico e ad un obiettivo condiviso, Biden e i suoi hanno vinto le elezioni presidenziali nello stato di Atlanta come non succedeva dal 1972 (Presidente Carter), hanno vinto i due seggi senatoriali e nel 2018 per una inezia hanno perso la carica di governatore. Nel 2012 Renzi aprì la campagna elettorale per le primarie da Verona, nel 2014 il Pd risultò primo partito con il 38 per cento in Veneto e il 40 per cento in Lombardia. Il nord non è una battaglia persa, come talvolta pare sia considerato. Gli elettori sono molto (per i miei standard troppo) mobili e volatili, e cambiano comportamento elettorale con repentina facilità (il 36 per cento nel 2013 e il 26 per cento nel 2018). Purché individuino, elaborino ed indichino una proposta alternativa. E che i dirigenti del centrosinistra non dicano, come troppe volte accaduto, che quegli elettori sono ontologicamente di “destra” o leghisti e che quindi è possibile vincere solo per un accidente della storia. Il caso virtuoso di Milano e le decine di comuni vinti in Veneto, dimostrano che la battaglia è aperta. Togliatti voleva che il Pci avesse una sezione in ogni comune, ovunque ci fosse un campanile; il Pd provi almeno a recuperare qualche punto percentuale, perché il nord determinerà il prossimo assetto parlamentare. Si può fare.

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