Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra.

Anche il collaboratore di giustizia Angelo Siino ha affermato che la decisione di uccidere Mario Francese era attribuibile alla "Commissione" di "Cosa Nostra" e si riconnetteva agli approfonditi articoli scritti dal giornalista in ordine alla diga Garcia ed all’omicidio del colonnello Russo.

Il Siino, nell’interrogatorio del 3 marzo 1998, ha reso le seguenti dichiarazioni:

Domanda: Nell’interrogatorio del 20.8.97 ha riferito di essere a conoscenza di notizie sull’omicidio del giornalista Mario FRANCESE. Può dichiarare adesso tutto quanto è a sua conoscenza su detto omicidio?

Risposta: L’omicidio del FRANCESE si colloca in un momento particolare della vita di Cosa Nostra. Come ho già ampiamente riferito in numerosi interrogatori, infatti, era allora in corso un’attività diretta alla salvaguardia dell’impero economico di Michele SINDONA. Appresa quindi la notizia dell’uccisione del giornalista Mario FRANCESE, chiesi a Stefano BONTATE ed allo stesso Giacomo VITALE il perché di quell’uccisione, giacché pensavo che l’allarme sociale che inevitabilmente, o almeno secondo me, quell’uccisione avrebbe creato, non avrebbe giovato per nulla alla realizzazione di quel progetto di alto livello. Ricordo invece che il BONTATE ed il VITALE non si mostrarono per nulla preoccupati delle conseguenze dell’omicidio, e che “si sentivano sicuri di sé”. Non mi meravigliai allora, né mi meraviglio adesso di quella sicurezza ostentata giacché la mafia era allora così “intricata” nella società civile, e nella magistratura, tanto inquirente quanto giudicante, che avevano ben ragione di sentirsi sicuri. Fu in quella occasione che appresi di “alcune” delle ragioni che determinarono l’uccisione del giornalista Mario FRANCESE. Alla mia domanda Stefano BONTATE cercò innanzitutto di screditare la figura del FRANCESE, parlandone male. [...].

Mario Francese continuava a “rompere”

Nel corso di quella discussione Il BONTATE aggiunse che quel giornalista “non si faceva i fatti suoi” e che si interessava di cose delle quali non avrebbe dovuto interessarsi, «fatti che non lo riguardavano, quale quello di Garcia». Aggiunse che «erano arrivati» a tale PIRRI, che non so chi sia ma che doveva essere in qualche modo interessato al Giornale di Sicilia, e ad ARDIZZONE, per cercare di fare smettere il FRANCESE di interessarsi di quelle cose, più precisamente “per fargli arrivare un certo discorso”, come disse il BONTATE quasi testualmente, ma che avevano avuto come risposta “che non era possibile parlargli”. Chiesi allora al BONTATE: «Ma come ci arrivate voi a PIRRI e ad ARDIZZONE?”, ed il BONTATE mi disse: «Sono tutta una cosa con gli SPADARO». A conferma della “vicinanza” degli ARDIZZONE ad ambienti qualificati di Cosa Nostra preciso che, alla fine degli anni settanta, non ricordo bene il periodo, ho saputo da Peppuccio SPADARO che avevano fatto ritrovare ad Antonio ARDIZZONE la sua BMW 733 che era stata rubata, ed il cui furto non so se sia mai stato denunziato alle competenti autorità pubbliche. Ho pure sentito dire che alla costruzione che è stata abbattuta per realizzarvi lo stabile ove adesso ha sede il Giornale di Sicilia, in via Lincoln, erano interessati gli SPADARO.

[…] Proseguendo nelle sue dichiarazioni: «Il BONTATE mi fece capire che l’omicidio era stato in un certo senso la conseguenza di una “faida”, un conflitto di interessi, che si era venuta a creare all’interno del Giornale di Sicilia. A tal proposito, e per meglio comprendere ciò, ricordo che dopo quella discussione avuta col BONTATE, presente Giacomo VITALE, discussione che ricordo essere avvenuta all’interno di un’auto alla cui guida io ero posto, ho sentito dire al VITALE che un vecchio ARDIZZONE era Massone, e che i problemi erano sorti da quando lo stesso non si era più interessato del Giornale, non so se perché fosse morto o perché ammalato, o per qualche altra ragione, perché non mi venne precisato. Seppi anche, non ricordo adesso da chi ed in quale momento, che “si erano dovuti interessare” per risolvere un problema di vita carceraria che una figlia di PIRRI aveva avuto con una prostituta. Aggiungo anche, e lo faccio a questo punto delle mie dichiarazioni solo perché mi viene in mente adesso, che ho sentito dire a Giacomo VITALE che per cercare di fare smettere il FRANCESE di scrivere di fatti che riguardavano Cosa Nostra, gli era stato assegnato un diverso incarico, quello della cronaca sportiva. Malgrado ciò il FRANCESE continuava a “rompere”».

Le calunnia contro il giornalista

[…] Domanda: Sa quali sono stati gli “altri” motivi dell’omicidio del FRANCESE?

Risposta: Capii abbastanza chiaramente che non erano soltanto quelle le ragioni che avevano determinato la decisione di uccidere il giornalista Mario FRANCESE perché il BONTATE mi disse che il FRANCESE si interessava troppo anche “du fattu dii Ninì”, con ciò riferendosi all’omicidio del Colonnello RUSSO, Ufficiale dei Carabinieri che il BONTATE conosceva benissimo. Del RUSSO ho già parlato in altri interrogatori, resi alle Procure di Palermo e di Caltanissetta, ai quali tutti mi riporto, salvo a precisare ulteriormente le dichiarazioni già rese. Preciso oggi che il giornalista FRANCESE, a dire del BONTATE, cercava di riportare nel giusto alveo il movente dell’uccisione del Col. RUSSO, del quale pure si cercava di screditarne la figura, anche a livello giornalistico, “tirando fuori” notizie di suoi interessi economici in “presunti e mirabolanti” appalti tramite l’impresa RU.DE.SCI al RUSSO riconducibile. Con il suo lavoro invece il FRANCESE aveva già tracciato una diversa linea, quella secondo cui l’omicidio del RUSSO sarebbe stato da ricollegare ai lavori della diga Garcia. […].

Dalle dichiarazioni del Siino si desume dunque che:

  • il Siino, avendo appreso la notizia dell’omicidio di Mario Francese, domandò a Stefano Bontate ed a Giacomo Vitale quali fossero le ragioni del delitto, ritenendo che l’allarme sociale da esso provocato avrebbe ostacolato la realizzazione del progetto tendente alla salvaguardia dell’impero economico di Michele Sindona;
  • il Bontate ed il Vitale non si mostrarono affatto preoccupati per le conseguenze dell’omicidio, ed apparvero sicuri di sé;
  • il Bontate, il quale era perfettamente a conoscenza dell’episodio delittuoso, riferì al Siino alcune delle ragioni che avevano determinato l’omicidio di Mario Francese;
  • Stefano Bontate cercò, anzitutto, di screditare la figura di Mario Francese (seguendo un modus operandi tipico di "Cosa Nostra", che era solita tentare di diffamare in tutti i modi le sue vittime), affermando che si trattava di un ricattatore (circostanza, questa, che al collaborante è apparsa decisamente contraddetta dal fatto che il giornalista fu ucciso nonostante le manovre poste in essere per “farlo smettere di scrivere in un certo modo”);
  • Stefano Bontate aggiunse che Mario Francese “aveva rotto le scatole” a parecchie persone, tra cui lo stesso Siino (il quale ha specificato che il giornalista aveva scritto un articolo sull’omicidio dell’imprenditore Di Giovanni, ipotizzando che lo zio del collaborante, Salvatore Celeste, avesse esplicato un interessamento per fare svolgere al Siino alcuni lavori relativi alla strada a scorrimento veloce Palermo-Sciacca);
  • Stefano Bontate, inoltre, spiegò che Mario Francese “non si faceva i fatti suoi” e si interessava di vicende delle quali non avrebbe dovuto interessarsi, come quelle relative alla diga Garcia e all’omicidio del colonnello Russo, ed individuava esattamente il movente di quest’ultimo delitto, ricollegandolo ai lavori della diga;
  • Stefano Bontate affermò che erano stati interpellati Pirri e Ardizzone allo scopo di fare cessare l’interesse di Mario Francese per le suesposte vicende, ma la risposta era stata che non era possibile parlare al giornalista;
  • Giacomo Vitale asserì che Mario Francese, nonostante fosse stato assegnato ad un diverso incarico (quello della cronaca sportiva) continuava a “rompere”;
  • il Bontate lasciò comprendere al Siino che l’omicidio era stato conseguenza di un conflitto di interessi creatosi all’interno del "Giornale di Sicilia";
  • la deliberazione dell’omicidio di Mario Francese è certamente attribuibile alla "Commissione", per la rilevanza del fatto criminoso;
  • secondo le confidenze fatte al Siino da Stefano Bontate e da Salvatore Inzerillo, nel 1978, all’epoca della deliberazione dell’omicidio, la "Commissione" era composta da Calogero Pizzuto, un cugino di Gaetano Badalamenti, Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Giuseppe Calò, Francesco Madonia (o Giuseppe Giacomo Gambino), Giuseppe Farinella, Bernardo Brusca e Nicolò Salamone (entrambi in sostituzione di Antonino Salamone), Giuseppe Panno, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano (entrambi a capo del "mandamento" di Corleone), Antonino Geraci “il vecchio”, Chiaracane, Antonino Mineo, Michele Greco, probabilmente Rosario Riccobono.

I riscontri alle dichiarazioni di Siino

[…] Le dichiarazioni rese dal Siino con riguardo ai fatti per cui è processo appaiono caratterizzate da una indubbia attendibilità intrinseca. Esse risultano precise, dettagliate, logicamente coerenti, e traggono origine da riservate conservazioni intercorse tra lui, Stefano Bontate e Giacomo Vitale su argomenti di estrema delicatezza, sui quali il capo del "mandamento" di Santa Maria di Gesù era in grado di disporre di esaurienti informazioni, non solo per la sua posizione di vertice all’interno di "Cosa Nostra", ma anche per i suoi contatti con importanti personaggi esterni all’organizzazione. La possibilità che al collaborante sia stata esposta deve certamente escludersi, in considerazione del saldo rapporto di fiducia personale allora esistente tra Stefano Bontate ed Angelo Siino; proprio sulla base di questo stretto legame fiduciario, il Siino, pochi mesi dopo l’omicidio di Mario Francese, venne attivamente coinvolto in una vicenda di straordinaria rilevanza, destinata a svolgersi nella più completa segretezza, come il ritorno in Italia di Michele Sindona. […].

Numerose circostanze riferite dal Siino hanno trovato puntuale riscontro nelle indagini espletate.

[…] Talune altre circostanze che il Siino ha riferito di avere appreso da Stefano Bontate o da Giacomo Vitale sono state confermate dalle indagini della polizia giudiziaria, le quali hanno accertato che:

  • Federico Ardizzone, nato a Palermo il 10/8/1906, azionista del "Giornale di Sicilia", era iscritto alla Loggia massonica “Lux” (cfr. la nota del 4/4/1998 della D.I.A. di Palermo sul punto delega n. 6 e la scheda allegata);
  • Maria Fiora Pirri Ardizzone, figlia di Pietro Pirri Ardizzone (azionista del "Giornale di Sicilia"), già coniugata con il noto estremista Piperno, fu tratta in arresto il 5 aprile 1978 e venne scarcerata a seguito di decreto di grazia emesso dal Presidente della Repubblica in data 27 maggio 1985 (cfr. la nota del 4/4/1998 della D.I.A. di Palermo sul punto delega n. 9);
  • Antonio Ardizzone presentò negli anni 1979 e 1983 denuncia di furto di autovettura presso il Commissariato di P.S. di Via Roma a Palermo (cfr. la nota del 7/5/1998 della D.I.A. di Palermo).

Dai verbali di assunzione di informazioni del 6 aprile 1998, del 9 aprile 1998 e del 25 giugno 1998 si desume che Antonio Ardizzone ebbe la disponibilità di un’autovettura BMW 535 di colore grigio metallizzato, con gli interni di colore azzurro, la quale gli venne rubata, nei primi anni ’80, presso Piazza S. Erasmo, di fronte alla pescheria di Francesco Tagliavia, dove egli si era recato per acquistare del pesce; dopo sei o sette mesi dal furto, l’autovettura fu ritrovata dalla polizia o dai carabinieri, e fu rivenduta dall’Ardizzone ad altri soggetti.

[…] L’asserzione di Giacomo Vitale, riferita dal Siino, secondo cui Mario Francese era stato assegnato alla cronaca sportiva, corrisponde anche al ricordo del Generale Subranni, il quale, nel verbale di assunzione di informazioni dell’8 gennaio 1997, ha specificato: “a seguito di gravi problemi cardiaci avuti, il Francese era stato destinato, in ultimo, alla cronaca sportiva”. Nel capitolo IV si è avuto modo di chiarire come, dopo l’infarto che aveva colpito il cronista, fosse stato ventilato il suo trasferimento ad altro settore, che però non venne attuato; Mario Francese aveva, peraltro, esternato con forza la propria determinazione di continuare ad occuparsi di cronaca giudiziaria.

Deve pertanto rilevarsi che, pur non essendovi prova dell’effettiva realizzazione delle condotte che i suddetti esponenti mafiosi, discutendo con il Siino, si vantavano di avere attuato nei confronti degli azionisti del "Giornale di Sicilia", risulta accertato che all’interno di "Cosa Nostra" circolavano talune notizie le quali denotavano una particolare attenzione verso i titolari del giornale. Una attenzione che era, evidentemente, finalizzata ad instaurare buoni rapporti con il mondo dell’informazione, e di esercitare su di esso un pesante condizionamento, in coerenza con quanto ha riferito il collaborante Gioacchino Pennino.

È naturale che a questo disegno, coltivato da alcuni esponenti di primario rilievo di "Cosa Nostra", si accompagnasse l’aspettativa che Mario Francese venisse indotto a desistere dal pubblicare articoli giornalistici su vicende che riguardavano l’organizzazione mafiosa.

Queste attese non trovarono però rispondenza nella linea seguita dagli azionisti e dalla direzione del "Giornale di Sicilia". Il ventilato trasferimento di Mario Francese al settore della cronaca regionale non si verificò; egli, dopo il periodo di convalescenza immediatamente successivo all’infarto che lo aveva colpito, tornò a svolgere il suo lavoro di cronista giudiziario con l’impegno di sempre, senza essere soggetto a condizionamenti.

Del resto, più in generale, come ha sottolineato il giornalista Francesco Nicastro nel verbale di assunzione di informazioni del 10 aprile 1998, il "Giornale di Sicilia" mantenne una linea di rigore e di libertà intellettuale sui temi della lotta alla mafia sotto la direzione di Lino Rizzi prima, e di Fausto De Luca poi.

È quindi del tutto ragionevole ritenere che i vertici di "Cosa Nostra", a fronte dell’atteggiamento dei titolari del "Giornale di Sicilia" - i quali, contrariamente alle aspettative sviluppatesi negli ambienti mafiosi, non avevano effettuato alcun intervento volto a condizionare il coraggioso impegno di informazione di Mario Francese - abbiano violentemente reagito con una serie di condotte delittuose, in progressione di tempo sempre più gravi, volte prima ad intimidire il direttore ed il capo cronista, e poi a fare tacere per sempre il giornalista che più di ogni altro era in grado di far conoscere all’opinione pubblica l’organigramma, le vicende interne, le relazioni esterne e le nuove strategie dell’associazione criminale.

Il colonnello Russo voleva lasciare l’Arma

Quanto alle dichiarazioni del Siino sulla ulteriore causale dell’omicidio del colonnello Russo, consistente “nell’interessamento di detto Ufficiale per fare aggiudicare i lavori della costruzione della Diga di Piano Campo all’impresa SAISEB, allora diretta in Sicilia da un geometra a nome Catani”, deve osservarsi che Antonino Salvo, nel verbale di sommarie informazioni testimoniali rese il 30 agosto 1977, affermò che il colonnello Russo gli aveva «qualche volta accennato alla sua intenzione di lasciare il servizio- nell’Arma anche in considerazione del fatto che aveva ormai raggiunto il massimo della pensione e di dedicarsi ad altra attività lavorativa», e soggiunse: «Nei vari discorsi fatti per la eventuale attività che il Col. Russo si proponeva di svolgere dopo il suo pensionamento, unico collegamento che sono in grado di ipotizzare, senza averne specificamente parlato, è con qualche rappresentante locale della società “SAISEB”, con sede in Roma, che si occupa di appalti nei lavori pubblici, di strade, dighe e bonifiche». Nel rapporto giudiziario redatto il 25 ottobre 1977 dal Comandante del Nucleo Investigativo del Gruppo di Palermo dei Carabinieri, Magg. Antonio Subranni, si specificava che dettagliati chiarimenti sui tentativi del colonnello Russo di inserirsi nella vita civile erano stati forniti dai suoi amici più intimi, quali Domenico Catani (dirigente della S.A.I.S.E.B.) e Angelo Siino (p. 41).

La correlazione tra l’uccisione del colonnello Russo ed il rapporto instaurato da quest’ultimo con la società SAISEB, non era sfuggita a Mario Francese, il quale aveva concluso il primo articolo della sua inchiesta giornalistica sul tema: “l'incredibile storia di appalti e delitti per la diga Garcia”, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 4 settembre 1977, con il seguente periodo: «a Ficuzza, è stato trucidato spietatamente il colonnello dei carabinieri Russo, il quale forse riteneva di poter affrontare con la caparbia che lo aveva distinto al nucleo investigativo di Palermo il nuovo compito di consulente della Saiseb, un'impresa impegnata nel “deserto di Garcia” e quindi anche nella corsa agli appalti per le opere di bonifica attorno alla grande diga».

Deve inoltre rilevarsi che tra gli appunti rinvenuti presso l’abitazione del colonnello Russo, sita a Palermo in Via Ausonia n. 150, vi era un foglietto recante l’annotazione “oltre 500 milioni (SITAS), demolizioni – ispettorato – Siino – Scibilia”.

Va altresì sottolineato che il processo verbale di fermo redatto il 2 settembre 1978 a carico di Rosario Mulè, Vincenzo Mulè, Salvatore Bonello, Lorenzo Di Maio, ritenuti responsabili – unitamente a Casimiro Russo, tale Loria e uno sconosciuto – del duplice omicidio del Colonnello Giuseppe Russo e dell’insegnante Filippo Costa, nonché di altri reati, reca in calce la sottoscrizione del Brig. Carmelo Canale e di altri ufficiali di P.G..

La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.

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