Purché non si pretenda il senso dell’appartenenza. E nemmeno il rispetto. È uno strano rapporto quello che si è instaurato fra il Paris Saint Germain e i suoi calciatori. Costruito sullo strumentalismo più asettico e regolarmente destinato a terminare nell’ingratitudine.

Da quando il club è passato in mani qatariote, anno 2011, lo schema è sempre quello: grandi investimenti su alcuni fra i calciatori più importanti al mondo, pareggiabili da quasi nessuno al mondo, ma anche unioni fra calciatori e club che non oltrepassano il respiro del tempo contrattuale e dell’impegno di lavoro.

Quanto all’identità, o all’attaccamento alla maglia, non si prova nemmeno a fingerli perché proprio non esistono. E anzi, chi può scappa appena se ne presenta l’occasione. Il lungo addio di Kylian Mbappé è soltanto l’ultimo caso in ordine di tempo. Ma altri ne seguiranno perché quella è la reale cifra del Psg: un club che sta nell’élite del calcio europeo senza averne mai maturato la tradizione né essere ancora riuscito a comprarsela.

Salary gap

Per avere la misura di questo paradosso è utile consultare le cifre da poco pubblicate dall’Uefa nel suo annuale “European Club Finance and Investment Landscape”, il rapporto che oltre a presentare le cifre complessive sullo stato di salute economico-finanziaria del calcio europeo effettua la comparazione fra le singole realtà nazionali e di club.

La sezione dedicata al foglio paga annuale riferisce che il club controllato da Qatar Sports Investments (Qsi) si piazza al secondo posto con una spesa di 617 milioni di euro nell’anno 2023. Soltanto il Barcellona, con 639 milioni di euro, spende di più e continuerà a farlo fino a che la spaventosa montagna del debito non franerà addosso al club guidato da Joan Laporta.

La terza piazzata in questa graduatoria, il Manchester City, presenta una cifra molto distante: 554 milioni di euro. Ancor più lontano il Real Madrid, che occupa il quarto posto con una spesa di 453 milioni di euro. E proprio il Real Madrid è il più scomodo fra i termini di paragone, vista la rivalità passata e recente fra i due club.

Mbappé si è accordato con il club merengue per un salario che dovrebbe toccare i 50 milioni di euro netti a stagione, rispetto ai 72 milioni di euro garantiti dal club parigino.

E per quanto lo scarto venga abbondantemente coperto dal generoso premio “una tantum” per la firma del contratto (si parla di 130 milioni di euro), emerge che l’attaccante della nazionale francese ha cambiato aria non certo per andare incontro a un migliore trattamento economico. Su quel piano il Psg continua a essere irraggiungibile.

Di fatto, mentre nel calcio europeo si continua a discettare sull’eventualità di introdurre il salary cap (tetto salariale), il club parigino insiste a costruire la sua forza sul salary gap (divario salariale). Paga stipendi alieni per realtà calcistica francese e non pareggiabili per la concorrenza europea.

Lo fa anche a costo di andare incontro alle sanzioni per la violazione del fair play finanziario, come è già successo. Ma nonostante ciò, i calciatori che di questa generosità sono beneficiari non si sentono obbligati a mostrare gratitudine. Specie i big, che rimangono giusto il tempo necessario a gonfiare il conto in banca ma poi se ne vanno senza rimpianti.

C’erano una volta i tre tenori

C’è stato un momento in cui il Psg si permetteva il lusso di schierare tre fra i più grandi fuoriclasse di questo scorcio di ventunesimo secolo: Neymar Junior, Kylian Mbappé e Lionel Messi.

Una concentrazione di talento persino eccessiva, per una squadra che come le altre non può fare scendere in campo più di undici giocatori. E un foglio paga conseguente, oltre alle spese necessarie per portare i tre tenori a indossare la maglia del club.

Quella è stata la fase in cui si è pensato che il club parigino fosse più vicino che mai al traguardo più agognato, quella Champions League che è stata soltanto sfiorata nell’anno della pandemia. E invece sono stati altri insuccessi sul campo, cui è seguito il progressivo addio dei tre protagonisti. Neymar e Messi se ne sono andati alla fine della scorsa stagione.

Il brasiliano è partito per l’Arabia Saudita, dove il super-agente israeliano Pini Zahavi gli ha fatto spuntare un contratto biennale da 80 milioni di euro l’anno. E pareva che nella stessa destinazione dovesse approdare anche Lionel Messi, che fra l’altro era già testimonial dell’agenzia nazionale saudita per lo sviluppo del turismo. Invece l’argentino, alla scadenza del contratto col Psg, ha preferito l’offerta che gli è giunta dalla Major League Soccer (Mls) statunitense e dall’Inter Miami di David Beckham.

Ma riguardo al caso dell’argentino rimane un dato che nelle stanze del club governato da Qsi genera disappunto: il contratto prevedeva alla scadenza un’opzione molto generosa per il rinnovo. Un’offerta che si dava per scontato venisse azionata dall’argentino. Che invece ha dimostrato come nulla si possa dare per scontato, al Psg.

E che evidentemente il denaro in quantità esorbitante non è argomento sufficiente. Sicché, dei tre tenori, l’unico a rimanere a Parigi per la stagione in corso è stato Mbappé. Ma soltanto perché aveva ancora un anno di contratto da rispettare, e lasciando che il Real Madrid provasse ogni azione di convincimento sul Psg per lasciare andar via in anticipo l’attaccante. Per questo va a finire che l’addio del francese sarà il più doloroso e irriguardoso dei tre.

Perché se Messi fa come se da Parigi non ci fosse mai passato, e Neymar non perde occasione per lanciare frecciate al suo ex club, Mbappé ha reso chiaro da subito che rimaneva in Ligue 1 soltanto perché costretto a farlo. E nel frattempo ha continuato a essere decisivo, giusto per rendere ancora più amaro (per il club) l’addio quando sarà il momento. Non ha nemmeno aspettato che terminasse la stagione per annunciare il trasferimento a Madrid, che del resto era scontato. Il rispetto non abita qui e forse non ci abiterà mai. Ma sarebbe sciocco pensare che dipenda soltanto dagli ingrati calciatori.

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