Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rimosso Elisabetta Palmieri dal ruolo di direttrice del carcere ‘Francesco Uccella’ di Santa Maria Capua Vetere. La decisione è stata assunta in merito a quanto accaduto, venerdì 23 luglio, durante la visita della senatrice Cinzia Leone.

La direttrice ha pensato bene di consentire al suo compagno, soggetto estraneo all’amministrazione, di presenziare alla visita in istituto della senatrice e di accompagnarla negli incontri con i detenuti. L’ennesimo scivolone che è costato caro alla direttrice che era riuscita a salvarsi nonostante i numerosi errori commessi che non le avevano impedito addirittura di presentare e presenziare all’incontro con la ministra Marta Cartabia e con il presidente del Consiglio Mario Draghi.

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La direttrice che crede al depistaggio

Ai vertici del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e alla ministra non era bastato quanto rivelato da Domani in merito alle posizioni assunte dalla direttrice sul pestaggio di stato del 6 aprile 2020. La vicenda relativa al destino della direttrice rivela, ancora una volta, la fragilità nel sistema di controlli da parte del ministero e del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

A inizio luglio erano note alcune responsabilità a carico della direttrice che non era presente durante l’orribile mattanza, che non è indagata, ma che ha creduto e difeso la catena di comando responsabile delle violenze. Aveva definito le nostre inchieste dello scorso autunno «articolacci». Aveva parlato di olio bollente, spranghe, bastoni, presenti il giorno prima della «orribile mattanza» del 6 aprile all’interno del carcere. Aveva raccontato di un magistrato di sorveglianza, Marco Puglia, trattato malissimo dai detenuti contraddicendo le dichiarazioni rilasciate da lui stesso.

Aveva detto che Lamine Hakimi, il giovane algerino morto abbandonato da tutti un mese dopo il pestaggio degli agenti di polizia penitenziaria, era morto perché voleva strafarsi. Insomma, aveva creduto appieno alla linea depistaggio. Non c’è solo la questione relativa ai fatti del 6 aprile, ma anche l’intera gestione del carcere. Una gestione che è nota al dipartimento in particolare in merito ad alcuni aspetti più volte denunciati.

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A partire da un dato relativo a responsabili della struttura che non entrano nei reparti, ma anche alla mancata fornitura mensile ai detenuti. Altri episodi raccontano questa gestione discutibile. Durante una giornata in cui mancava l’acqua, le bottigliette sostitutive sono state consegnate solo grazie all’intervento di agenti arrivati dall’esterno. Un detenuto è rimasto per giorni senza la necessaria visita psichiatrica e a placare le sue proteste hanno provveduto gli agenti del gruppo mobile arrivato da Roma. «Alcuni reclusi dell’alta sicurezza non avevano mai visto la direttrice prima di un incontro di qualche mese fa», racconta una fonte all’interno del mondo carcerario campano.

L’istituto è apparso, nei fatti, senza guida eppure il dipartimento ha lasciato la direttrice al suo posto e addirittura Palmieri ha avuto un ruolo nella visita della ministra e del presidente del Consiglio. Il 13 luglio, accogliendo la ministra Cartabia e il primo ministro Draghi, la direttrice ha parlato di una «giornata speciale». Domani aveva chiesto alla ministra, nelle 13 domande, anche le ragioni della mancata rimozione di Elisabetta Palmieri senza ottenere risposta.

La disorganizzazione del carcere, la posizione di difesa nei confronti della catena di comando coinvolta nei fatti del 6 aprile non erano state ragioni sufficienti per rimuoverla. Si attende il nuovo scivolone del 23 luglio per prendere provvedimenti. Quel giorno arriva in visita al carcere la senatrice Cinzia Leone.

L’esponente del M5s viene fatta accompagnare da un uomo indicato dalla direzione. Leone, due collaboratici, il garante Emanuela Belcuore e il misterioso Cicerone hanno visitato prima il reparto Senna e poi il reparto Nilo, quello dove si è compiuto il pestaggio di stato. Alla fine della visita sul foglio con i nominativi dei presenti è comparso il nome di Armando Schiavo con la dicitura “autista”.

A quel punto la senatrice ha dichiarato di non avere l’autista e ha chiesto l’identità del soggetto. Dopo un imbarazzato silenzio, la commissaria davanti alle insistenze di Leone, ha detto che si trattava del compagno della direttrice, ex rappresentante della polizia penitenziaria in pensione da qualche anno. Viene inquadrato, dice la direzione del carcere, come articolo 17: volontario. Ma c’è dell’altro, dalle carte dell’inchiesta sul pestaggio del 6 aprile 2020 emerge che il numero di cellulare in uso alla direttrice è intestato proprio a Schiavo. «Ci sono relazioni agli atti che giustificano tutto il mio operato inviate agli organi superiori», si è giustificata Palmieri che non ha voluto aggiungere altro. Questa volta le relazioni agli atti non l’hanno salvata dalla rimozione.

Il direttore generale del personale del dipartimento, infatti, contesta proprio un’anomala condotta nell’avere consentito a Schiavo di presenziare alla visita in istituto della senatrice Cinzia Leone e di accompagnarla negli incontri con i detenuti.

Schiavo e la visita di Draghi

Schiavo risulta autorizzato per finalità volontaristiche a frequentare esclusivamente il laboratorio di pasticceria all’interno del carcere, che opera nella sola giornata di martedì. Quando la ministra Marta Cartabia e il presidente del Consiglio Mario Draghi hanno visitato il carcere di Santa Maria Capua Vetere, il giorno 14, era un mercoledì e Schiavo non era in pasticceria.

Oltre ai due protagonisti di giornata e alla direttrice che conduceva l’evento c’era una comparsa che è stata ripresa dalle telecamere e notata da tutti. Si occupava di sistemare il microfono, di igienizzarlo prima dell’intervento degli illustri ospiti. L’uomo in camicia azzurrina e jeans era proprio Armando Schiavo.

Il cerimoniale di palazzo Chigi, la sicurezza del primo ministro non si erano accorti della presenza di Schiavo, «soggetto estraneo all’amministrazione»? Un’altra domanda si aggiunge alle molte ancora senza risposta.

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