Nonostante l’inflazione e i rincari energetici, gli italiani restano impegnati ad alimentare correttamente i propri animali, nonostante gli aumenti di prezzo. Per altro, acquistando prodotti gravati dall’Iva a un’aliquota normalmente applicata ai beni di lusso
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
I consumi di alimenti per animali da compagnia (pet food) non conoscono la crisi. Lo ha affermato il XVII Rapporto di Assalco (Associazione Nazionale tra le Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia) e Zoomark (Fiera internazionale del petfood e del pet care), presentato nel maggio scorso. Sono 65 milioni gli animali di famiglia: gatti (10,2 milioni) e cani (8,8 milioni), nonché pesci (30 milioni), uccelli (13 milioni), piccoli mammiferi e rettili (3 milioni).
Nonostante l’inflazione e i rincari energetici, gli italiani restano impegnati ad alimentare correttamente i propri animali, nonostante gli aumenti di prezzo. Del resto, come risulta da un sondaggio Bva Doxa, il costo è solo il sesto fra i criteri utilizzati nel decidere l’acquisto del cibo per i pet: il primo è la qualità degli ingredienti, indicata dal 74 per cento dei proprietari, e a seguire il consiglio del veterinario, la fiducia nella marca dell’alimento, il contenuto proteico e la praticità del prodotto.
Nel 2023 il mercato italiano del pet food ha sviluppato un giro d’affari di oltre 3 miliardi di euro (+13,4 per cento di fatturato) a parità di tonnellate vendute (circa 673mila) rispetto all'anno precedente. Gli alimenti (umidi, secchi e snack) per gatti rappresentano il 55,3 per cento e quelli per cane il 44,7 per cento del totale del mercato (Grocery + Petshop Tradizionale + Petshop Catene + GDO).
I controlli sul pet food
Il pet food è sottoposto a numerose verifiche al fine di tutelare la salute degli animali e dei loro proprietari. A ciò è preposto il Piano Nazionale di controllo ufficiale sull’alimentazione animale, la cui attuazione spetta alle Regioni/Province Autonome mediante le aziende sanitarie locali.
Per l’attuazione del Piano sono previsti il monitoraggio e la sorveglianza sui mangimi, anche con una vigilanza ispettiva svolta su tutte le imprese del settore. Il Piano relativo al triennio 2024-2026 è stato aggiornato sulla base di criteri di rischio che tengono conto, tra le altre cose, delle risultanze degli anni di applicazione precedenti, delle allerte comunitarie, delle evoluzioni normative.
In occasione del 30° meeting dell’Efsa (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) dedicato ai rischi emergenti in sanità pubblica, la Federazione dei veterinari europei ha evidenziato quelli derivanti da diete per gli animali da compagnia a base di carne cruda. Tale alimentazione può avere ripercussioni sulla salute pubblica a causa della possibilità di trasmissione di agenti patogeni sia agli animali da compagnia che alle persone, data la maggiore esposizione dell'ambiente ai parassiti. Nel Regno Unito, l’Agenzia Nazionale Sanitaria ha messo in relazione l’aumento di casi di salmonella nelle persone con il consumo di carne cruda da parte dei pet.
Questa dieta – la cui popolarità è cresciuta tra i proprietari di animali da compagnia, malgrado i suoi presunti benefici siano più aneddotici che dimostrati – registra una sempre maggiore diffusione in diversi paesi europei, con percentuali di consumo superiori a quelle riscontrate negli Stati Uniti, dove essa è originata.
Etichettatura del bio
Lo scorso autunno è stato emanato il Regolamento europeo concernente l'etichettatura degli alimenti biologici destinati agli animali da compagnia. Con tale provvedimento si è inteso uniformare il settore del bio e allineare la produzione del pet food alla normativa Ue e agli standard già previsti per gli alimenti destinati al consumo umano, offrendo maggiori certezze tanto ai produttori quanto ai proprietari-acquirenti di cibo biologico per animali.
Le produzioni di pet food biologico, oltre a soddisfare le esigenze di un mercato sempre più sensibile alle questioni ambientali e alla salute degli animali, sono tese a favorire sostenibilità ed economia circolare, in linea con gli obiettivi europei del Green Deal. Del resto, per un consumatore su quattro, la sostenibilità – packaging riciclabile, utilizzo di fonti di energia elettrica rinnovabile e uso efficiente dell’acqua – è sempre più un driver importante nella scelta del prodotto.
L’Iva sul pet food
I proprietari di animali da compagnia, nonostante gli aumenti di prezzo, spendono quanto necessario per fornire loro un’alimentazione corretta, come detto. Ma permane la gravosa applicazione ai cibi per cani e gatti, nonché ai prodotti per la loro cura, dell’aliquota Iva del 22 per cento, usualmente prevista per prodotti e servizi non essenziali.
In altre parole, da punto di vista fiscale il pet food è assimilato ai beni di lusso.
Da molti anni i soggetti interessati chiedono al parlamento una riduzione dell’aliquota Iva al 10 per cento, allineando così la normativa italiana a quella europea, che inserisce i prodotti alimentari per animali tra quelli per i quali è possibile prevedere aliquote agevolate. In Germania, ad esempio, al pet food si applica un’aliquota Iva ridotta, pari al 7 per cento. Ciò significa che gli italiani sugli stessi prodotti sono gravati da un’imposta tre volte superiore. La diminuzione dell’aliquota Iva sugli alimenti per cani e gatti, nonché su altri prodotti, potrebbe influire sul numero di abbandoni e cessioni, atto deprecabile talora causato da motivazioni economiche, secondo quanto afferma Giorgio Massoni, presidente di Assalco. Nel dicembre scorso, in un ordine del giorno alla Camera sulla legge di Bilancio 2025, il governo si è impegnato a valutare una riorganizzazione dell'Iva sulla salute e sull'alimentazione dei pet. Si vedrà se tale impegno sarà davvero mantenuto.
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