C’è voluta la protesta dei giovani attendati sulle piazze di Milano e di altre città per richiamare l’attenzione del pubblico e dei media sul drammatico disagio degli universitari fuori sede. Il problema era manifesto da anni, ma nel mondo dei decisori nessuno se ne era mai preso cura.

Gli universitari iscritti in una provincia diversa da quella di residenza sono (dati del 2022) circa 600mila, circa un terzo del totale nazionale degli iscritti. A questa popolazione rispondono circa 50mila posti letto, meno di un decimo del necessario. Che ne è di tutti gli altri? In gran parte fanno la spola con la casa dei genitori, dando luogo a un fenomeno unico in Europa. Siamo infatti il paese che ha il numero più alto di studenti che non lasciano la casa di mamma e papà: il 68 per cento (secondo altre valutazioni, il 40), contro una media europea del 17 per cento.

L’affare

Agli altri hanno pensato finora i piccoli privati, che da decenni nelle zone attorno alle università affittano in modo selvaggio appartamenti organizzati come le komunalka sovietiche, dove più famiglie vivevano in una stessa stanza, un angolo per ciascuna.

I giovani pagano per avere una stanza, mezza stanza, un angolo e perfino un letto o un divano a prezzi da rapina, senza contratto, assicurazioni né garanzie (e senza che i proprietari versino una lira al fisco). Questa pratica ha avuto di alcune città un effetto devastante, simile a quello degli B&B: interi palazzi, estesi frammenti di città, destinati a questi usi, hanno contribuito a drogare il mercato degli affitti e, siccome i giovani sono spesso irrequieti, a degradare il patrimonio edilizio.

Con sorprendente lungimiranza, nel 2021 il Pnrr ha previsto 960 milioni di euro per le residenze universitarie (ora più acconciamente ribattezzate student housing), con l’obiettivo, estremamente ambizioso, di aggiungere entro il 2026 60mila nuovi posti letto ai circa cinquantamila esistenti.

Il totale darebbe una cifra pur sempre molto inferiore al fabbisogno, ma l’iniziativa è comunque notevole. Ha però un prezzo: concepito in un clima fortemente neoliberale, il Pnrr ha generosamente previsto che l’iniziativa possa esser presa anche da privati, allettati con un finanziamento pubblico fino al 75 per cento e con la copertura degli oneri di gestione per i primi tre anni.

I grandi privati

Inoltre, lo student housing, essendo classificato come edilizia sociale gode di un regime fiscale più vantaggioso. Insomma, sin dall’inizio tutto è stato apparecchiato per stuzzicare l’appetito dei grandi privati, che già del resto avevano fiutato l’aria.

Dopo aver messo le mani sul mercato della sanità e della riabilitazione, il grande capitale si è accorto infatti che il mondo dell’education (oggi si dice così), nelle sue varie articolazioni, trascurato dal pubblico, è un campo di conquista. Non a caso nel 2021 gli investimenti privati europei in residenze studentesche hanno superato i cinque miliardi di euro, concentrandosi soprattutto in alcuni paesi (Regno Unito, Germania, Svizzera e Danimarca). Ora è venuta l’ora dell’Italia.

Aveva cominciato qualche anno fa The Student Hotel, multinazionale olandese delle residenze temporanee con strutture in Olanda, a Barcellona e a Parigi, acquisendo e attrezzando a studentato un palazzo storico di Firenze con affitti a partire da 600 euro al mese.

La cifra non è modica, ma almeno – assicurano – lo standard è elevato. A Bologna è poi apparso Camplus, potente società privata che, finanziandosi coi fondi pubblici, ha creato tre residenze con mensa, palestra, aule studio, biblioteca, sale riunioni, sala ricreativa. I canoni non sono proprio da ostello della gioventù: fino a milletrecento euro al mese, ma si assicura che la qualità è premium.

Ora si affaccia al mercato COIMA, una società italiana che ha appena acquisito la smisurata area milanese dello scalo Porta Romana, su cui conta di costruire un villaggio olimpico in vista dei giochi invernali Milano-Cortina, da destinare in parte, una volta finiti i giochi, a residenze studentesche per 1.700 posti. L’operazione, finanziata come al solito con fondi in gran parte pubblici (Pnrr, regione, comune ecc.), dovrebbe dar luogo (come promette il sito della società) a «un vivace ecosistema di abitazioni studentesche, residenze, co-working, ecc.».

Lo scaricabarile

E che cosa fa la sfera pubblica in tutto questo trambusto? Per abitudine, preferisce tacere. Dal 2008 al 2011, in uno dei governi Berlusconi, l’Italia ebbe perfino un ministero della Gioventù. E chi occupava lo scranno? Proprio lei, l’attuale capo del governo, Giorgia Meloni, all’epoca poco più che trentenne!

Sebbene il soggiorno sia durato più di tre anni, non sembra che abbia lasciato traccia alcuna, né tra i giovani universitari né tra gli altri. La sfera pubblica però non si limita a tacere, ma produce entropia. Comuni, regioni e ministero discutono, litigano e fanno a scaricabarile per definire le rispettive competenze sul tema. E non basta.

Siccome non si riesce a costruire secondo le scadenze fissate dalla normativa per i diversi lotti (7.500 posti entro il 2022; 52.500 entro il 2026), si preferisce recuperare posti letto presso strutture esistenti, per lo più in mani private.

La fuga

Il disordine, quindi, regna sovrano. Ciò dipende non solo dal fatto che la concezione neoliberista del Pnrr lascia ai privati mano fin troppo libera, ma soprattutto da un dato più generale e sconcertante. Che è questo: dei giovani come problema nazionale primario, e soprattutto di quelli con pochi mezzi (che prima o poi verranno più acconciamente etichettati worst-off), sembra non importar niente a nessuno.

È un gran merito dei giovani attendati il fatto di aver acceso i riflettori sulla gravissima questione delle residenze universitarie. Ma la più scandalosa manifestazione di negligenza verso il mondo dei giovani si ha dinanzi al fenomeno della fuga dall’Italia, cioè dell’emigrazione delle persone che lasciano il paese per stabilirsi altrove.

Tra loro ci sono decine di migliaia di giovani, la più parte altamente qualificati, che prendono residenza all’estero, dove trovano lavori, retribuzioni e soddisfazioni maggiori che da noi. Nel 2022 le partenze sono state più di 120mila (il 2,2 per cento più dell’anno prima), di cui un terzo giovani laureati.

Il risultato è da terzo mondo: oggi risultano iscritti all’Aire 5.806.068 persone, quasi il dieci per cento degli oltre 58,9 milioni dei residenti in Italia. Di questo, che è un dramma nazionale ignorato, fa cenno ogni tanto il capo dello Stato, ma la politica continua a tacere. Dinanzi a disastri simili sarebbe decente, perlomeno, evitar di piagnucolare perché solo il 28 per cento dei giovani italiani si laureano, mentre la media Ocse è del 40.

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