La poco nota sindrome alfa-gal sarà sempre più diffusa. Colpa del clima

Prima di scoprire di essere affetti dalla sindrome alfa-gal possono trascorrere anni. Almeno sette, nell’80 per cento dei casi. Eppure potrebbe bastare un semplice prelievo del sangue per venirne a conoscenza. Già questo rende l’idea di quanto sia subdola quest’allergia, poco nota anche al personale medico, il che rende ancor più difficile la gestione dei pazienti. A provocare l’alfa-gal sono gli anticorpi IgE, che agiscono contro il galattosio-alfa, uno zucchero presente nei mammiferi ma non nell’essere umano. Ecco perché la sindrome è meglio nota come l’allergia della carne rossa. Molto spesso infatti l’alfa-gal si manifesta dopo aver mangiato mammiferi non primati come manzo, maiale, agnello, cavallo, capra, cacciagione, ma anche bufali, montoni e canguri. Meno frequenti invece i casi che derivano dalla gelatina o prodotti lattiero caseari, così come dai farmaci, anche se la scoperta dell’alfa-gal si deve proprio a uno studio oncologico sulla sostanza antitumorale cetuximab. A differenza delle altre intolleranze alimentari però, i suoi sintomi si manifestano generalmente più tardi, tra le 3 e le 8 ore dopo l’ingestione. Edema, orticaria, problemi gastrointestinali sono le conseguenze più comuni e meno impattanti, ma si può arrivare fino all’anafilassi e dunque a mettere in pericolo la propria vita. A diffondere la sindrome alfa-gal in tutto il mondo sono delle semplici zecche. Era il 1991 quando Sandra Latimer, con l’aiuto di Antony Deutsch, aveva notato una correlazione tra il morso delle aracnidi e i sintomi dell’allergia. Quei pizzichi erano avvenuti molto tempo prima la comparsa delle prime manifestazioni, per cui doveva esserci una connessione. E infatti c’era. Poco più di un decennio fa, alcuni ricercatori svedesi avevano ritrovato l’alfa-gal nella saliva delle zecche europee, ixodes ricinus. Sebbene i casi vengano riscontrati ovunque, è però quella americana (amblyomma americanum, o Lone Star) a destare maggiore preoccupazione. Oltre gli eventi estremi e gli allevamenti intensivi: il futuro del cibo è nelle leguminose La sindrome dei nostri tempi In questa storia c’entra molto il cambiamento climatico, motivo per cui potremmo definire l’alfa-gal come la sindrome dei nostri tempi. Le zecche Lone Star amano il caldo e si trovano soprattutto nel sud-est degli Stati Uniti ma, con l’aumento delle temperature, stanno allargando il raggio del loro habitat. Se prima non ci pensavano nemmeno a vivere nelle grandi metropoli statunitensi dell’East Coast a causa del freddo, adesso invece si trovano a loro agio. Anche il continuo allargamento delle aree urbane, a discapito della vegetazione, alimenta il contatto tra uomo e zecche, dato che queste molto spesso si appiccicano su altri animali come i cervi. Così come alcune proteine delle zecche sono state riscontrate nel veleno delle vespe. Il risultato è che siamo passati dai pochissimi casi del 2009, appena qualche decina, ai 150mila di oggi. Come scritto però la conoscenza di questa allergia è bassa, per cui i numeri potrebbero essere altamente al ribasso. Secondo alcune stime, parliamo di 450.000 casi. Non è tuttavia necessario trovarsi a New York per essere le prossime vittime. Lo scorso autunno il Vineyard Gazzette, il giornale dell’isola Martha’s Vineyard, al largo delle coste del Massachusetts, ha notato un aumento tutt’altro che banale dei casi di alfa-gal dovuti alla presenza sempre più massiccia di zecche. Appena cinque anni fa erano stati registrati appena due casi, poi nel 2022 sono diventati 77 e infine alla fine dello scorso anno erano più di 365. Tanto che sull’isola è stata necessaria l’istituzione di un gruppo di supporto per la popolazione. Anche l’Europa non è immune alle zecche, diffuse a macchia d’olio in tutta l’Unione europea a causa delle alte temperature. Nel futuro questo fenomeno non potrà quindi che confermarsi. «Pensavamo che fosse relativamente raro dieci anni fa, ma è diventato sempre più comune e mi aspetto che continui a crescere molto rapidamente» ha spiegato al Guardian il professore dell’University of South Carolina, Brandon Hollingsworth, esperto in materia. «Con la loro natura adattiva e l’aumento delle temperature» ha aggiunto l’entomologa della Cornell University Laura Harrington, «non vedo molti limiti per queste zecche». La sensazione infatti è che da quelle Lone Star tipicamente americane, a moltiplicare i casi di alfa-gal saranno altri tipi di zecche. Da alcuni studi scientifici è emerso che anche gli acari possono diventare portatori. Mangiare come un orso danese: sulle tracce di The Bear a Copenaghen Rimedi e alternative Per chi si scopre affetto dall’alfa-gal di questa sindrome la necessità è trovare altre fonti proteiche. Naturalmente la carne bianca può essere mangiata senza problemi, mentre sono tanti quelli che hanno virato su diete vegetariane e vegane. Per chi proprio non riesce a fare a meno della carne rossa, però, c’è ancora salvezza. Dal 2020 la Food and Drugs administration americana ha autorizzato il consumo dei maiali geneticamente modificati. Conosciuti come GalSafe, questi suini non presentano il galattosio alfa-1,3-galattosio e dunque sono privi di quello zucchero alfa-gal tipico della loro specie. Un allevamento specifico (Revivicor) si trova in Iowa e il suo proprietario non potrebbe essere più felice. Polpette, costolette, braciole di maiale, prosciutto: «Riceviamo centinaia e centinaia di ordini». Un modo per dire che l’alfa-gal è sempre più presente tra di noi. [Missing Caption][Missing Credit]