Sicuramente #andratuttobene prima o poi, ma per adesso sta andando tutto molto male e, a quanto pare, gli italiani lo sanno meglio di chi li governa e già si stanno preparando al peggio, tagliando i consumi.

Se il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco non parlasse come Chance il giardiniere ("Oltre il giardino", regia di Hal Ashby, 1979), il suo discorso di ieri all'Abi (l'associazione delle banche) sarebbe suonato come una mazzata su una campagna elettorale per le regionali e per il referendum costituzionale condotta con la consueta spensieratezza. Come se i destini della Patria dipendessero da chi vincerà e chi perderà nei talk show di lunedì prossimo.

Mancano 161 miliardi di Pil

Se li traduciamo dal bankitaliese, i messaggi di Visco mettono veramente paura. «Le conseguenze della gravissima crisi globale causata dalla diffusione del nuovo coronavirus sono ancora molto difficili da valutare», dice il governatore.

Si naviga dunque a vista. Però i primi dati di realtà li conosciamo. Nei primi sei mesi dell'anno l'economia italiana ha perso il 17 per cento della ricchezza prodotta, e come dato cumulativo del 2020 si prevede «una caduta del Pil di poco inferiore al 10 per cento, con una successiva, molto graduale, ripresa».

Che cosa indicano, in concreto queste percentuali? Nel 2019, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, il Pil (prodotto interno lordo, la misura del reddito prodotto dagli italiani) è stato di 1.787 miliardi. Se ipotizziamo un Pil 2020 in decrescita del 9 per cento, come suggerisce Visco, l'Italia si fermerà a 1.626 miliardi. Mancano all'appello 161 miliardi.

La crisi mai recuperata

Alla fine di maggio, quando già il governo aveva dispiegato gli imponenti interventi di emergenza a sostegno delle famiglie e delle imprese, Visco aveva previsto che il deficit dello Stato quest'anno avrebbe toccato il 10,4 per cento del Pil, che misurato sui 1626 miliardi indicati sopra fa circa 170 miliardi, con un balzo spaventoso rispetto ai 28-30 miliardi di deficit del 2019.

L'economia boccheggia e lo Stato dunque si svena per sostenerla, con risultati non del tutto incoraggianti. Nel 2019 il Pil era ancora del 4 per cento inferiore a quello del 2007. Il Coronavirus ha travolto un'economia neppure convalescente, ma ancora ammalata della crisi del 2007.

Se provate a fare la somma della ricchezza perduta, cioè non prodotta, in questi ultimi dodici anni vedrete facilmente che nelle tasche degli italiani sono venuti a mancare qualcosa come mille miliardi, un sacrificio non equamente distribuito: nella crisi i più ricchi si sono ulteriormente arricchiti.

Più poveri e più impauriti

Visco fa notare tra le righe che la spesa pubblica, se non fa ripartire l'economia, serve solo ad aumentare il debito dello Stato, il quale a sua volta è un  freno per la crescita. L'Italia è un grande Paese, per questo ha il quarto Pil europeo dopo Germania, Gran Bretagna e Francia. Però il suo Pil pro capite è inferiore alla media europea e tredicesimo in classifica. Siamo più poveri e sempre più impauriti, anche i più fortunati. Dice Visco: Pi«Nei nostri sondaggi la propensione alla riduzione delle spese considerate comprimibili, quali quelle per viaggi, vacanze, ristoranti, cinema e teatro, sembra interessare finora non solo i nuclei con maggiori difficoltà economiche, ma anche una quota rilevante di famiglie che non sono incorse in perdite di reddito significative e che non prevedono di subirle neanche in futuro».

Stop ai fondi a pioggia

Quando hai fuso il motore, sembra suggerire Visco, è inutile illudersi che riparta inondandolo di benzina, come fanno i politici di quasi tutti gli schieramenti con i riti propiziatori del Recovery Fund, la manna che ci restituirà l'antico benessere.

Visco avverte che quelli sono debiti, e se vengono spesi male l'economia italiana si troverà incaprettata: «Occorre guardare ai progetti che le ingenti risorse messe a disposizione dai programmi europei rendono possibili non nell’ottica di una ordinaria legge di bilancio (tradotto: fondi a pioggia e favori ai collegi elettorali dei ras, ndr) ma concentrandosi su quegli interventi in grado di farci recuperare i ritardi strutturali che più hanno ostacolato, e ancora ostacolano, la ripresa della crescita e la creazione di occasioni di lavoro, qualificate e stabili».

Le banche non sono mai guarite

Poi c'è il dramma delle banche. Neanche loro sono guarite dalla crisi iniziata nel 2007, e Visco non sa da che parte girarsi. Da quando è diventato governatore (novembre 2011) ha cercato di fronteggiare le difficoltà degli istituti con i clienti insolventi nascondendo la polvere sotto il tappeto in attesa che la ripresa economica sanasse le ferite. La ripresa non c'è stata. E adesso le banche, ancora convalescenti, saranno investite da una nuova ondata di sofferenze. Che fare?

Visco invoca come sempre ulteriori rafforzamenti patrimoniali a garanzia di eventuali future perdite, ma sa anche che le banche, non potendo più mollare le obbligazioni subordinate ai pensionati, non sanno come fare.

Chi dovrebbe dare capitali a chi poi non può remunerarli, visto che con i tassi bassi di questa stagione la redditività ordinaria degli istituti è praticamente azzerata?

Visco non vuole nemmeno la generosa banca statale che piace tanto al M5S: «L’esperienza delle gestioni bancarie pubbliche si è non di rado caratterizzata per gravi inefficienze». E comunque, avverte il governatore, non va dimenticato «che più che del supporto di una grande banca pubblica l’economia italiana beneficerebbe innanzitutto di una pubblica amministrazione efficiente, di infrastrutture adeguate, di investimenti in innovazione e conoscenza». E torniamo alla casella di partenza: la spesa pubblica.

Come uscire dal labirinto? Nessuno lo sa, con tutta evidenza. Diciamo che, se tutto va bene, andrà maluccio.

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