Social media e opinione pubblica hanno un’influenza sempre maggiore sui processi penali e la strumentalizzazione mediatica spesso provoca conseguenze che incidono direttamente sulla serenità dell’attività giudiziaria.

L’ultimo caso in ordine di tempo è quello che ha riguardato la giudice per le indagini preliminari Bernadette Nicotra, che si è occupata della sparatoria alla stazione Termini di Roma. Contro di lei, infatti, sono stati rivolti messaggi carichi di odio sul web, iniziati dopo la condivisione da parte di Matteo Salvini della decisione di far cadere l’accusa di tentato omicidio nei confronti di un uomo ghanese, pur convalidando l’arresto.

È in questo contesto che Magistratura indipendente ha scritto un comunicato per portare solidarietà alla gip «per le parole crudeli e cariche di odio che si agitano sui social media, esponendo a grave rischio di incolumità la sua persona».

Il caso

Si tratta di un episodio del 19 giugno scorso, quando viene richiesto l’intervento delle forze dell’ordine perché un uomo di 44 anni si aggira con un coltello vicino alla stazione Termini di Roma. Alcuni video diffusi sui social, ripresi da passanti, mostrano che l’uomo viene accerchiato da una decina di agenti della polizia e dell’esercito, in servizio nei pressi della stazione, che tentano di avvicinarsi utilizzando un manganello.

Ma, a un certo punto, uno dei tre poliziotti che impugna una pistola spara alle gambe dell’uomo, che cade a terra. L’uomo viene portato all’ospedale Umberto I, dove viene ricoverato, non è in pericolo di vita. Dagli accertamenti sono emersi precedenti penali dell’uomo di 44 anni: danneggiamento di statue di quattro chiese romane, resistenza a pubblico ufficiale, oltre ad aver ferito l’imam del centro islamico di via san Vito.

Dopo l’arresto, la procura ha accusato l’uomo di tentato omicidio, porto abusivo di armi e resistenza a pubblico ufficiale.

La gip Nicotra ha convalidato l’arresto, lasciando però cadere l’accusa di tentato omicidio. Anche l’agente che ha sparato è stato iscritto nel registro degli indagati per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, per indagare sull’opportunità dell’uso dell’arma o se avesse potuto agire diversamente, considerando il numero degli agenti presenti e la pericolosità dell’uomo.

Le reazioni

A provocare la risonanza sul web è stata la decisione della gip e la contestuale decisione della procura di iscrivere il poliziotto sul registro degli indagati. Sui social media si è così diffusa una carica di odio nei confronti di Nicotra, insultata e accusata di aver graziato un «pregiudicato clandestino e potenziale terrorista islamico» e di aver creato, con la sua decisione, «un precedente che rischia di diventare un’istigazione a delinquere».

Gli utenti dei social così si fanno giudici. E i partiti politici si fanno promotori di una giustizia che non contempla che un giudice operi delle scelte su basi giuridiche, alludendo quindi all’arbitrarietà delle decisioni, o peggio all’ideologia.

«Attacchi livorosi, gravissimi e ingiustificati», li definisce Magistratura indipendente, «che rivelano la totale assenza di una compiuta conoscenza dei fatti e delle questioni giuridiche sottese, con pregiudizio per la serenità del giudice nella sua attività di applicazione delle norme, un dovere che non deve essere soggetto a nessuna forma di pressione, tanto meno di aggressione violenta, essendo la autonomia e indipendenza della giurisdizione funzionali alla imparziale applicazione della legge, a garanzia dell'uguaglianza di tutti i cittadini», si legge nel comunicato dell’associazione.

Sono molti i casi in Italia in cui un fatto di cronaca diventa caso mediatico, riducendo i protagonisti della vicenda a eroi o capri espiatori.

L’ultimo caso eclatante ha riguardato l’inchiesta sulla caduta della funivia del Mottarone e le reazioni di fronte alla decisione del gip di non convalidare il fermo nei confronti del caposervizio, del gestore e del direttore d’esercizio, perché «eseguito al di fuori dei casi previsti dalla legge e per questo non può essere convalidato», senza tenere conto che la decisione di limitare la libertà personale deve avere un fondamento giuridico. E che la decisione di non disporre la custodia cautelare non significa assoluzione.

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