In dieci anni di raccolta dati Avviso pubblico ha censito su tutto il territorio nazionale 4.309 casi di minaccia e aggressione nei confronti di amministratori locali e personale della Pubblica amministrazione, una media di 36 intimidazioni al mese, una ogni 20 ore.

È quanto emerge dal decimo rapporto “Amministratori sotto tiro”, che l’associazione di regioni ed enti locali contro le mafie e la corruzione, nata nel 1996, presenta oggi in diretta streaming, alla presenza del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.

Il maggior numero di casi è stato censito nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso – nell’ordine Sicilia, Calabria, Campania, Puglia – che insieme raccolgono 2.555 casi (il 59 per cento del totale). Seguono Sardegna, Lazio, Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto.

Grafico di Avviso pubblico

Tutte le province italiane hanno fatto registrare almeno un atto intimidatorio o di minaccia nel corso di questi dieci anni. Domina la classifica la provincia di Napoli, seguita da quella di Cosenza e Reggio Calabria. L’unica presente nella top ten a non essere collocata nel sud o nelle isole è quella di Roma (al quinto posto). La prima provincia per atti intimidatori del nord è Milano (quindicesimo posto).

«Quando dieci anni fa Avviso pubblico ha iniziato a monitorare il fenomeno delle minacce e delle intimidazioni agli amministratori locali e al personale della Pubblica amministrazione, in molti pensavano ad un esperimento destinato a durare poco, ritenendola una questione prettamente meridionale, limitata alle regioni a tradizionale insediamento mafioso – ha dichiarato Roberto Montà, Sindaco di Grugliasco (Torino) e Presidente di Avviso pubblico – I numeri emersi nel corso degli anni hanno raccontato una realtà completamente diversa: il caso “Amministratori sotto tiro” coinvolge l’intero territorio nazionale e non è limitato alla sola sfera criminale, ma investe il rapporto tra cittadini e politica, influenzato dalle condizioni socio-economiche dei territori».

Quello del monitoraggio delle intimidazioni e delle minacce verso gli amministratori locali è un percorso ancora lungo dall’essere completato. Lo dimostrano i dati di questi dieci anni, i troppi amministratori locali, dirigenti e funzionari pubblici vittime di mafia, i tanti amministratori locali sotto scorta, le dimissioni presentate da alcuni di loro a seguito delle minacce, i ritiri precoci dalle campagne elettorali. Tutto questo costituisce un enorme vulnus per la democrazia del nostro paese.

«Questo rapporto è nato non solo con l’intento di denunciare una situazione intollerabile, ma anche per ricordare che esiste la buona politica», continua il presidente di Avviso pubblico. «La maggioranza degli amministratori locali è composta da persone perbene e capaci, animate da spirito di servizio, che vengono colpite perché si impegnano a ripristinare la legalità violata, a portare trasparenza negli uffici pubblici, a tutelare i beni comuni. Donne e uomini che vanno sostenuti, incoraggiati e non lasciati soli».

Record di province coinvolte

Nel corso dell’anno, profondamente influenzato dal Covid-19, sono stati 465 gli atti intimidatori, di minaccia e violenza rivolti contro sindaci, assessori, consiglieri comunali e municipali, amministratori regionali, dipendenti della Pubblica amministrazione (il 17 per cento in meno rispetto al 2019, quando furono 559), registrati da Avviso pubblico in tutto il paese. Ben 89 le province coinvolte, il dato più alto mai registrato in dieci anni di monitoraggio. Per la terza volta nella storia di questo rapporto – i precedenti nel 2017 e 2019 – sono stati censiti atti intimidatori in tutte le regioni d’Italia.

Grafico di Avviso pubblico

Sul calo delle intimidazioni complessive emerse nel 2020 ha senza dubbio influito la pandemia. Non solo il lockdown imposto nei mesi di marzo e aprile, ma anche il rinvio delle elezioni amministrative e regionali che, inizialmente previste nella tarda primavera, si sono svolte ad inizio autunno. Il periodo che va da marzo a giugno, solitamente coincidente con la campagna elettorale, fa spesso registrare un picco di atti intimidatori che lo scorso anno non si è palesato. Nel 2020, i casi censiti sono stati 169, mentre erano 199 nel 2019 e 210 nel 2018.

Sale l’incidenza dei casi al centro-nord

Per il quarto anno consecutivo è la Campania a far registrare il maggior numero di intimidazioni a livello nazionale, con 85 casi censiti (erano 92 nel 2019). Seguono appaiate Puglia e Sicilia con 55 atti intimidatori, che fanno segnare un evidente calo rispetto al 2019, rispettivamente del 23 e del 17 per cento. In discesa anche la Calabria (38 casi rispetto ai 53 del 2019), che prosegue un trend iniziato da alcuni anni. La Lombardia si conferma la regione più colpita del Nord Italia (37 casi, nove in meno del 2019), seguita dal Lazio (36 casi, stabile). Chiudono le prime 10 posizioni Veneto (30 casi, uno dei pochi territori in aumento), Emilia-Romagna (25), Toscana (23) e Sardegna (21).

Grafico di Avviso pubblico

Analizzando i dati per macro-aree geografiche si evince che il 57,5 per cento del totale dei casi censiti (267) si è registrato nel mezzogiorno, in particolare il 41,1 per cento dei casi nel sud e il 16,4 per cento nelle isole. Il restante 42,5 per cento del totale (198 casi censiti) si è verificato nel centro-nord, dove si riscontra un aumento del 3,5 per cento dell’incidenza sul totale dei casi rispetto al 2019. Da segnalare come il calo generalizzato dei casi registrati caratterizzi tutte le aree geografiche, ad eccezione del nord-est, che passa dai 59 atti censiti nel 2019 ai 68 del 2020.

L’impatto della pandemia

Anche sul fronte della tipologia di intimidazioni, si fa sentire l’impatto della pandemia. Nel 2020, i social network sono diventati il primo strumento per minacciare. La piazza virtuale, già negli anni passati contenitore di varie frustrazioni, durante le fasi più calde della pandemia ha amplificato queste sue caratteristiche. Le amministrazioni e la polizia locale sono spesso finite in pasto dei leoni da tastiera, a causa delle ordinanze emesse e dei controlli effettuati per far rispettare le regole anti-contagio, per la concessione di aiuti economici, sussidi o per scelte che non riguardavano l’amministrazione locale, ma il governo centrale.

Inoltre il Covid-19 ha finito per influire anche su una speciale casistica che il rapporto monitora da alcuni anni: intimidazioni ed aggressioni che giungono da comuni cittadini. Situazioni che pesano sensibilmente sul numero complessivo dei casi nel 2020 sono stati 168, il 36 per cento del totale (erano il 29 per cento nel 2019). Una larga percentuale (il 42 per cento) di tali atti ha riguardato infatti episodi scaturiti dalle restrizioni imposte dalla pandemia. Un altro 22 per cento trae origine dal malcontento suscitato da una scelta amministrativa sgradita. Il 12 per cento si riferisce invece a casi di estremismi di entrambe le sponde politiche. Nell’11 per cento dei casi si tratta di un vero e proprio disagio sociale, come la richiesta di un sussidio economico o problemi legati al tema del lavoro.

I comuni sciolti per mafia

Il 14,4 per cento degli atti intimidatori censiti nel 2020 (67 casi) si sono verificati in 41 comuni che, in un passato più o meno recente, sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa. Dal 2016, primo anno in cui Avviso pubblico ha iniziato ad estrapolare questa casistica, gli atti intimidatori verificatisi in enti locali sciolti per mafia sono stati complessivamente 346 (il 13,4 per cento dei casi registrati nel quinquennio 2016-2020 su tutto il territorio nazionale). Gli enti locali coinvolti – comuni e municipalità – sono stati 121.

Considerando che, al 31 agosto 2021, i comuni sciolti per infiltrazione mafiosa dal 1991 sono stati complessivamente 266, negli ultimi cinque anni si sono verificati atti intimidatori nel 45 per cento di questi territori. Va ricordato come il quinquennio 2016-2020 abbia visto decretare lo scioglimento di ben 84 enti locali, tra comuni, municipalità e Aziende sanitarie provinciali. Per riscontrare un numero così alto di scioglimenti, in un medesimo arco temporale, bisogna tornare ai primi anni di applicazione della legge (periodo 1991- 1995), quando furono complessivamente 80.

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