Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, si continua con la narrazione del patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi.

Per capire cosa accade nella nuova Cosa nostra occorre tornare al paradigma di Nitto Santapaola. Come abbiamo visto il capo mafia catanese, già negli anni Settanta, parcheggiava la sua auto al centro della città e incontrava gli amici al bar di piazza Giovanni Verga. E mentre prendeva l’aperitivo nel cuore della Catania bene, mandava avanti i cugini Ferrera, con il loro atteggiamento da gangster, e se ne rimaneva dietro le quinte per gestire i rapporti con l’economia e la politica. Trascorsa la stagione stragista, tutta Cosa nostra ha trovato più agio a vivere nascosta. Perciò il concorso esterno ha iniziato a valere più della mafia ed è tornato a essere come lo concepiva Santapaola agli inizi. Se così non fosse stato le storie che abbiamo prima raccontato avrebbero avuto un esito diverso: i Santapaola-Ercolano, che stavano dietro l’iniziativa imprenditoriale della società Tenutella per la realizzazione del Centro Sicilia avrebbero sparato e minacciato per difendere i propri interessi economici, anziché coltivare prospettive di appoggio politico-amministrativo. Ma se avessero sparato li avrebbero arrestati tutti subito, mentre invece per arrivare a loro è stata necessaria la fatica delle indagini tecniche e delle microspie.

Zona grigia

Oggi la diffusione delle complicità è così vasta che più di concorso esterno varrebbe di parlare di una mafia nascosta e diffusa. Per questo occorrerebbe un rimedio per intervenire sulla zona grigia: su quei tradimenti o quelle collusioni che oggi non si reputano sufficienti a integrare la soglia del reato. E se non si vuole definire queste condotte concorso esterno e non le si vuole punire con le pene previste per il reato di mafia, le si potrebbe definire in modo diverso e punire anche in modo minore, ma non si può tollerare che esse continuino a essere condotte indifferenti per il diritto.

Nel nostro ordinamento non esiste una fattispecie che punisca chi per perseguire un proprio personale interesse di carattere economico o politico, essendosi imbattuto negli interessi di un’associazione mafiosa, non solo non li denunci ma anzi li favorisca consapevolmente. Ma soprattutto non si riesce a tenere fuori dal circuito istituzionale ed economico coloro che non si curano degli effetti devastanti delle collusioni con la nuova Cosa nostra: la mafia che si nutre di concorso esterno. Potrebbe non essere necessario un nuovo reato, ma anche solo un intervento interdittivo rispetto alla vita pubblica e all’impresa, per coloro che – pur rimanendo fuori dall’ambito ristretto che oggi la giurisprudenza riserva al concorso esterno – abbiano favorito consapevolmente gli interessi di Cosa nostra. Insomma un DASPO per chi ha favorito la mafia senza raggiungere la soglia del concorso esterno ci renderebbe tutti più tranquilli. Anche se in un Paese normale per tenere fuori uomini e imprese che stanno a questo gioco sarebbe sufficiente solo la conoscenza pubblica di questi fatti.

Una mafia evoluta

Con l’abbandono delle scelte violente (ma non del sistema del condizionamento e della intimidazione) l’essenza stessa della mafia più evoluta – il suo core business – finisce per coincidere con l’apporto da esterno, come indirettamente suggerisce il GIP Mastroeni nella Ordinanza cautelare Beta. In sostanza sul piano dell’impatto sociale la mafia è tipicamente quella che corrompe, si fa strada tra le clientele della politica, avvicina uomini pubblici, e all’occorrenza minaccia la dimensione giuridico-economica del cittadino. Al contrario l’attività violenta – che pure si identifica con il DNA della mentalità mafiosa – viene retrocessa a concorso esterno, relegata a una scelta eventuale e rara perché poco conveniente. E così l’ala militare rimane tagliata fuori dalle più importanti dinamiche dell’organizzazione e i rapporti tra mafia e concorso esterno sembrerebbero invertiti. Il contenuto del reato di mafia è di fatto capovolto. La conseguenza è che i disgraziati sono sempre più dannati al carcere mentre i potenti trovano riparo dietro le inconcludenze normative del concorso esterno e la formula ormai inadeguata del 416-bis. E noi Stato curiamo con l’aspirina la febbre di un corpo divorato dal cancro corruttivo di Cosa nostra. Se De Roberto potesse venirci in aiuto, direbbe che i nuovi viceré hanno trovato il modo di comandare anche a casa della mafia.

Testi tratti dal libro "Cosa Nostra S.p.a., di Sebastiano Ardita

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