Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza d'appello, presidente del tribunale Raimondo Loforti, giudici Daniela Troja e Mario Conte


Tra il 16 ed il 29 maggio 1974 è stato acclarato definitivamente che Dell'Utri ha partecipato ad un incontro organizzato da lui stesso e da Cinà a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell'Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l'assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano ed aveva siglato il patto di protezione di Berlusconi.

Esso dunque ha costituito la genesi del rapporto sinallagmatico che ha legato l'imprenditore Berlusconi e "cosa nostra" con la mediazione costante ed attiva dell'imputato che - come sarà esposto di seguito - non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti e che, in particolare, ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento.

Appare necessario soffermarsi sui soggetti con i quali Dell 'Utri ha concluso quell'incontro al fine non solo di chiarire da chi era rappresentata la componente soggettiva dell'accordo al quale ha partecipato Dell 'Utri, ma anche per sottolineare che i soggetti di quell'accordo saranno i suoi riferimenti mafiosi privilegiati per tutto il periodo in esame fino al 1992 (con l'esclusione solo di Bontate e Teresi vittime della guerra di mafia del 1981).

Tra questi soggetti l'unico che Dell 'Utri ha definito suo amico è Gaetano Cinà che, anche se non è stato ritualmente inserito in " cosa nostra", ha assunto costantemente ruoli talmente delicati - anche prima della sentenza di condanna inflittagli dalla sentenza del Tribunale di Palermo - da poter essere considerato di fatto fin da allora appartenente alla famiglia mafiosa di Malaspina. Se così non fosse stato, del resto, sarebbe stato del tutto inimmaginabile che Bontate e Teresi gli avrebbero consentito di partecipare all'incontro del 1974 e che Filippo Alberto Rapisarda, avrebbe provato il timore, di cui lui stesso ha parlato, di rifiutargli la raccomandazione che Cinà gli aveva fatto al fine di fargli assumere alle sue dipendenze Dell'Utri.

Lo stesso imputato, seppur negando di essere stato assunto a seguito della raccomandazione di Cinà, nel corso delle dichiarazioni spontanee, non aveva potuto negare di avere notato che Rapisarda, allorché si era presentato con Cinà, era rimasto impressionato dalla presenza di quest'ultimo.

Se Dell'Utri non avesse attribuito a Cinà una contiguità con l'ambiente mafioso, non si spiegherebbe il motivo per il quale, dopo l'attentato della notte del 29 novembre 1986, dopo avere parlato con Berlusconi e Confalonieri, lo aveva chiamato immediatamente per avere notizie.

Deve poi rilevarsi che in quell'occasione Cinà aveva dato all'amico Dell'Utri una risposta in termini chiari sulla matrice dell'atto intimidatorio ed aveva escluso così il coinvolgimento del Mangano. Appare evidente che l'imputato non si era fatto accompagnare o aveva chiamato Cinà in quanto titolare di una lavanderia o solo come suo amico dai tempi della squadra calcistica della Bacigalupo: l'imputato era sicuramente a conoscenza che Cinà intratteneva stretti rapporti con soggetti autorevoli di "cosa nostra" che potevano fare effetto su Rapisarda o che potevano consentigli di avere notizie certe sui mandanti dell'attentato.

Altro soggetto presente all'incontro era il boss mafioso Stefano Bontate, capo della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù e che aveva fatto parte fino a poco tempo prima del "triumvirato", massimo organo di vertice di "cosa nostra" del quale facevano parte anche Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio. Anche Girolamo Teresi era un soggetto attivo all'interno dell'associazione criminale in quanto sottocapo della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù. Alla riunione era presente inoltre il collaboratore Francesco Di Carlo, uomo d'onore della famiglia di Altofonte, di cui ha fatto parte fin dagli anni '60 e della quale, nel 1973/74, era divenuto consigliere ed in seguito sottocapo.

Dell'Utri, partecipando all'incontro di pianificazione, ha siglato in modo definitivo un patto con " cosa nostra" che - come sarà in seguito argomentato da questo Collegio - proseguirà, senza interruzioni, fino al 1992. In virtù di tale patto i contraenti ("cosa nostra" da una parte e Silvio Berlusconi dall'altra) ed il mediatore contrattuale (Marcello Dell'Utri), legati tra di loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale dell'imprenditore mediante l'esborso di somme di denaro che quest'ultimo ha versato a "cosa nostra" tramite Marcello Dell 'Utri che, mediando i termini dell'accordo, ha consentito che l'associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro.

V'è da aggiungere che nella prima fase dell'accordo, fintantoché i protagonisti non erano mutati e cioè prima della guerra di mafia e della morte di Bontate e Teresi, Dell 'Utri, nella sua condotta di mediazione tra le parti, era entrato in diretto contatto con i boss mafiosi Bontate e Teresi incontrandoli personalmente e discutendo con loro i termini dell'accordo e anche intrattenendosi in rapporti conviviali.

Su tale circostanza e cioè sull'esistenza della prova dell'incontro del 1974 la Corte di Cassazione ha dedicato un passaggio della decisione affermando che la tesi difensiva dell'inattendibilità di Di Carlo, che di tale incontro è la principale fonte dichiarativa, era infondata e che il collaboratore Di Carlo " nel presente processo, è risultato soggetto meritevole di pieno credito; che il suo racconto in ordine alla circostanza dell'incontro di Milano fra le menzionate parti interessate abbia presentato credibilità anche oggettiva e che sia stato riscontrato obiettivamente da un pluralità di elementi. " (pag. 99).

L'acclarata esistenza di un interlocuzione diretta di Dell'Utri con gli esponenti di "cosa nostra" Bontatee Teresi all'epoca della definizione dei termini dell'accordo costituisce - per i motivi che saranno spiegati in altro paragrafo - la differenza unica e del tutto peculiare rispetto a quello che sarà il paradigma contrattuale nell'accordo che l'imputato manterrà con l'associazione mafiosa anche dopo la morte di costoro e con l'ascesa dei corleonesi e del capo Salvatore (Totò) Riina, con il quale invece non si sono mai registrati contatti diretti. L'incontro, dunque, segna l'inizio del patto che legherà Berlusconi, Dell'Utri e "cosa nostra" fino al 1992.

E' da questo incontro che l'imprenditore milanese, abbandonando qualsiasi proposito ( da cui non è parso, invero, mai sfiorato) di farsi proteggere dai rimedi istituzionali, è rientrato sotto l'ombrello di protezione mafiosa, assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all'obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione

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