Per ciò che riesce a mostrare una foto può valere anche più di mille parole. Ma non sempre è così, perché a volte una foto serve anche a nascondere o a confondere.

Prendiamone una famosa, quella di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sorridenti uno accanto all’altro nella sala di un palazzo nobiliare di Palermo la sera del 27 marzo 1992, qualche mese prima della loro morte.

Icona di un’idea di stato e di giustizia, è diventata in questi tre decenni l’immagine più potente contro ogni mafia. È diventata linguaggio, riprodotta in decine di migliaia di copie in poster, copertine, sculture, bandiere, t-shirt, murales, francobolli.

E, da qualche giorno, anche su monete da 2 euro che la Zecca ha coniato per onorare la loro memoria nel trentesimo anniversario di Capaci e di via D’Amelio.

Quanto vale per la Zecca di stato il ricordo dei due magistrati? Poco, tanto? Esattamente 6 milioni di euro, visto che nelle prossime settimane verranno immesse in circolazione tre milioni di monete con stampati i volti dei due grandi siciliani, l’acronimo della Repubblica italiana, le dodici stelle dell’Unione Europea e la sigla dell’artista incisore Valerio De Seta.

Un certificato di buona condotta

Quanto vale la stessa foto per altri, per esempio per un bel po’ di magistrati che in questi ultimi anni dietro quel simbolo si sono celati agitandolo come un santino? Una foto che si è trasformata in un alibi, esibita ogni dove (non c’è ufficio giudiziario dove non compaia in tutti i formati, mini e maxi, alle pareti o sulle scrivanie) per coprire in certi casi manchevolezze o peggio interessi privati.

Sotto lo sguardo di Falcone e Borsellino si sono giustificate vergogne, c’è stata spregiudicata spartizione di incarichi direttivi, al di là dei meriti si sono favorite o affossate carriere proprio come lo stesso Consiglio superiore della magistratura – e in più occasioni – affossò la carriera di Giovanni Falcone.

E quella foto è sempre lì, a garanzia del bene contro il male, una sorta di assicurazione permanente, un certificato di buona condotta. Ma la foto di cui stiamo parlando ha anche una storia nella storia.

Che da valore inestimabile o valore 6 milioni di euro passa inesorabilmente a valore zero. Per chi? Per chi l’ha scattata, Tony Gentile, il reporter che quella sera di marzo del 1992 si aggirava nell’antico palazzo del quartiere della Kalsa per catturare un momento.

Tormentato il percorso della celebre immagine, sin dall’inizio. Intanto non fu pubblicata la mattina dopo sul Giornale di Sicilia, dove un giovanissimo Tony lavorava. In redazione ne preferirono un’altra più di “cronaca”, con tutti gli ospiti del dibattito su mafia e politica, Falcone e Borsellino ritratti insieme al pubblico ministero Giuseppe Ayala.

Solo dopo la bomba sull’autostrada la foto diventò “quella” foto. Che oggi, gennaio 2022, vale praticamente nulla per sentenza pronunciata in nome del popolo italiano. Un processo, da una parte Tony Gentile e dall’altra la Rai, che aveva usato la sua foto per una campagna sulla legalità ricevendone richiesta di pagamento dei diritti.

Foto e non opera d’arte

I giudici del Tribunale civile di Roma hanno dato torto al reporter perché «si tratta di fotografia semplice» e non di «opera fotografica», quindi diritti scaduti dopo vent’anni.

Le motivazioni del verdetto sembrano un trattato di estetica: «La fotografia difatti non si caratterizza per una particolare creatività, non sembra vi sia stata da parte dell’autore una particolare scelta di posa, di luci, di inquadramento, di sfondo. Si tratta invero di una testimonianza di una situazione di fatto...Ciò che rende particolare questa fotografia è l'eccezionalità del soggetto: si tratta di due magistrati eroi e martiri della lotta della Repubblica contro il fenomeno mafioso».

Un capolavoro anche l’introspezione psicologica: «Dubita questo collegio che tutte queste considerazioni fossero nell'animo ovvero nell’intenzione del fotografo a priori, cioè mentre riprendeva la scena amicale rappresentata nella fotografia; né d’altronde, presumibilmente, questa fotografia avrebbe assunto il valore simbolico odierno se i soggetti ivi rappresentati non fossero tragicamente morti per mano mafiosa».
La sentenza è stata confermata anche in appello. Fra qualche giorno Tony Gentile e il suo avvocato presenteranno ricorso in Cassazione. Ogni tanto, nei momenti di sconforto, Tony confida agli amici che vorrebbe distruggere il negativo per tutto ciò che si è montato intorno alla sua foto. Siamo sicuri però che non lo farà mai.

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