Prima furono i No vax, poi sono venuti i No green pass, ora potrebbero essere i No sanz: una parte di cittadini-elettori che individua nelle sanzioni economiche alla Russia il totem da combattere per rispondere ai propri (reali) problemi. A loro si rivolge Matteo Salvini, leader della Lega che trattava con emissari russi la presentazione di mozioni per allentare le restrizioni economiche a Mosca e che ora incolpa l’Unione europea, incluso il governo Draghi di cui la Lega è parte, di aver danneggiato con le sanzioni più l’Italia che la Russia. Il segretario leghista, però, affonda il coltello dove sa che potrà incidere: secondo l’ultima rilevazione di Quorum, il 37 per cento degli italiani pensa che imporre le sanzioni economiche alla Russia «è stata una scelta sbagliata» e tra i meno favorevoli alle sanzioni ci sono gli elettori di Fratelli d’Italia e della Lega.

Le differenze tra i partiti

Giorgia Meloni che a Cernobbio ha infilato platealmente le mani tra i capelli a segnalare la sua disapprovazione nei confronti dell’alleato che parlava di sanzioni, ne è consapevole. Meloni è anche membro di quell’Aspen Institute che a luglio ha pubblicato uno studio sugli italiani e «l’economia di guerra». In quel rapporto si spiegava che tra gli elettori intenzionati a votare Fratelli d’Italia i sostenitori delle sanzioni si fermavano al 63 per cento, poi venivano i potenziali elettori della sinistra favorevoli alle sanzioni per il 72 per cento (Sinistra italiana, Mdp, Europa verde), il M5s e i i leghisti rispettivamente col 75 e il 76 per cento, i sostenitori di Forza Italia favorevoli al 78 per cento e infine i centristi (Italia viva, +Europa, Azione) con l’85 per cento di favorevoli e il Partito democratico con l’88 per cento dei potenziali elettori abbastanza o molto d’accordo con la decisione delle sanzioni.

La anomalia di FdI

Si tratta di una posizione prevedibile considerando l’elettorato storico di Fratelli d’Italia, ma di un’anomalia alla luce della collocazione che Meloni rivendica a livello internazionale e anche degli alleati che si è scelta all’estero. Per esempio in Spagna sono gli elettori di Vox, a cui Meloni ha dedicato uno dei suoi discorsi più radicali ed estremisti, quelli tra cui si registra la maggiore opposizione alla Russia.

 Al contrario gli elettori del partito di Marine Le Pen, alleata di Salvini, sono i maggiori oppositori al sostegno all’Ucraina in Francia, secondo il più interessante studio in materia pubblicato dall’European council on foreign relations.

Ora, con l’autunno della crisi energetica si avvicina, il 90 per cento dell’elettorato preoccupato per le bollette, e la campagna elettorale aperta, a destra la tentazione di rincorrere questi elettori si rafforza. Giulio Tremonti, ex ministro dei condoni fiscali, dei tagli lineari ai servizi pubblici e del quasi default che ama presentarsi come un fine analista dello scenario economico europeo, da candidato con Fratelli d’Italia a proposito delle sanzioni si limita a dichiarare che il meccanismo ha qualcosa di perfido perché una volta «irrogate non le puoi più togliere, altrimenti perdi la credibilità». Come a dire, ormai la scelta è fatta, ma senza rivendicarla.

Il peggio deve venire

Lo studio dell’Ecfr, firmato dal direttore Mark Leonard e dal politologo Ivan Krastev, aveva già predetto molto: il trascinamento della guerra, l’aumento del suo prezzo e della «stanchezza da solidarietà». Forse, sosteneva, «il segnale più preoccupante è che la maggior parte degli europei vede l’Ue come grande perdente in questa guerra, invece di leggere la relativa unità come segno di rafforzamento».

La crisi energetica, con la recessione alle porte, alimenta certamente le convinzioni di quello che Leonard e Krastev hanno chiamato il «campo della pace» cioè di coloro che, anche avversando l’aggressione russa, considerano i costi della guerra troppo alti da sostenere e l’Ue destinata alla sconfitta: un gruppo che è sostanzialmente «un campo di pessimisti».

In Repubblica Ceca pochi giorni fa si sono raccolte sul selciato di piazza San Venceslao 70 mila persone a chiedere il ritiro delle sanzioni: una manifestazione organizzata dall’estrema destra ma appoggiata anche da esponenti di sinistra. Anche in Germania, dove il partito più tiepido nell’opposizione alla Russia è la destra di Afd ma anche molti elettori della Spd di Olaf Scholz sono preoccupati per i costi della guerra, sono state organizzate diverse proteste per unire la contestazione all’esecutivo e quella alle sanzioni.

L’Italia, in questo scenario, è agli estremi dell’opinione pubblica europea: siamo l’unico paese in cui la quota di chi indica la Russia come principale ostacolo alla pace è sotto la soglia del 40 per cento, in tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale è oltre il 50. Siamo la nazione con la minore percentuale di intervistati che indicano la Russia come principale responsabile del conflitto (56 per cento) e con quella maggiore che indica come maggiori responsabili Ucraina, Ue e Stati Uniti (27 per cento). E dare la colpa all’Unione europea, come se noi non ne facessimo parte, ignorando completamente cosa avviene oltreconfine, viene sempre perdonato nel dibattito italiano: ieri per esempio Luigi Brugnaro ha dichiarato che «se l'Ue decide di procedere con le sanzioni alla Russia il conto lo devono pagare tutti non solo l'Italia».

La responsabilità dei governi

Krastev e Leonard sostenevano in primavera che «la tenuta delle democrazie europee dipenderà soprattutto dalla capacità dei governi di mantenere alto il sostegno dell’opinione pubblica verso scelte politiche che, in ultima istanza, saranno dolorose per diversi gruppi sociali».

E qui sta il punto: chi si sta facendo garante di quei gruppi sociali? E chi per esempio tutela quel 40 per cento di italiani che è più preoccupata dal rinvio degli obiettivi climatici che dalla dipendenza energetica dalla Russia?

Ieri il leader della Lega ha provato a virare proprio sulla “protezione sociale”, prima dichiarando che le sanzioni non le possono pagare «gli operai», e poi aggiungendo tutta una altra serie di categorie: «camionisti, parrucchieri, precari, agricoltori, pescatori, imprenditori italiani». La Lega guarda i sondaggi e fiuta la rabbia, ma su questo è la sinistra che dovrebbe dare risposte.

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