Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, si continua con la narrazione del patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi.

[…] Fatta una valutazione complessiva degli interessi in gioco, Ragusa e soci intesero che la via maestra da seguire era quella della ricerca dell’appoggio politico. Una strada consueta per Cosa nostra catanese, che però si presentava particolarmente impervia per via dello spessore dei contendenti e per le molteplici aderenze di cui essi disponevano.

E tuttavia, nella guerra politica che si profilava, l’azienda dietro cui si celava Cosa nostra non si tirò indietro. Ragusa era pressato dall’urgenza di realizzare l’opera perché i tempi massimi previsti dalla regione nelle autorizzazioni stavano per scadere. Se ciò fosse avvenuto sarebbe stata una débâcle. Accadde così che il 24 luglio 2007 venne presentato all’Assemblea Regionale Siciliana un disegno di legge con cui in modo specifico si proponeva che i termini di decadenza delle autorizzazioni inerenti le aree commerciali integrate, venissero prolungati di cinque anni. Nonostante una prima bocciatura il deputato regionale proponente, l’onorevole Giovanni Cristaudo, lo ripropose riducendo da cinque a quattro gli anni di proroga e, nel corso della seduta del 30 ottobre 2007, ne ottenne la pubblicazione. Nasceva così la legge regionale n. 53 del 2007. Il contesto delle indagini consentiva di dare riscontro a ciò che da subito appariva evidente, e cioè che la legge che era stata varata aveva determinato il chiaro effetto di rendere possibile la realizzazione di quello che sarebbe divenuto il Centro Sicilia. Una vera e propria legge che fu ritenuta ad rem, e cioè idonea a salvare quell’affare; per non dire ad personam e cioè fatta direttamente per gli interessi di una azienda dietro cui si nascondeva Cosa nostra. Ragusa infatti così avrebbe potuto realizzare l’opera in proprio, mettendo al sicuro anche gli interessi dei Santapaola. Ciò è costato a Cristaudo un processo per concorso esterno in associazione mafiosa, accusa dalla quale è stato definitivamente assolto in Appello, dopo una prima condanna a cinque anni, poi caduta in Cassazione.

Campanella, l'antimafioso

Il fatto che senza quella legge la società Tenutella non avrebbe potuto realizzare il Centro Sicilia è però un dato oggettivo che, come spiegheremo meglio, prescinde dal processo e dalla assoluzione che in questo caso riguarda la specifica posizione di Cristaudo prosciolto da ogni addebito. La nuova legge regionale consolidò infatti le iniziative del Ragusa e della società Tenutella, scongiurando la scadenza delle autorizzazioni di cui si sarebbero giovate le aziende controinteressate. In un sol colpo l’azienda controllata da Cosa nostra si liberò della concorrenza interna dell’ira e di quella esterna di Ciancio-Marussig che proponevano in alternativa l’ipermercato Mito. Lo stesso Marussig, interrogato nel processo, con riguardo ai rapporti con gli organi amministrativi ha detto ironicamente: «Non ci sono stati problemi, ma un vero e proprio muro di gomma». Mentre sui suoi concorrenti ha affermato: «erano sponsorizzati dal Comune di Misterbianco, e di questo ho contezza». La cosa paradossale è che per cercare di sistemare la situazione l’imprenditore palermitano ha riferito di aver esplorato altre strade politiche rivolgendosi a un tale Francesco Campanella, un politico e uomo d’onore con un passato di partecipazioni antimafia. «Ho presentato il nostro progetto a Raffaele Lombardo» ha dichiarato. «Andammo al Comune di Catania con Campanella, ma lui non entrò nella stanza. Campanella era considerato un paladino dell’antimafia e noi ci siamo cascati tutti. Ero ingenuo ma credevo di operare in una Sicilia diversa».

Collusioni ad alti livelli

Quindi riassumendo: Cosa nostra anziché sparare ha pensato di difendere i propri interessi con gli appoggi politici regionali e – secondo ciò che riferisce Marussig – stava ben messa anche al Comune di Misterbianco. L’iniziativa Mito, cara a Mario Ciancio, era curata da Marussig – all’epoca dei fatti accusato di aver favorito la mafia, poi prosciolto – che pensava bene di rivolgersi a un mafioso (Campanella), da lui conosciuto come attivista antimafia, per avere altre interlocuzioni politiche e tentare invano di prevalere sull’impresa che aveva alle spalle la mafia. L’impresa mafiosa si rivolge alla politica per superare gli ostacoli amministrativi; e l’impresa che ha influenza politica si rivolge alla mafia per avere consigli e maggior credito sulla politica. Il tutto in un quadro di allarmante normalità.

Ecco, questo insieme di compromessi, di mistificazioni e di strategie è il mare su cui naviga Cosa nostra catanese. Se non si raccontano i dettagli e non ci si ferma a riflettere sui paradossi non la si può comprendere e neppure si può far capire quanto è pericolosa a chi non la conosce.

Testi tratti dal libro "Cosa Nostra S.p.a., di Sebastiano Ardita

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