Dopo l’incidente di Milano il numero uno dell’Arma ha scritto una lettera dove ringrazia i suoi uomini. Ma esorta vertici e militari a «rispettare le procedure». Ecco cosa vuol dire
“Nei secoli fedele” è il motto araldico dei Carabinieri, ma il rischio è che la fiducia scricchioli nel cuore del corpo, nel rapporto tra sottoposti e gerarchie, un cedimento che comprometterebbe la solidità dell’Arma che rappresenta un riferimento per il paese, un presidio diffuso e garanzia di sicurezza. A pesare sono i casi che, in questi anni, hanno appannato la credibilità, preoccupato la pubblica opinione, ma soprattutto sfilacciato la solidità interna.
C’è una traccia di questa preoccupazione nella composta e accorata lettera che Salvatore Luongo, neo comandante dell’Arma dei carabinieri, ha inviato al corpo dopo la vicenda Ramy. Dopo aver omaggiato «la dedizione e il coraggio di voi carabinieri anche in momenti difficili» e ricordato «la vicinanza» che il corpo dimostra di sapere esprimere nei confronti della cittadinanza, Luongo esorta però i militari «a improntare sempre la Vostra condotta sulle procedure operative alle quali siete addestrati, che costituiscono la linea d’azione per intervenire tutelando sé stessi e ogni altra persona». Il pensiero corre veloce a quanto accaduto a Milano, nel quartiere Corvetto, la sera del 24 novembre scorso.
Il diciannovenne Ramy Elgaml, inseguito da una gazzella dei carabinieri, è morto dopo che la moto sulla quale viaggiava con un amico si è schiantata tragicamente. Per i militari è stato un incidente, per familiari e amici bisogna fare al più presto chiarezza individuando le responsabilità per quello che appare ai loro occhi come uno speronamento volontario. La procura indaga un carabiniere per omicidio stradale, altre immagini sono all’attenzione dei magistrati inquirenti e dovrebbero chiarire ogni aspetto allontanando sospetti e cattivi pensieri.
L’irritazione del comandante Luongo, risulta a Domani, non riguarderebbe la dinamica dell’incidente: saranno i pm ad avere l’ultima parola. Ma la scelta dei carabinieri di cancellare i video dai cellulari di alcuni testimoni, mossa che ha fatto gridare all’insabbiamento e che ha scatenato i sospetti sull’inseguimento.
Un comportamento che però forse tradisce una preoccupazione, un timore profondo. La paura da parte dei carabinieri di essere abbandonati dagli ufficiali e dalle gerarchie superiori. Un problema che Luongo vuole evidenziare, per provare – nei tre anni del suo mandato – a risolverlo.
Il testimone
Fares Bouzidi, che guidava la moto su cui si trovava Elgaml, ha dichiarato che l’intervento dei carabinieri sarebbe la causa della caduta. Ad assistere alla scena sul marciapiede c’era anche un’altra persona che stava filmando l’accaduto e che avrebbe confermato la versione di Bouzidi. Il suo video, però, è stato cancellato: sarebbero stati i carabinieri a dirgli di eliminare il filmato. Proprio per questo intervento ci sono ora due militari indagati per frode processuale, depistaggio e favoreggiamento.
Ora i carabinieri – se le immagini al vaglio della procura dovessero dimostrare la loro innocenza – avrebbero potuto acquisire quel video, consegnandolo agli inquirenti come prova di quanto accaduto. Cancellarlo – ritengono i vertici – è stato invece un errore madornale: ha solo aumentato i sospetti, ha inasprito gli animi e infuocato il clima, sia in piazza sia nei palazzi.
Quel comportamento non può solo essere addebitato ai militari in servizio di pattuglia. Ma tradisce rapporti da anni difficili tra la “base” dell’Arma e i vertici del corpo, accusati di essere lontani da chi svolge il lavoro operativo: paga chi è in strada, si salvano le gerarchie.
Una mancanza di fiducia che – al netto delle responsabilità penali che sono sempre personali – si è già manifestata in vicende drammatiche che hanno scosso l’Arma, dal caso di Stefano Cucchi, morto di incuria, abbandono e botte (con seguito di depistaggio), a quello della caserma degli orrori di Piacenza.
La lettera di Luongo, ovviamente, inizia con un lungo e doveroso encomio ai carabinieri che tutelano la comunità. «La nostra professionalità», scrive, «è la risposta migliore anche a inopinati commenti che sono ingiustamente apparsi su alcuni organi di informazione in questi giorni. Sono quindi certo che proseguirete nel vostro lavoro, come sempre, con entusiasmo e senso del dovere (...) la vostra determinazione e il vostro coraggio sono la forza di questa istituzione».
Ma quelle righe sulle «procedure» da rispettare sempre contengono un programma chiaro: gli errori non sono solo del singolo, ma anche di chi – in alto – ha la responsabilità di creare rapporti di fiducia e di rispetto con i suoi sottoposti.
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