Questa settimana, è stato finalmente raggiunto l’obiettivo che il governo inseguiva da oltre un mese: somministrare 500mila vaccinazioni anti Covid-19 in un giorno. La conferma è arrivata ieri mattina, quando sono arrivati i dati consolidati sulle somministrazioni di giovedì 29.

Ma accanto all’ottimo risultato, dai dati delle vaccinazioni emergono anche aspetti meno positivi. Il traguardo di giovedì rappresenta un’eccezione, resa possibile dalle elevate consegne di dosi da parte delle aziende farmaceutiche negli ultimi giorni e sembra difficile che questo ritmo possa essere mantenuto, a meno che le consegne non subiscano un’inaspettata accelerazione.

Ancora meno tranquillizzante è che il divario tra la quantità di vaccini somministrata dalle regioni più organizzate e quelle più in difficoltà non è mai stato così alto. Nel piano vaccinale, le regioni più deboli, al Sud, ma non solo, stanno venendo lasciate indietro.

Un traguardo politico

La decisione di porre come obiettivo quello di arrivare auna media di 500mila vaccinazioni al giorno entro la metà di aprile era stato preso lo scorso marzo del commissario al Covid-19, generale Francesco Figliuolo. Questa soglia era frutto di un semplice calcolo: si tratta della quantità media di vaccini da somministrare per arrivare entro il mese di settembre a un’immunizzazione di massa della popolazione, fissata all’80 per cento del totale.

Questo obiettivo è stato fallito. A causa dei tagli nelle forniture di AstraZeneca, nella settimana tra il 14 e il 20 aprile le somministrazioni medie giornaliere erano ferme a circa 300mila.

Nel corso del mese di aprile è diventato chiaro, ed il governo ha ammesso, che le 500mila vaccinazioni media al giorno non sarebbero state raggiunte. Ma a quel punto l’obiettivo è cambiato ed è divenuto simbolico: raggiungere almeno per 24 ore le 500mila vaccinazioni.

Il successo

Dopo giorni di scetticismo, il traguardo è stato finalmente tagliato giovedì. «La nostra responsabile ci ha fatto i complimenti nel gruppo WhatsApp dei vaccinatori», dice Daniele Visconti, infermiere libero professionista che vaccina nel polo messo a disposizione dall’azienda Technoprobe a Cernuscono Lombardone, in provincia di Lecco.

In Lombardia, racconta, la situazione è molto migliorata nelle ultime settimane, con il passaggio dai piccoli centri vaccinali, situati negli ospedali, ai grandi hub e grazie all’adozione da parte della regione del sistema di prenotazione di Poste Italiane.

L’incremento delle somministrazioni permesso da queste migliorie, dice Visconti, è stato costante: cinquanta, a volte cento dosi in più al giorno, fino ad arrivare a giovedì, quando sono riusciti a somministrare oltre 800 vaccini in 24 ore.

Chi ha ricevuto i vaccini

Il dottor Gabriele Gallone, responsabile vaccinazioni all’ospedale San Luigi di Orbassano, dice che il raggiungimento dell’obiettivo è stato in dubbio fino all’ultimo. «Due settimane fa il commissario Figliuolo era venuto a Torino e aveva detto di non esagerare con le somministrazioni perché c’era un problema di consegna di dosi». Poi, quando si è capito che questo week end sarebbero state disponibili moltissime dosi, le indicazioni sono cambiate «spingete più che potete».

Il Piemonte è una delle regioni che sono riuscite a organizzare meglio le vaccinazioni, rispettando in maniera puntuale le categorie prioritarie. Nel suo ospedale, dice Gallone, si vaccinano quasi esclusivamente over 70.

Ma non ovunque è stato così. Il risultato di giovedì è frutto in parte di una forte accelerazione nella fascia d’età 60-69 anni, che ha ricevuto quasi 150 somministrazioni, contro le circa 100mila del giorno precedente. In Lombardia, con oltre 30mila vaccinazioni, è stata la fascia d’età più vaccinata. Questo, nonostante l’Italia sia indietro, rispetto a numerosi paesi europei, nelle vaccinazioni ai 70-79enni, il 40 per cento dei quali è ancora in attesa di una prima dose.

I divari

L’altro dato che salta agli occhi nei risultati di giovedì è che la distanza tra la quantità di vaccinazioni somministrata tra le varie regioni non è mai stata così ampia. Le prime tre regioni, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, hanno tutte vaccinato più dell’1 per cento della loro popolazione, quasi o più del doppio delle ultime tre, Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma di Bolzano e Puglia.

Calabria e Sicilia, che hanno vaccinato in un giorno lo 0,59 e lo 0,62 per cento della popolazione, hanno da mesi grosse difficoltà nel somministrazione dei vaccini e il divario con le altre regioni non accenna a diminuire.

Il commissario Figliuolo e il nuovo capo della protezione civile nominato dal governo Draghi, Fabrizio Curcio, avevano promesso di intervenire per aiutare le regioni in difficoltà, ma il compito si è rivelato più complicato del previsto con le risorse a loro disposizione.

I problemi non sono di facile soluzione. La Calabria, ad esempio, ha una sanità commissariata da oltre un decennio, durante il quale le amministrazioni si sono occupate più di far quadrare i bilanci che di migliorare la struttura sanitaria locale.

Medici e dirigenti sanitari dicono che la situazione è destinata a migliorare. La somministrazione di vaccini è un’attività incrementale, in cui errori e problemi vengono quasi sempre corretti in corso d’opera. Ma con un’epidemia che pur indebolita non è ancora sparita, ogni ritardo significa altri contagi, altri ricoveri e, nei casi peggiori, altri decessi.

 

© Riproduzione riservata