A trent’anni di distanza dalla strage di Capaci, la pista mafiosa e quella nera si potrebbero sovrapporre.

A farlo emergere - in una inchiesta di Report a firma di Paolo Mondani in onda questa sera (lunedì 23 maggio alle ore 21.20) e che Domani è in grado di anticipare - sono i contenuti di informative di polizia, dichiarazioni di pentiti ascoltate in altri processi e parole inedite di testimoni.

Uno dei profili fondamentali è quello di Mariano Tullio Troia, soprannominato U'Mussolini per le sue simpatie politiche, uno dei boss mafiosi di Palermo.

Il suo autista e guardaspalle si chiama Alberto lo Cicero, informatore della polizia e poi pentito. Secondo quanto racconta a Report l’ex brigadiere Walter Giustini, che di Lo Cicero era il contatto, l’informatore mette le forze dell’ordine sulla strada giusta per catturare Totò Riina già nel 1991, pochi mesi prima della strage di Capaci e due anni prima del suo arresto.

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Giustini, infatti, racconta che Lo Cicero lo avvisò di aver notato, durante le riunioni dei vertici di Cosa Nostra nella proprietà di Troia, «Totò Riina veniva accompagnato da Biondino Salvatore». Biondino, di cui i carabinieri avevano tutti gli indirizzi e avrebbero potuto pedinare. Ma nulla sarebbe accaduto dopo questa informativa.

Non solo: Lo Cicero abita a Capaci e avverte anche di aver notato «la presenza di personaggi di spicco di Cosa Nostra che secondo lui non avrebbero avuto motivo di essere lì se non perché doveva succedere un qualcosa di eclatante», riferisce il brigadiere Giustini. Anche questo, però, secondo Report sarebbe caduto nel nulla.

Il ruolo di Delle Chiaie

Dalle parole di Lo Cicero emerge anche altro. Nel servizio di Report lo racconta Maria Romeo, compagna di Lo Cicero, che parla della presenza a Capaci di Stefano Delle Chiaie.

Il capo di Avanguardia Nazionale, coinvolto nel tentato golpe Borghese, nei processi per le stragi di Piazza Fontana e della stazione di Bologna, è stato collocato dal pentito sul luogo della strage che uccide il giudice Falcone.

Delle Chiaie, infatti, incontra il boss Troia e, secondo quanto Lo Cicero dice alla compagna, sarebbe stato «l’aggancio fra mafia e lo Stato», spedito in Sicilia «con il mandato di “quelli di Roma”». Maria Romeo dice che Lo Cicero ha fatto un sopralluogo con Delle Chiaie «dove c’era un tunnel a Capaci», ovvero dove poi sarebbe stato messo il tritolo per colpire la macchina di Falcone.

Dalla ricostruzione di Report, però, i colloqui investigativi di Giustini non vengono tenuti in considerazione. L’unico a farlo, dopo la morte dell’amico, è Paolo Borsellino che sta indagando in via riservata. Maria Romeo, infatti, racconta di aver accompagnato Lo Cicero (nel frattempo entrato nel progrmma di protezione testimoni) nell’ufficio del giudice, dove i due si sono trattenuti per quattro ore e il pentito gli ha confidato anche della presenza di Delle Chiaie a Capaci.

Borsellino non fa in tempo a fare nulla: il 19 luglio, viene eliminato nella strage di via D’Amelio. Solo un anno dopo la morte di Falcone, invece, Antonino Troia è tra i mafiosi a finire in carcere per la strage.

Nel maggio 1999, il rapporto di Delle Chiaie con la mafia spunta anche nelle parole di un altro collaboratore, il messinese Luigi Sparacio, ascoltato dal magistrato Gabriele Chelazzi che stava indagando sulle bombe di Roma del 1933 e sulle stragi di Firenze e Millano. Sparacio rivela al magistrato di aver incontrato a Roma il capo di Avanguardia nazionale, il quale «Dava delle strategie politiche da seguire a “cosa nostra” e che consegnò una mappa dell'Italia con dei "segni fatti con la x» che rappresentavano «degli attentati da fare».

Se le testimonianze raccolte da Report fossero confermate, il quadro sarebbe quindi inedito: Delle Chiaie si sarebbe comportato in Sicilia negli anni Novanta nello stesso modo con cui si era relazionato con la ‘ndrangheta nell’ottobre del 1969, quando si era recato in Aspromonte insieme al leader di Ordine Nuovo Pierluigi Concutelli e l’ex gerarca fascista Junio Valerio Borghese, per partecipare a un summit dei boss calabresi. Il suo ruolo, infatti, sarebbe stato quello di supervisore della strage di Capaci e di suggeritore delle bombe del 1993.

La strategia stragista

Agli inizi degli anni Novanta, inoltre, Delle Chiaie si butta in politica con il progetto delle Lege meridionali e questo gli dà modo di muoversi sull’isola. Non solo per la politica, però. Secondo le testimonianze di Report anche per svolgere riunioni segrete per organizzare le stragi: insieme a lui, che rappresentava la destra eversiva, ci sarebbero stati con la cupola di Cosa Nostra e uomini della P2 di Licio Gelli.

Nella strategia di destabilizzazione degli anni Novanta, infatti, Report ricostruisce anche la possibile presenza dei servizi segreti. A partire dalla strage di Capaci: l‘ex agente di polizia penitenziaria ed ex membro della famiglia Madonia, Pietro Riggio, rivela infatti il coinvolgimento di uomini dei servizi segreti nella strage. In particolare, parla di un agente dei servizi segreti, Giovanni Peluso, indagato come "compartecipe ed esecutore materiale" della strage.

La compagna Marianna Castro racconta a Report che il militare sarebbe sparito per tre giorni a cavallo della strage e che poi le avrebbe confessato che a uccidere Falcone erano stati i servizi segreti. Del dipartimento dove lavorava il compagno, dice: «La politica li chiamava quando c’era qualcuno che dava fastidio e loro intervenivano facendo pulizie».

Coincidenze, informative non utilizzate e verbali mai incrociati: in queste pieghe, secondo Report, potrebbero nascondersi i segreti del livello superiore rispetto agli esecutori materiali della strage di Capaci. Del resto, dopo il fallito attentato dell’Addaura era stato lo stesso Falcone a voler guardare oltre, dicendo che, per capire le ragioni di chi aveva provato ad ucciderlo, bisognava pensare all’esistenza di «centri occulti di potere in grado di orientare certe azioni della mafia».

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