«Hanno venduto la polpa e si sono tenuti l’osso. Ma tanto mica pagano i dirigenti», ride Mimmo De Santis, amministratore del complesso dei vip: Serra degli Alimini, vicino Otranto, e a due passi dalla spiaggia dove Flavio Briatore voleva costruire il Twiga salentino. Per quella vicenda De Santis, socio di Briatore, è stato condannato a tre anni e nove mesi per abuso d’ufficio mentre in un processo parallelo è finito ai domiciliari con l’accusa di corruzione e frode. Ma queste sono altre storie: l’attività principale di De Santis  è l’amministratore del complesso immobiliare dei vip, in riva al mare di Otranto. «Il presidente Casini è ospite fisso, ma anche Wilma Goich. E abbiamo avuto l’ex presidente Prodi, l’ex direttore Ezio Mauro, l’ex ministro Giuliano Urbani, sportivi, cantanti… tanti passano da noi», ricorda De Santis.

Soldi di stato

Un residence extralusso pagato in buona parte dallo Stato, tramite Italia Turismo. La società controllata da Invitalia, che ancora oggi possiede otto villaggi vacanze e come raccontato nella prima puntata dell’inchiesta pubblicata da Domani ha una montagna di debiti. Quello di Otranto, infatti, è solo un’altra goccia nel mare di sprechi che ha inghiottito oltre 86 milioni di euro negli ultimi 15 anni.

La storia è questa: Serra degli Alimini è un complesso in multiproprietà costruito dalla mano pubblica. Multiproprietà: significa che l’immobile è diviso in quote che corrispondono ai mesi di apertura tra diversi proprietari, che dividono anche le spese. Il problema è che le quote di possesso dei mesi buoni, cioè relativi alla stagione estiva, da giugno a settembre, sono andate via come il pane. Anzi come la polpa, per restare alla colorita metafora di De Santis. L’osso, ovvero le quote relative ad aprile, maggio e ottobre, quando il residence è deserto, è in mano a Italia Turismo che per quelle quote sostanzialmente inutili paga circa 300mila euro di oneri condominiali.

E così lo stato si ritrova a partecipare alle spese del residence senza goderne alcun vantaggio: soldi che vanno a contribuire alle uscite del residence e quindi indirettamente finanziano le vacanze dei vip. Ma possibile che Italia Turismo non abbia pensato di affittarle o cederle? «Sì, avrebbero potuto piazzarle: ai turisti del nord Europa piacciono i mesi fuori stagione. Ma non se ne sono mai interessati: d’altronde paga lo Stato, mica pagano i dirigenti» aggiunge De Santis. La situazione è talmente priva di senso che nel 2015 Invitalia ha provato a rinunciare alle quote condominiali, ma senza successo: il tribunale civile di Lecce ha dato torto all’azienda di Stato che quindi deve continuare a pagare il salatissimo osso da 300mila euro l’anno mentre i vip si godono la polpa.

Il caso Simeri

In Calabria, invece, c’è chi vorrebbe sia la polpa che l’osso: due allevatori della provincia di Catanzaro, Antonio e Marcello Falbo. Alcuni anni fa hanno iniziato a far pascolare le loro mucche sul campo da golf a nove buche di proprietà di Italia Turismo affacciato sulla costa di Simeri Crichi. Campo da golf abbandonato, esattamente come il cosiddetto “Mammuzzone”, ecomostro incompiuto che sarebbe dovuto diventare un grande villaggio turistico vista mar Ionio. E dato che l’appetito vien mangiando, i due fratelli Falbo non si sono accontentati di far pascolare le mucche: prima si sono messi a coltivare il foraggio, poi sono passati al raccolto delle olive e infine hanno piantato paletti e passato il filo spinato.

Così si sono impadroniti di 30 ettari di terreno: «Era abbandonato e noi ormai lo usiamo da più di vent’anni» sostengono; ragion per cui hanno pensato bene di intentare causa ad Italia Turismo per usucapione: cioè per rivendicare il legittimo possesso di quei 30 ettari di terreno, per diventarne quindi proprietari a tutti gli effetti, con tanti saluti al campo da golf. «Il tribunale civile di Catanzaro in primo grado ci ha dato torto. Ma ha anche respinto la richiesta di Italia Turismo di restituzione dei terreni, in quanto tardiva», spiega l’avvocato Gregorio Ferrari, che assiste i due allevatori. «Abbiamo presentato ricorso, l'ultima udienza si è tenuta il 2 maggio scorso e ora dovrà esprimersi la corte d’appello di Catanzaro» conclude.

Ma come è possibile che l’azienda di stato fosse distratta a tal punto da non accorgersi che sui suoi possedimenti era cresciuto un allevamento? E come è possibile che lo stato contribuisca indirettamente a pagare le vacanze a politici e giornalisti? La risposta di Invitalia a questi e ad altri quesiti, partorita dopo una settimana di attesa, non spiega granché: «La società continua a gestire alcuni contenziosi, in gran parte ereditati dalla Insud, in fase di definitiva sistemazione», recita un’asciutta nota dell’ufficio stampa.

Turismo a perdere

E forse è più azzeccata la beffarda riposta di De Santis: «Mica pagano i dirigenti». Risposta valida per la vicenda di Otranto che sembra valere anche a Catanzaro. O a Stintino, in Sardegna, dove il villaggio turistico 4 stelle Le Tonnare funzionava benissimo in mano alla Pugnochiuso srl, società del gruppo Marcegaglia. Nel 2019 però Arcuri firma l’accordo con i toscani di Human Company che intendono rilevare tutto il pacchetto, a partire dal resort sardo; la storia ha l’ennesimo finale tragicomico: Italia Turismo dà lo sfratto a Marcegaglia, nel marzo 2020 Human Company si tira indietro, rinuncia all’acquisto e la gemma del tesoro di Invitalia, un villaggio turistico perfettamente funzionante fino all’anno precedente, nell’estate 2020 rimane chiuso.

E d’altronde, quale società privata si permetterebbe il lusso di buttare via 70 milioni di euro di finanziamento a fondo perduto? E invece è quello che succede a Sciacca, provincia di Agrigento, dove Italia Turismo ha un progetto approvato e finanziato: un polo integrato turistico a 5 stelle, che prevede 455 camere, un lido balneare con fronte spiaggia di due chilometri, tre piscine, due ristoranti, un centro convegni e perfino una SPA con centro termale. Un investimento da 70 milioni di euro, concessi 15 anni fa dall’allora ministero dello sviluppo economico e tutt’ora disponibili, che avrebbe portato 230 posti di lavoro in quel lembo di Sicilia. Tutto rimasto sulla carta. Tranne una cosa: la sorgente termale, per la quale ogni anno Italia Turismo paga regolarmente la concessione, senza aver mai utilizzato nemmeno una goccia delle acque sulfuree.

© Riproduzione riservata