Dal primo agosto 2019 al 31 luglio 2020 in Italia sono state avviate 1083 indagini per “revenge porn”, ovvero divulgazione di video sessualmente espliciti senza il consenso della vittima. Rispetto all’anno precedente sono aumentate le indagini per violenze in famiglia dell’11 per cento, per un totale di 40.726 reati iscritti. I dati delle indagini non ci dicono se si tratta di uomini o donne, ma guardando i processi si legge chiaramente: la vittima è femmina.

I dati

I dati emergono dal primo rapporto del ministero della Giustizia sul Codice rosso, la legge approvata l’anno scorso che ha inasprito le pene per i reati di violenza e introdotto nuove fattispecie: revenge porn, deformazione del viso, induzione al matrimonio e divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Nei primi 12 mesi di applicazione della nuova legge, i 4 reati introdotti nell’ordinamento hanno portato nel complesso all’apertura di quasi 4000 indagini complessive, di cui 2735 per violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e di allontanamento dalla casa familiare; 1083 per il reato cosiddetto di “revenge porn”; 82 per il reato di deformazione del viso; 32 per il reato di costrizione o induzione al matrimonio.

Sono 90 i processi definiti in tutta Italia con oggetto questi nuovi reati: 65 in fase di udienza preliminare e altri 25 davanti al Tribunale. Inoltre altri 120 processi sono tuttora in fase di dibattimento. Riguardo alle indagini per i video sessualmente espliciti illeciti «secondo me rappresenta un numero abbastanza significativo» ha detto il ministro della giustizia Alfonso Bonafede. Chiaramente, «trattandosi di nuovi reati, non abbiamo un termine di paragone nel passato, ma stiamo cominciando a gettare le basi per una valutazione maggiormente ponderata in futuro, quando ci saranno nuovi monitoraggi».

Invece sono stati messi a confronto i dati di flusso riguardanti gli altri reati di violenza di genere che già esistevano. «Lì emerge, in particolare, un dato in aumento, che è quello dei reati di maltrattamenti in famiglia». Solo un’indagine di lungo periodo potrà fornire elementi per una valutazione migliore: «E, tra l’altro, in questo periodo dobbiamo considerare l’anomalia importante di aver fatto una rilevazione in un periodo in cui c’era il lodown, che certamente ha un’incidenza sui numeri che sono stati rilevati». La cronaca comunque, ha ammesso il ministro, «continua a portare alla nostra attenzione casi di vite spezzate dalla violenza domestica».

E i processi mostrano le cifre di quello che subiscono le donne. Su un totale di 1.498 processi per maltrattamenti in famiglia, gli imputati sono stati uomini per 1.450 volte. I condannati sono stati maschi 2.012 volte su 2.065. Per il reato di percosse, sono uomini 44 imputati su 44. I condannati maschi invece sono stati 193 su 194 condannati in tutto. Le lesioni permamenti del viso hanno contato 20 uomini imputati, nessuna donna. Le violenze sessuali hanno registrato 721 imputati uomini su 730, e 2.338 condannati uomini su 2.380 totali, e così via. Allo stesso modo il revenge porn nel suo primo anno di vita come reato ha visto 4 imputati. Tutti maschi.

Sex offenders minorenni

Anche i minorenni commettono reati a sfondo sessuale. Quelli presi in esame per i “sex offenders” con meno di 18 anni vanno dalla violenza sessuale, alla corruzione di minore, fino alla violenza sessuale di gruppo.

Chi si macchia di queste colpe ha il profilo di un ragazzo qualunque. Se da una parte crescono le violenze in famiglia infatti, dall’altra si legge che i minori che commettono reati a sfondo sessuale sono spesso amici delle vittime. «Si può evidenziare che gli autori di questa tipologia di reati sono minorenni maschi italiani tra i 16 e i 17 anni; non presentano profili specifici; entrano in contatto col sistema penale per la prima e spesso unica volta, in seguito ad un reato relazionale, che vede coinvolta una vittima coetanea; per la maggior parte, non sono legati a contesti criminali».

In alcuni casi si sono riscontrate evidenze psichiatriche, un ritardo mentale lieve, che comunque «vengono diagnosticate quasi sempre solo in seguito alla commissione del reato»

Questi giovani hanno risentito della «prevalenza di una cultura di sopraffazione in base al genere». L’azione violenta «si esplica spesso all’interno di una relazione (fidanzati, amici) o all’interno dei nuclei familiari (nucleare e allargata)».

Anche tra di loro c’è stata la diffusione illecita di video. «Alla data del 27 ottobre risultavano 5 minori presi in carico dagli Uffici del Servizio Sociale per i Minorenni, per il reato di revenge porn, uno dei quali già dal 2019».

La difesa delle donne vittime di violenza, ha detto Bonafede «è soltanto all’inizio. Sono i primi passi, la strada è ancora lunga e richiede un impegno corale di tutte le istituzioni».

Si muovono gli influencer

L’opinione pubblica, tra la cronaca e la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si terrà il 25 novembre, ha iniziato a muoversi. Il caso della maestra di Torino licenziata dopo che il suo fidanzato ha diffuso un video hard di lei su un gruppo whatsapp ha ricordato l’attualità della nuova forma di delitto. Insieme alle indagini sullo stupro di una ragazza di 18 anni a una festa vip, di cui è accusato l’imprenditore digitale Alberto Genovese, le due notizie hanno coinvolto il web in un dibattito sul modo in cui vengono viste le vittime.

Per prima si è mossa Chiara Ferragni. La social star più potente in Italia ha attaccato chi dà la colpa alle donne per le violenze che subiscono.

Oggi è arrivato su Twitter anche il commento di Claudio Marchisio, l’ex calciatore della Juventus, a favore della maestra di Torino. Marchisio ha fatto il punto pubblicando una foto sua e della moglie: «Il video hard della maestra in realtà si chiama revenge porn. Il revenge porn è un reato, oltre che una terribile violenza. Fare sesso non è un reato (neanche per le maestre). Lei è innocente. Lui un criminale, oltre che uno stronzo».

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