19 luglio 1992: la strage di via D’Amelio

Tradito e venduto, Paolo Borsellino è andato solo incontro alla morte

Paolo Borsellino in una foto del 1992 (Agf)
Paolo Borsellino in una foto del 1992 (Agf)
  • Dalla strage di Capaci all’attentato di via D’Amelio, cinquantasei giorni che hanno segnato la sorte dell’Italia. Dalle rivendicazioni della Falange Armata alle informative dei carabinieri nascoste dal suo capo Pietro Giammanco, dalla caccia ai diari di Falcone a un anonimo che annuncia terrore.
  • Sono passati più di venti giorni dall'attentato e nessuno, fra i procuratori che indagano sulla strage, ha ancora trovato il tempo per interrogarlo. Perché? Non è lui, più di chiunque altro, a custodire le confidenze e i segreti di Falcone? 
  • Il tritolo che arriva a Palermo, il tam tam di radio carcere che dà “Borsellino morto“, un misterioso incontro a Viminale 

Una pioggia violenta lava Palermo, il cielo è nero, la piazza vuota. Dentro la chiesa Paolo Borsellino è in ginocchio davanti a un prete, si sta confessando. Esce per ultimo dalla basilica di San Domenico, si guarda intorno, è fradicio d’acqua, cerca con gli occhi gli uomini della sua scorta e poi si ripara sotto la pensilina del 101, l’autobus che scende da via Libertà fino alla stazione. È lunedì 25 maggio 1992, Giovanni Falcone non c’è più da trentasei ore. E il suo amico, il fratello, que

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Paolo Borsellino in una foto del 1992 (Agf)

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