Nel Sahel è il momento dell’attesa. Quella del presidente del Niger, Mohamed Bazoum, in cerca di una liberazione e di un ritorno al potere. Quella dei golpisti che ora devono capire se fare un passo indietro o continuare a tenere in ostaggio il presidente per mantenere il controllo del paese. Quella dell’Ecowas, che dopo aver minacciato l’intervento militare è in attesa di capire i prossimi sviluppi. E attendono, infine, anche gli stati europei, speranzosi che il paese in mano ai golpisti dal 26 luglio scorso non entri in una spirale di violenza, che porterà inevitabilmente migliaia di migranti sulle nostre coste in un’estate record di sbarchi.

La strada diplomatica

Al momento sembra essere rientrata la minaccia di un’intervento militare paventata dall’Ecowas (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale). Alla scadenza dell’ultimatum non è seguita l’operazione militare annunciata. Fonti militari hanno detto al Wall Street Journal che non hanno ancora «la forza necessaria per partecipare a una simile operazione militare». A influire sull’organizzazione dell’Ecowas c’è anche il fatto che su 15 stati membri, sono tre quelli sospesi. Oltre al Niger ci sono anche il Burkina Faso e il Mali “congelati” dall’organizzazione rispettivamente nel 2022 e nel 2021 dopo due golpi militari. Insomma, per ora, la minaccia militare si è rivelata un bluff inefficace.

Anche Bruxelles tenta di calmare le acque e lo fa con Emanuela Del Re, la rappresentante speciale Ue per il Sahel. «Continuiamo a monitorare gli sviluppi in Niger. Sosteniamo l'Ecowas e siamo in contatto con tutti i partner per trovare una soluzione diplomatica che ripristini l’ordine costituzionale», ha scritto in un tweet l’ex viceministra degli Esteri italiana. «Ecowas ha più volte detto che lavora a una soluzione diplomatica e considera la violenza militare come ultimo mezzo», ha rassicurato il portavoce del ministero degli Esteri tedesco. 

Confini caldi

L’Algeria, paese che conta un peso non indifferente nell’area anche a livello militare (al 26esimo posto – primo tra i paesi confinanti con il Niger – secondo la classifica di Global fire power), ha detto che non ha intenzione di intervenire e preferisce continuare per la via diplomatica. 

Anche il Ciad, paese che con il Niger condivide 1.175 chilometri di frontiera, non è intenzionato ad ospitare una guerra vicina ai suoi confini a maggior ragione che nel suo confine a est anche il Sudan vive una situazione di alta instabilità da mesi dopo lo scoppio della guerra civile.

Il ministro della Difesa del Ciad, Daoud Yaya Brahim, ha detto ieri che: «Il Ciad non interverrà mai militarmente. Abbiamo sempre sostenuto il dialogo. Il Ciad è un facilitatore». Attualmente, quindi il Niger è confinante con due stati che non hanno intenzione di intervenire con la forza, a questi si aggiungono Burkina Faso e Mali che sono stati sospesi dall’Ecowas e le cui rispettive giunte militari non hanno intenzione di appoggiare l’intervento per ovvi motivi di contrasto con la Comunità. Non è un caso se ieri i due paesi hanno inviato una loro delegazione a Niamey per «testimoniare la solidarietà dei due paesi al popolo fraterno del Niger». Rimangono quindi solo due paesi confinanti e si trovano a sud: Nigeria e Benin (che vanta la 144esima posizione in classifica per potenza militare). Rimane da capire il prezzo che la Nigeria è disposta a pagare per una guerra che può protrarsi a lungo e che rischia di rinforzare i gruppi jihadisti presenti nel paese.

Le contromisure della giunta

Intanto, la giunta militare nigerina guidata da Abdourahmane Tchiani sta ricorrendo ai ripari. Nella notte tra domenica e lunedì i golpisti hanno chiuso lo spazio aereo per paura di un’operazione militare da parte dell’Ecowas. E ieri hanno inviato truppe lungo il confine con la Nigeria e il Benin, unico fronte da dove al momento il paese può rischiare di ricevere un’incursione militare.

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