Il decreto riaperture stabilisce che a partire da lunedì 26 aprile bar e ristoranti in zona gialla potranno tenere aperto anche la sera, ma soltanto facendo servizio al tavolo. Dal primo giugno questa possibilità verrà estesa anche all’interno delle sale, ma solo fino alle 18.

I rischi

Nelle ultime settimane centinaia di ristoratori hanno protestato a Roma, e non solo, per denunciare il loro stato di difficoltà provocato dalle chiusure imposte dal Covid-19. Da nord a sud, i manifestanti hanno bloccato le autostrade, apparecchiando simbolicamente dei tavolini all’aperto, per dimostrare che non si corrono rischi ad aprire seguendo i protocolli: distanziamento, gel, mascherine.

I ristoranti sono tra i luoghi dove il virus si propaga con maggiore facilità, come hanno dimostrato numerosi studi realizzati nell’ultimo anno. Di recente, il Centers for desease control and prevention degli Stati Uniti ha mostrato che i contagi aumentano quando le persone hanno la possibilità di pranzare o cenare nei ristoranti, sia al chiuso che all’aperto, dove i rischi però sono tendenzialmente minori.

Il governo guidato da Mario Draghi ha deciso di adottare una linea relativamente prudente, stabilendo di consentire la ristorazione solo all’aperto fino al primo giugno.

«Speriamo che questa maggiore prudenza sia compatibile con la sostenibilità dei locali che potranno aprire, noi ci siamo organizzati in base al tempo», dice Salvatore Salmeri, direttore di sala e socio proprietario di Peppo al Cosimato, ristorante nel cuore di Trastevere, a Roma.

«Già lunedì il tempo sarà incerto e quindi sarà una giornata strana. Abbiamo cinque tavoli fuori, contando anche il distanziamento previsto dalle norme per il Covid-19, per un totale di venti coperti. Vedremo».

Le preoccupazioni

L’esempio di Peppo al Cosimato è emblematico per spiegare quello che migliaia di ristoratori in tutto il territorio nazionale hanno dovuto affrontare nell’ultimo anno di pandemia, tra apri e chiudi continui e sostegni troppo esigui per sostenere le spese fisse di ciascuno, tra affitto, bollette e fornitori.

Salvatore lavora nel settore della ristorazione da molto tempo e dal 2018, insieme ad altri quattro soci, ha deciso di aprire un ristorante-pizzeria.

Il locale, in condizioni di normalità, avrebbe a disposizione più di cento posti a sedere. «Io già solo per far lavorare il pizzaiolo e lo chef devo garantirgli almeno la metà della cassa integrazione e come faccio? Apriamo solo perché abbiamo bisogno di ritrovare una certa quotidianità, ma altrimenti apriamo con la speranza che poi i vincoli si alleggeriranno», spiega Salvatore.

Nella conferenza stampa del 16 aprile, il premier Mario Draghi ha rassicurato cittadini e lavoratori. La decisione sulle riaperture è un «rischio ragionato fondato sui dati», ha spiegato, «la probabilità di un passo indietro in futuro sulle riaperture sarà molto bassa», senza contare che la campagna vaccinale prosegue e ci si aspetta di non dover chiudere in autunno.

I ristori

I sostegni da parte dello stato sono stati pochi. «Con l’ultimo decreto ristori ho preso tremila euro, ma facendo un calcolo su cinquanta euro di incasso, per esempio, con tutte le spese che devo affrontare a me resta il dieci per cento».

Il decreto ristori prevede un rimborso in base al guadagno complessivo dell’anno precedente.

A maggio, quando si è usciti dal lockdown, Salvatore ammette di aver ripreso di nuovo a lavorare, ma dall’autunno la situazione è precipitata un’altra volta. Mentre ripercorre l’ultimo anno, Salvatore si chiede quanti mesi di affitto deve ancora pagare prima di rimettersi in pari e, magari, riprendere i guadagni. «Se riusciamo a sopravvivere è già un miracolo».

 

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