Eletto da poco più di un’ora, Leone XIV ha subito sorpreso. Per due motivi: perché ha parlato senza improvvisare ma leggendo un suo testo attentamente preparato, e perché per la prima volta un papa appena eletto ha usato oltre l’italiano una seconda lingua. Non l’inglese materno, però, bensì lo spagnolo, per salutare la diocesi peruviana di Chiclayo dove l’agostiniano Robert Francis Prevost è stato vescovo per quasi un decennio.

Brevissime parole con le quali il pontefice ha indicato l’essenziale, e cioè l’unione tra il vescovo e il popolo dei fedeli, concetto evidentemente a lui molto caro. Tanto che in italiano lo ha subito ripetuto con un’espressione di sant’Agostino, ancora più efficace nella sua semplicità: «Con voi sono cristiano e per voi vescovo». Dunque un cristiano come gli altri.

Insieme, collegialmente

In inglese papa Leone ha invece scandito le prime parole dell’omelia tenuta ieri mattina nella cappella Sistina, dove è stato scelto con almeno 89 voti, la maggioranza di due terzi necessaria per l’elezione papale e alla quale è legittimo pensare che se ne siano aggiunti alcuni altri, forse in tutto un centinaio. Camminate con me – ha detto ai cardinali il pontefice – come «amici di Gesù, come credenti per annunciare la buona notizia, per annunciare il Vangelo». Insieme, collegialmente.

Dense e nello stesso tempo semplici sono dunque state le parole usate da Prevost dapprima in inglese, molto brevemente, e poi in italiano in Sistina, dove sempre i papi appena eletti si rivolgono a coloro che li hanno scelti. Parole, quelle di Leone XIV, che preannunciano quelle che leggerà il 18 maggio nella messa per l’inizio ufficiale del pontificato.

Cristo al centro

Cristo è stato al centro dell’omelia del nuovo papa, evocato con le parole di Pietro, il primo degli apostoli. Interrogato da Gesù, il pescatore di Betsaida – del quale Prevost, suo attuale successore, porta simbolicamente le chiavi – gli rivolge parole celeberrime, che si leggono nel vangelo secondo Matteo (16,16): «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente».

Conoscitore ed erede dei testi di sant’Agostino, genio indiscusso dell’antico cristianesimo occidentale, papa Leone ha predicato intrecciando antico e nuovo, dalle Scritture ebraiche e cristiane fino a spunti del concilio Vaticano II. Con affermazioni teologiche attentamente bilanciate ed esposte in una lingua piana e trasparente.

Ma chi è Gesù? Le risposte possibili sono due, ha sintetizzato il pontefice. Quella del mondo in una città come Cesarea di Filippo, bellissima ma dove dominano «circoli di potere crudeli». Per loro Gesù non è importante, forse un personaggio curioso, ma alla fine tanto fastidioso «per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama» da venire ucciso.

C’è poi la risposta della gente. No, quell’uomo non è un ciarlatano, è retto, ha coraggio, parla bene, «dice cose giuste come altri grandi profeti della storia di Israele». Ma da questa gente che pure non gli è ostile Gesù viene considerato «solo un uomo», e al momento della Passione abbandonato.

Un semplice cristiano

A chi legge le parole del papa tornano in mente le parole di Giuda cantate in Jesus Christ Superstar. E forse anche in Prevost riecheggiano perché il pontefice continua ricordando ai cardinali che anche oggi le risposte della gente sono simili.

In molti contesti «la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti». In ambienti – riprende papa Leone – «dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito».

È qui che «urge la missione, perché la mancanza di fede porta con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia». Anche per molti battezzati Gesù, «pur apprezzato come uomo, è ridotto a una specie di leader carismatico o di superuomo», al punto che drammaticamente si finisce per vivere «un ateismo di fatto».

Questa è allora la missione dei cristiani, e cioè testimoniare «la fede gioiosa in Cristo salvatore». Impegno irrinunciabile in particolare per chiunque «eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato» insiste Prevost. Che al suo esordio si presenta come un semplice cristiano.

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