«Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo ad essere leali difensori legalità e lealtà» ha detto Papa Francesco affacciato su Piazza San Pietro. Nel giorno del 43esimo anniversario della morte di Peppino Impastato, il giudice antimafia Rosario Angelo Livatino ucciso dalla “Stidda” nel 1990 è diventato il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica. «La sua festa ricorrerà ogni anno il 29 ottobre», ha annunciato Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi nella cerimonia di beatificazione nella cattedrale di Agrigento.

Papa Francesco in occasione della preghiera Regina Caeli ha aggiunto: «Non si è lasciato mai corrompere, si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere» Il suo lavoro «lo poneva sempre sotto la tutela di Dio».

Per la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, il suo perseguire la giustizia era un «modo d'essere, oltre che uno stile nell'esercizio delle sue funzioni». Entrambi «scevri da ogni vanità e soprattutto da ogni superbia. Qui si radica la sua autorevolezza salda, autentica, credibile».

La storia

Era il 21 settembre del 1990 quando, a 38 anni, il “giudice ragazzino” fu speronato mentre cerca di raggiungere il tribunale di Agrigento a bordo della sua vecchia Ford amaranto. Tentò la fuga nelle campagne intorno alla statale 640, ma venne raggiunto da un colpo di pistola alla spalla e poi freddato. Gli assassini sono quattro uomini della “Stidda”, organizzazione criminale antagonista di Cosa Nostra. Fu Giovanni Paolo II il primo a definirlo “Martire della giustizia e indirettamente della fede”. Il 19 luglio 2011 Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, firmò il decreto per l'avvio del processo diocesano di beatificazione. In questa fase 45 persone testimoniarono sulla vita e la santità del giovane magistrato. Tra questi c'è anche Gaetano Puzzangaro, uno dei quattro killer. Per il Vaticano, dalle testimonianze e dai documenti processuali, emerse che l’avversione nei suoi confronti era inequivocabilmente riconducibile all’ “odium fidei”.

Don Ciotti

«Non era un uomo dalle grandi certezze, ma piuttosto dalle grandi e coraggiose domande. Il dubbio, la domanda profonda e feconda, erano il motore del suo pensiero e la premessa del suo agire. Sia nella fede che nella professione», racconta il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti. Lo descrive come «magistrato risoluto, capace di portare avanti inchieste scomode e imboccare strade innovative, ad esempio riguardo alla confisca dei beni mafiosi». Il suo coraggio nell'accettare la possibilità della morte, però, «non va però confuso con un'aspirazione a morire. Era innamorato della vita, come tutti coloro che vivono senza risparmio, perché la vita non si può risparmiare ma soltanto appunto vivere più o meno intensamente».

Leggi anche:

Il papa approva la beatificazione di Livatino, il giudice ucciso dalla Stidda

© Riproduzione riservata