Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, si continua con la narrazione del patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi.

Alla fine degli anni Novanta un piccolo imprenditore di nome Rosario Ragusa iniziò a fare incetta di terreni che si trovano a sud della città, vicino l’aeroporto, in un territorio denominato “Tenutella” ove oggi sorge l’insediamento commerciale Centro Sicilia. Si tratta di aree situate in una zona particolarmente periferica, da sempre ritenute di scarso pregio commerciale, che sono però lambite dall’ultimo lotto della tangenziale che collega Misterbianco con l’autostrada Catania-Siracusa, all’altezza dello svincolo per San Giorgio.

Il Ragusa formalmente faceva tutt’altro mestiere, essendo titolare di un’azienda fornitrice di prodotti sanitari, ma si mosse con molta competenza ed ebbe a svolgere un gran lavoro: aveva prima rintracciato i proprietari e poi negoziato con loro le proposte di acquisto; infine ottenuto una opzione per avere la possibilità, entro un termine, di stipulare l’atto definitivo di trasferimento al prezzo stabilito. Per condurre l’operazione si era servito di un agente immobiliare, e per acquisire i diversi diritti di opzione sui terreni della Tenutella aveva agito attraverso una società, Veronica, e poi successivamente attraverso un’altra denominata Miriam.

L’intento del Ragusa era chiaro sin dall’inizio: egli voleva acquisire la titolarità dei terreni nella prospettiva di realizzarvi sopra una grande opera di natura privata. In funzione di ciò, aveva stabilito dei contatti con alcune aziende della grande distribuzione, come la Carrefour e l’Auchan, che erano interessate al prodotto finito: l’acquisto “chiavi in mano” di un insediamento da destinare a ipermercato, dopo che fossero state date le concessioni edilizie e fosse stata allestita l’opera. Rimaneva da chiedersi come fosse possibile che un privato, piccolo soggetto economico e titolare di una società impegnata nel settore delle forniture sanitarie, avesse potuto avviare e condurre da solo una così colossale operazione; e come fosse venuto a contatto, per affari, con i big della grande distribuzione. La risposta i nostri attenti lettori sono certo che l’hanno già intuita.

Legami pericolosi

In verità anche se il Ragusa non era formalmente affiliato a Cosa nostra, dietro le sue iniziative si agitava un forte interesse di soggetti mafiosi e di importanti aziende abituate a navigare nelle acque agitate degli appalti siciliani, sotto la “protezione” degli uomini d’onore.

Una delle prime mosse del Ragusa era stata quella di fare entrare nell’affare la IRA Costruzioni. Questa società merita una breve presentazione perché porta in eredità un nome “pesante”. Anche se la compagine è stata totalmente rinnovata con l’ingresso di nuovi soci che ne hanno rilevato il pacchetto azionario – e non ha nulla a che vedere con la vecchia IRA – la denominazione è rimasta quella dell’impresa che apparteneva al cav. Gaetano Graci, arrestato nel 1994 per concorso in associazione mafiosa e deceduto qualche tempo dopo.

A sostituirsi al Graci nel 1998 furono i titolari della società Ingegnere Nino Ferrari Impresa Costruzioni Generali Srl, che nel 2001 acquisirono anche la Fratelli Costanzo SpA. Entrambe le acquisizioni avvennero mediante la c.d. legge Prodi sull’amministrazione delle grandi imprese in crisi. E così il nuovo Presidente del Consiglio di Amministrazione della compagine, Alberto Galeazzi, nipote dell’ing. Ferrari, si trovò a poter gestire una importante eredità: il controllo delle “portaerei” che erano appartenute ai Cavalieri del lavoro catanesi, le quali a partire dagli anni Settanta avevano associato i loro nomi a quasi tutti i più importanti lavori pubblici banditi sul territorio siciliano.

Non venendo meno alla tradizione operativa di quelle imprese, l’IRA a partire dal 2002 divenne aggiudicataria di lavori pubblici di notevole rilevanza in Sicilia. In particolare si assicurò l’appalto per i lavori dell’ultimo lotto dell’asse attrezzato, quelli di prolungamento della diga foranea e di allargamento delle banchine del molo al porto di Catania e quelli della ferrovia Circumetnea. A tali importanti commesse si aggiungevano alcuni lotti dell’autostrada Messina-Palermo. Si trattava perciò di un’azienda molto introdotta nel mondo degli appalti e altrettanto certo è che essa, per la esecuzione di subappalti, si avvaleva dell’operato di tale Orlando Pietro, un imprenditore che forniva i mezzi per il movimento terra e il trasporto dei materiali con il sistema dei “noli a freddo”(ossia l’affitto dei mezzi senza conducenti).

L’Orlando era un personaggio con un ruolo alquanto singolare, in quanto curava la cosiddetta messa a posto con gli uomini dell’organizzazione Cosa nostra. Egli pertanto si preoccupava di fare in modo che pervenisse in pagamento all’organizzazione mafiosa un importo consistente di denaro, spesso suddiviso in più tranche, che serviva per consentire all’impresa di lavorare in santa pace. La compagine che stava dietro all’IRA era dunque nuova, ma i metodi e le “garanzie” per entrare nel mercato catanese lo erano un po’ di meno.

Tornando al progetto di quello che sarebbe divenuto il Centro Sicilia, il Ragusa aveva messo a disposizione dell’IRA Costruzione i propri terreni e quest’ultima società aveva ottenuto nel 2001 dal Comune di Misterbianco e poi dalla Regione una variante al piano regolatore che modificava la destinazione dell’area consentendo la realizzazione del centro commerciale.

Ma il progetto del Ragusa di coinvolgere l’IRA costruzioni dovette ben presto fare i conti con i contrasti che, come abbiamo visto, turbavano gli equilibri all’interno di Cosa nostra catanese. L’ala facente capo agli Ercolano (quella più legata a Nitto Santapaola) pressava infatti affinché l’affare Tenutella cadesse sotto il controllo dell’organizzazione che faceva capo a loro e non alla frangia filo-corleonese – gestita dal Mirabile e di cui erano ispiratori i fratelli di Nitto – che invece pretendeva a sua volta di trarne beneficio. E così Mario Ercolano e Francesco Marsiglione, si recarono presso gli uffici dell’IRA e con atteggiamento molto minaccioso intimarono ai titolari della società di abbandonare l’operazione Tenutella, terrorizzando i responsabili e i collaboratori.

A quel punto il Ragusa decise di cambiare programma e di costituire una propria società, la Tenutella Srl, e quale titolare dei terreni chiese a propria volta l’autorizzazione edilizia per realizzare il centro.

Lotte interne tra clan

Frattanto l’IRA costruzioni nel settembre 2002 dichiarò di non avere più alcun interesse nell’affare, anche perché l’opzione per l’acquisto dei terreni del Ragusa era già scaduta e il Ragusa stesso si avviava in proprio a realizzare l’opera. Il che avrebbe fatto pensare a una desistenza come conseguenza delle gravi minacce ricevute. Ma, lungi dall’uscire silenziosamente di scena, l’IRA iniziò una guerra legale e concorrenziale contro la Tenutella: da un lato stipulò in proprio opzioni con parte dei proprietari che avevano già promesso in vendita le aree al Ragusa e dall’altra invitò il Comune di Misterbianco a non indire la Conferenza di Servizi per l’esame della richiesta di autorizzazione commerciale avanzata dalla società del Ragusa.

Una attività che non si comprendeva bene se fosse finalizzata a stabilire una reale concorrenza con il Ragusa o un vero e proprio boicottaggio, che sarebbe potuto andare indirettamente a vantaggio d’altri, vedremo come e perché. Una guerra dunque tra Tenutella e IRA, dietro alla quale si annidava non solo una lotta tra società aspiranti a un affare speculativo, ma anche il retrostante contrasto tra le due fazioni della Cosa nostra catanese, che si contendevano una fetta dei ricchi proventi legati alla realizzazione dell’opera, rimanendo discretamente riparate dietro abiti eleganti. Perché quando ci sono di mezzo scelte pubbliche di edificabilità che fanno schizzare il valore degli immobili, tutti corrono come le mosche al miele. E a volte tra attività di impresa e dinamiche di mafia può determinarsi un intreccio quasi invisibile, di fronte al quale l’imprenditore di turno avrà buon gioco nel dire: “non sapevo che fosse un mafioso, era una così brava persona…”.

Cioè pressappoco quel che disse l’On.le Lo Turco negli anni Ottanta quando gli esibirono le foto che lo ritraevano insieme a Santapaola: un’anteprima nazionale che era stata già proiettata quarant’anni fa, sempre nel “cinema” che sta alle pendici dell’Etna. Se vogliamo comprendere come si è trasformata Cosa nostra – e quanto sia divenuta impalpabile nei rapporti con le imprese e la politica, per sfuggire alla repressione penale – dobbiamo farlo cercando di trovare una spiegazione a queste vicende. Qualcosa che vada oltre i limiti angusti della repressione penale.

Testi tratti dal libro "Cosa Nostra S.p.a., di Sebastiano Ardita

© Riproduzione riservata