Per primo è arrivato l’invito di Bruno Vespa, per secondo quello di Sky, ieri per terzo e ultimo, in ordine di apparizione – ma nel mondo alla rovescia della tv alla fine gli ultimi davvero diventano primi – è arrivata La7, anzi il Tg di La7.

Il direttore Enrico Mentana ieri ha preso contatti con il Nazareno, e presumibilmente anche con palazzo Chigi, per candidare i propri studi al faccia a faccia fra Giorgia Meloni e Elly Schlein. L’evento è appetibile, quindi adesso i tre canali avanzeranno agli staff delle due le proprie garanzie. Ce ne vorranno parecchie, particolarmente nella tv pubblica. Ci scherza su il deputato Gianni Cuperlo: spera che «le regole di palazzo Chigi prevedano anche il diritto di parola per Elly».

Battute a parte, ieri il conduttore di Porta a Porta si è vantato di essere stato quello con i riflessi più pronti: «Noi abbiamo per primi fatto l’invito a entrambe, un minuto dopo che la leader del Pd avanzò la richiesta di un confronto. Ovviamente è ancora tutto da decidere, tempi e modalità. Aspettiamo».

La decisione va concretizzata, però, perché la par condicio scatterà 60 giorni prima delle europee. Il confronto deve avvenire quindi entro il 9 aprile; ma bisogna tenere conto che quest’anno Pasqua cade il 31 marzo. Dunque fine marzo è la dead line.

Sky ha avanzato la sua disponibilità durante la conferenza stampa di Giorgia Meloni, attraverso l’inviato parlamentare Massimo Leoni, a cui la premier ha risposto con entusiasmo studiato: «È normale e giusto che il presidente del Consiglio si confronti col leader dell’opposizione».

Al Nazareno c’è soddisfazione per l’operazione politica e comunicativa andata in buca. Viene ricordato che è stata Schlein a lanciare la sfida, a metà dicembre, durante il Forum Europa, rispondendo a chi la criticava per non aver accettato l’invito ad Atreju, la festa di FdI. Lì no, aveva spiegato: «Io il palco con i nostalgici del franchismo e del fascismo non lo divido» ma «quando vuole Giorgia Meloni ci confrontiamo nel merito su qualsiasi cosa. Scegliamo un luogo: non casa sua, non casa nostra, dove vuole». In tv, anche.

Ora l’aggancio è avvenuto. Dopo mesi di lavoro, la famosa «polarizzazione» fra le due donne – cercata con determinazione dal lato Pd – è al suo culmine. In un tempo tutto sommato record: solo un anno fa Schlein era vicepresidente dell’Emilia-Romagna e meditava se candidarsi o meno alle primarie Pd.

«Se la chiave era la polarizzazione, ora Elly ha trovato la chiave», spiega un deputato vicino alla segretaria. Per di più fra i tanti sondaggi tiepidi ce n’è uno che piace molto al Nazareno, ed è l’ultimo di Tecné per Rete4: dà il Pd al 19 per cento ma con una crescita di 3,6 punti rispetto a questo periodo dell’anno scorso.

E se fosse una trappola?

Tutto bene? Non del tutto, è il Pd. Come da tradizione di partito, appena raggiunto l‘obiettivo a lungo agognato, la polarizzazione, sono iniziati i ripensamenti: e se fosse una trappola? E se Meloni stesse cercando il colpaccio per sé stessa, per uno scontro all’ultima battutaccia fra la presidente popolana, «aregà, sto a morì», che chiede una pausa-pipì ai cronisti in diretta tv, e la sofisticata ragazza radical che affida il guardaroba all’armocromista e usa parole polisillabe e ragionamenti complessi che i suoi detrattori definiscono «supercazzole»?

È la versione preferita di Giuseppe Conte, infastidito dall’essere finito a lato mentre sulla scena c’è la sfida fra le due. Intervengono tutti i suoi: da Virginia Raggi, secondo cui Meloni si è scelta la competitor «meno ostica», all’ex ministro Patuanelli, secondo cui è quella che «teme meno». «Ciò che Meloni non può fare, è scegliersi gli oppositori e dare patenti di legittimità ai suoi avversari», ha detto ieri Conte a Repubblica.

Il rischio è che ora infittisca l’attivismo contro il Pd, e che Schlein finisca al centro dei colpi degli avversari e degli amici. Dal lato suo, Schlein fa sapere che resta della linea zero-polemiche verso Conte; comunque consigliabile per favorire gli accordi per le amministrative. Dunque polarizzazione o no, il Pd, chiede a M5s di continuare a lavorare insieme sui «temi concreti»; dopo la battaglia sul salario minimo (persa), ora sul congedo parentale paritario.

Le europee

Semmai la preoccupazione per Schlein è un’altra. Aver rimandato la decisione se candidarsi o meno alle europee adesso consegna la scelta a Meloni. Se si candiderà lei, a questo punto sarà impossibile sottrarsi. È vero che Meloni ha le sue gatte da pelare: quando ha spiegato che deciderà con gli altri leader alleati, Salvini e Tajani, da tutti è stato letto come un segno di coesione, e invece è l’opposto: la premier deve farsi giurare dai due che una vittoria troppo marcata di FdI sugli alleati non faccia saltare la maggioranza.

Anche Schlein ha i suoi grattacapi: sono in molti i papabili candidati che ormai le chiedono di decidersi, visto che la sua presenza cambierebbe tutti gli equilibri delle preferenze. La sua corsa al Sud potrebbe azzerare le chance di tutti i candidati «schleiniani». Di più: potrebbe indurre i famosi «cacicchi», da Vincenzo De Luca a Michele Emiliano a Antonio Decaro, a unire gli sforzi, e pesarsi contro di lei.

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