La Rai è l’unica azienda al mondo che finanzia la concorrenza. Lo fa malvolentieri e se potesse si sottrarrebbe al compito, ma non può perché il balzello è imposto per legge. La norma prevede che una parte degli introiti del canone televisivo riscossi attraverso la bolletta della luce siano fatti transitare dalla Rai a un Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione.

Si tratta di 110 milioni di euro l’anno che vanno a finire in larga parte nelle casse delle tv e radio commerciali locali. Nel 2021 la quota versata a queste televisioni e in misura minore alle radio è stata di 66 milioni di euro, quest’anno sarà probabilmente più alta di cinque milioni grazie a uno degli ultimi commi della legge di bilancio la cui formulazione lascia però margini di ambiguità.

La ripartizione delle risorse viene stabilita dal ministero dello Sviluppo economico, in questo momento guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, che periodicamente aggiorna le liste degli aventi diritto e la cifra spettante a ognuno di essi. L’elenco comprende 137 tv e 163 radio commerciali, più 301 tv e 320 radio «comunitarie» (cooperative, opere diocesane, parrocchie, associazioni culturali, eccetera).

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La quota restante dei 110 milioni del Fondo per il pluralismo è destinata a una lista di giornali e periodici, 107 in totale comprese otto pubblicazioni per le minoranze linguistiche, beneficiati in base a criteri applicati dal sottosegretario alla presidenza del consiglio con la delega all’editoria, il senatore Giuseppe Moles di Forza Italia, un politico che i giornali presentano come fedelissimo di Silvio Berlusconi. In pratica i 22 milioni circa di italiani che ogni anno pagano i novanta euro del canone Rai finanziano a loro insaputa con cinque euro a testa anche televisioni locali private che non vedranno mai, radio di cui ignorano l’esistenza e giornali nei confronti dei quali nutrono come minimo indifferenza.
 

Elenchi sterminati

Negli elenchi c’è proprio di tutto. In cima alla lista delle tv c’è Telenorba, televisione molto seguita in Puglia e nel sud, a cui viene concesso un contributo di un milione e 700 mila euro. Per le altre 136 televisioni il sussidio è a scendere fino a un minimo di 25 mila euro per Tlt Molise 1. Per le radio il range degli importi va da un massimo di 247 mila euro per la milanese Radio popolare a un minimo di nove mila euro per la piemontese Radio studio aperto.

In cima alla lunga lista delle tv comunitarie c’è TeleclubItalia (141 mila euro) e poi dal 56esimo posto una sfilza di 256 televisioni beneficiate con 3.778,92 euro a testa. Umbria radio Inblu con 89 mila euro apre la lista delle radio comunitarie che in coda annovera 244 emittenti a cui viene concessa la somma di 3.114,20 euro ciascuna.

Molto più elevati gli importi per i giornali: più di tutti incassa Dolomiten, quotidiano in lingua tedesca di Bolzano, sei milioni e 176 mila euro. I giornali cattolici Famiglia cristiana e Avvenire prendono rispettivamente sei e cinque milioni di euro, poi c’è l’editoriale Libero (5,4 milioni di euro), Italia Oggi (quattro milioni), Il Manifesto (tre milioni), Il Foglio (un milione e 800mila euro).

Tutto ciò è frutto di una riforma approvata ai tempi del governo di Matteo Renzi che aveva come scopo quello di spezzare le reni all’evasione di massa del canone Rai. Un obiettivo che è stato pienamente centrato perché oggi il canone è pagato con la bolletta elettrica da circa sette milioni di italiani in più rispetto a sette anni fa e il tasso di evasione è precipitato dal 27 per cento del totale al cinque per cento. L’importo del canone nel frattempo è diminuito, da 113,50 euro nel 2015 a cento nel 2016 a novanta euro degli anni successivi.

Essendo cresciuta in modo considerevole la platea dei paganti è cresciuto anche il gettito complessivo che in media ora è di circa due miliardi di euro l’anno. Ma tra Fondo per il pluralismo, Iva al quattro per cento, e tassa di concessione governativa, le risorse a disposizione dell’azienda Rai sono rimaste le stesse, anzi, sono addirittura diminuite da un miliardo e 662 milioni di euro del 2013 a un miliardo e 649 milioni.

I quattrini riscossi in più grazie al canone non sono stati considerati dal governo Renzi e da quelli che sono venuti dopo come un recupero dell’evasione da destinare al legittimo destinatario finale della tassa, cioè la Rai. È stata invocata la fattispecie dell’extragettito in base a un ragionamento di questo tipo: è vero che gli incassi aggiuntivi sono frutto di una tassa di scopo e del miglioramento del sistema di riscossione del canone, ma siccome i soldi non hanno colore, allora li diamo ad altri senza però farlo sapere a nessuno.

Tre ricorsi

I vertici Rai si sono sentiti raggirati e sollecitati dal sindacato interno Usigrai hanno presentato sette anni fa un ricorso al presidente della Repubblica. In tutto questo tempo, però, giustizia non è stata fatta e il Consiglio di stato a cui per prassi il presidente ha trasmesso la faccenda, non è stato neanche messo nelle condizioni di poter esaminare la questione per poi esprimere un parere perché dai ministeri e in particolare da quello dello Sviluppo economico non ha ricevuto le carte e le informazioni richieste. A gennaio di due anni fa i magistrati hanno chiesto di nuovo la documentazione idonea agli uffici ministeriali con tre sentenze distinte senza però ottenere risposta.

Arrivato con il compito dichiarato di mettere a posto i conti della televisione pubblica, il nuovo amministratore Rai, Carlo Fuortes, in una delle prime audizioni davanti ai parlamentari della commissione di Vigilanza ha messo in evidenza l’anomalia dei quattrini riscossi per la Rai, ma regalati ad altri.

Di quei soldi aggiuntivi Fuortes avrebbe bisogno come il pane perché dal 2008 in poi i ricavi per la pubblicità si sono dimezzati, da un miliardo e 187 milioni di euro a 557 milioni. Fuortes sperava che governo e partiti gli dessero retta inserendo una qualche modifica, magari un emendamento alla legge di bilancio del 2022, ma non l’hanno accontentato.

È stato confermato il criterio dell’extragettito Rai e reso permanente il Fondo per il pluralismo con annessi i 110 milioni di euro che a suo tempo era stato invece presentato come temporaneo. Sapendo di poter contare senza esitazioni sulla benevola accoglienza dell’informazione Rai, governo e partiti hanno deciso di continuare a coltivare a suon di risorse prelevate dal canone una pletora di televisioni private, radio e giornali che al bisogno possono tornare sempre utili. Soprattutto le tv private, megafoni sempre aperti alle richieste di qualsiasi amministratore locale e fondamentali per i candidati quando ci sono le elezioni.

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