All’inizio dell’anno, l’Italia è stata per giorni uno dei paesi europei che vaccinavano più in fretta, poi a febbraio siamo scesi nella classifica e oggi ci troviamo poco sotto la media europea, vicini a paesi come Francia e Germania. Nel frattempo, divari tra regioni virtuose e quelle più in difficoltà sono aumentati e il nostro paese ha fatto peggio di molti altri nelle vaccinazioni più importanti, quelle destinate agli over 80.

Non è un fallimento completo, ma di sicuro qualcosa è andato storto nel piano vaccinale italiano. Domani ha parlato con numerosi medici, dirigenti e consulenti per capire le ragioni di questa situazione. Quello che è emerso è un quadro di scontri interni, di sfiducia tra dipartimenti e di difficoltà nel superare i tradizionali limiti della nostra amministrazione.

Il ruolo di Arcuri

L’ex commissario all’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri, sostituito ora dal generale Francesco Paolo Figliuolo, è stato la figura centrale della prima fase piano vaccinale italiano. Ha operato sempre con grande autonomia e con la fiducia e il sostegno del ministro della Salute Roberto Speranza.

È stato il suo staff a scrive la parte logistica e organizzativa del piano vaccinale presentato lo scorso 2 dicembre (mentre la parte sulle categorie prioritarie è preparata da un gruppo di esperti del ministero guidato dal professor Gianni Rezza). L’idea di Arcuri, condivisa dal ministero della Salute, era quella di accentrare il più possibile il piano per ragioni di efficienza e di tenere sotto il controllo diretto del commissario i due elementi cardine: l'assunzione del personale aggiuntivo destinato ad eseguire vaccinazioni e la costruzione dei principali centri di vaccinazione (le famose “primule”).

Le regioni

Il terzo elemento necessario al piano era più problematico poiché non c’era modo di metterla sotto il controllo di Arcuri o del ministero: il ruolo delle regioni. Numerose fonti hanno confermato a Domani che, dopo anni di tagli e disinvestimenti, né il commissario, né il ministero sono in possesso delle risorse umane necessarie a organizzare un piano vaccinale dettagliato e vincolante per ciascuna regione. Né c’erano le condizioni politiche per farlo, con presidenti di regione assertivi come Luca Zaia in Veneto o Vincenzo De Luca in Campania.

Il risultato è che sono le regioni da sole a decidere come distribuire i vaccini tra le diverse categorie prioritarie, a stiracchiare le definizioni di queste categorie, a organizzare i sistemi di prenotazione e quelli di somministrazione. Il risultato è che oggi entre alcune regioni hanno già vaccinato quasi metà degli over 80, altre devono ancora cominciare.

Secondo Carlo Palermo, segretario dell’Anaao, il principale sindacato dei medici dirigenti: «Con le vaccinazioni siamo partiti bene, ma ci siamo un po’ arenati quando si è affermata questa idea di regionalismo vaccinale».

La competizione

Se Arcuri non poteva controllare le regioni, poteva però influenzarle, nell’attesa che le sue assunzioni aggiuntive e i suoi centri vaccinali divenissero il motore principale del piano. E il modo in cui ha scelto di farlo è stato metterle in competizione tra di loro.

Diverse fonti hanno sottolineato a Domani il ruolo centrale in questo processo del portale sulle vaccinazioni creato dal commissario, un sito internet molto apprezzato dagli esperti, ma che allo stesso tempo evidenzia in maniera spettacolare le differenti performance regionali.

La “classifica di Arcuri”, ampiamente ripresa da giornali e telegiornali, ha avuto l’effetto di elettrizzare i governi regionali, terrorizzati all’idea di essere inseriti nella lista delle regioni lente. Gabriele Gallone, medico responsabile delle vaccinazioni all’ospedale di Orbassano in Piemonte, ricorda una riunione il 7 gennaio in cui i rappresentati della regione fecero fuoco e fiamme perché nella classifica il Piemonte era stata superata dalla Campania.

Riunioni simili sono avvenute in altre regioni e i medici ospedalieri sono stati spesso spremuti affinché vaccinassero il numero più alto di persone, a volte arrivando a forzare le definizioni di categorie prioritarie elaborate dal ministero. L’accelerazione a inizio anno è stata notevole, ma molti giudicano il risultato complessivo non positivo. «Mancanza di pianificazione e la gara tra regioni hanno lasciato il peso della vaccinazione sugli ospedali già sovraccarichi», dice il dottor Gallone.

Il futuro

Secondo molti, gli squilibri tra regioni non sarebbero stati così gravi se fin dal primo momento la Protezione civile fosse stata coinvolta maggiormente nel piano. Ma fonti del dipartimento hanno detto a Domani che a livello centrale la Protezione civile non ha mia partecipato a tavoli sul piano vaccinale.

Nel frattempo, le assunzioni di personale aggiuntivo affidate da Arcuri a cinque agenzie interinali procedono lentamente (ma fonti del ministero precisano che se non si fosse usato questo metodo sarebbero state ancora più lente) e il progetto “primule” (a cui è sempre mancato un vero e proprio finanziamento) è stato abbandonato.

L’impostazione di Arcuri, accentratrice, competitiva e basata sul contributo dei privati (dalle agenzie interinali ai finanziatori che si sperava di trovare per le primule), ha prodotto uno sprint iniziale, ma ha anche contribuito a mantenere i divari che da sempre dividono la qualità dei servizi nel paese.

La nuova impostazione decisa dal governo Draghi va in un’altra direzione: coinvolgimento della Protezione civile, dell’esercito e linee guida più rigide per le regioni. Sarà presto messa alla prova: nelle prossime settimane riceveremo tanti vaccini quanti ne abbiamo ricevuti negli ultimi due mesi.

 

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