Lui si chiama Sebastiano Vecchio, per gli amici Seby. Di mestiere faceva il poliziotto, ma un giorno decise di buttarsi in politica. Affascinato dal successo del suo “compare” Peppe Scopelliti, ex giocatore di pallacanestro e all’epoca astro nascente del berlusconismo, si candidò al Consiglio comunale di Reggio Calabria.

Vinse e diventò pure assessore. Gli anni Duemila erano appena iniziati, Scopelliti, un passato da leader del Fronte della Gioventù, era stato eletto sindaco a furor di popolo. E Reggio era diventata “da bere”.

Spese folli estati pazzesche con Valeria Marini che per poche centinaia di migliaia di euro si concedeva alla vista dei reggini passeggiando per il Corso Garibaldi. Mentre al lungomare le radio trasmettevano musica dance. Il sindaco e Lele Mora erano una cosa solo. Balli e feste. Farina e forca.

I trionfi di Peppe, che nel 2010 schiaccia il centrosinistra e diventa Presidente della Regione. Una marcia trionfale. Finita in un crollo rovinoso. Con Peppe che sta ancora scontando una condanna per falso in atto pubblico, il Comune di Reggio sciolto per mafia e poi passato nelle mani del centrosinistra, e un mare di inchieste sui rapporti tra quella politica e le famiglie di ‘ndrangheta che dominano in città.

Gola profonda

Ora Seby Vecchio, l’ex poliziotto, in galera per l’inchiesta “Pedigree2” si è fatto pentito, e vuole raccontare tutto. «Appena nominato assessore all’istruzione – ha raccontato ai magistrati Stefano Musolino e Walter Ignazitto – Alberto Sarra mi portò a casa di Paolo Romeo».

Sarra è un avvocato, fedelissimo di Scopelliti, che conosce usi e costumi del sottopotere nella sua città. Paolo Romeo è l’uomo delle mille trame, il Salvo Lima dello Stretto. Quell’incontro durò poco, solo una stretta di mano e un cenno di assenso di Romeo. Per Seby Vecchio fu come «togliere il cappello a qualcuno». Insomma, rendere omaggio alla vera autorità della città.

L’ex poliziotto ha parlato a lungo con i pm della procura antimafia, delineando, più e meglio di un sociologo della politica, il quadro dei rapporti di potere in riva allo Stretto. Consiglio e giunta comunale erano solo pure formalità.

Sistema

«Fare le riunioni di giunta – rivela il nuovo pentito – era una gran presa per il culo, perché era già tutto fatto, preconfezionato. Se volevi era così, se no era lo stesso e te ne andavi a casa». Appalti, assunzioni, scelte decisive per la città, si discutevano e decidevano altrove, su altri tavoli. «Altro che modello Reggio, chiamiamolo modello di cartone».

«C’era un sistema per gli appalti che favoriva le solite ditte», rivela Vecchio, che ammette il suo desiderio di entrare nel sistema, ma gli altri, quelli che definisce «il cerchio magico» di Scopelliti, «non ci cacavano proprio. Volevo almeno ottenere l’1 per cento di qualcosa che potesse venir comodo a me e a chi mi veniva voglia di favorire».

In una occasione, un appalto di illuminazione sostenibile, Seby Vecchio, si vede rimproverare da un suo collega di giunta, che a brutto muso gli chiede: «Ma nca cercasti ‘a pila?” (hai chiesto una mazzetta alla ditta?)». Andavano così le cose in quegli anni ruggenti a Reggio Calabria, dove non tutte le famiglie di ‘ndrangheta erano contente del modo di fare del sindaco.

La tiratina di orecchie

Tanto che qualcuno, decide di «tirare un pochettino le orecchie a Peppe Scopelliti», i Condello, la famiglia di Pasquale, detto il Supremo allora numero uno della ‘ndrangheta e superlatitante. «Parliamo delle famiglie più grosse, questo lo vengo a sapere ma lo vedo in prima persona».

Il sindaco era troppo spostato sugli interessi dei De Stefano, potente e storica cosca cittadina. Tocca ad Alberto Sarra ricucire i rapporti. Con diversi viaggi a Roma. «Al Café de Paris (noto locale di via Veneto, sequestrato per ‘ndrangheta, ndr) abbiamo incontrato il gestore, il proprietario e mi sono messo a ridere perché mi ha detto che lui prima era barbiere a Sinopoli (paesino in provincia di Reggio, dove domina la cosca degli Alvaro, ndr), e invece è arrivato col Porsche Cayenne. Sarra si incontrava con questi degli Alvaro, poi la sera si usciva per night, tutti ospiti loro».

Ma l’incontro romano più importante è in una villa dove ad attendere Sarra, Vecchio e gli altri c’è Paolo Martino, all’epoca uomo potentissimo della ‘ndrangheta al Nord e cugino del boss dei boss Paolo De Stefano.

Seby Vecchio vuole capire, fa troppe domande. La risposta è netta: «Fatti i cazzi tuoi, Alberto si sta…perché devono aggiustare alcune cose a Reggio perché mi sa tanto che tuo compare...Peppe Scopelliti..è troppo verso i De Stefano e deve darsi una regolata».

Il racconto del pentito si ferma qui, se parlerà ancora con i magistrati, potrà chiarire il mistero più fitto di questa storia di collusioni, ricatti, pressioni e pax finale con le cosche. Il ritrovamento di tre panetti di tritolo al primo piano di Palazzo San Giacomo, sede del Comune. E’ il 6 ottobre 2004, Scopelliti è un sindaco in difficoltà nel rapporto con la città, una nota dei servizi segreti, sette giorni prima del ritrovamento annuncia attentati.

Quel tritolo non innescato era nelle disponibilità di una cosca di ‘ndrangheta. L’annuncio e il ritrovamento sono ancora uno dei grandi misteri di Reggio Calabria.

© Riproduzione riservata