Ledo Gori, capo di gabinetto di Eugenio Giani, presidente della regione Toscana, è indagato per corruzione in un’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti che coinvolge anche un imprenditore legato alla ‘ndrangheta. L’inchiesta chiama in causa, come indagati, anche i vertici dell’associazione conciatori di Santa Croce che lavora pelli per l’alta moda italiana. Gli scarti finivano nei canali senza alcun trattamento oppure venivano mischiati da fornitori, legati alla ‘ndrangheta, e usati come materia prima per la realizzazione della strada empolese, la 419, di centri commerciali, aeroporti e lottizzazioni edilizie. Rifiuti contenenti il keu, il nome tecnico delle ceneri residuo della lavorazione delle pelli. Si tratta di materiale inerte contenente cromo che, al contatto con gli agenti atmosferici, diventa esavalente, potente cancerogeno.

Nell’inchiesta della procura di Firenze, guidata dai pm Giulio Monferini ed Eligio Paolini e condotta dal Noe e dal Nipaf dei carabinieri, colonnello Luigi Bartolozzi e tenente colonnello Marta Ciampelli, viene citato anche lo stesso Giani perché due degli arrestati avrebbero chiesto e ottenuto la nomina di Gori a capo di gabinetto come garanzia del comparto conciario. In realtà, stando al lavoro degli inquirenti, Gori era l’uomo di fiducia dell’associazione a delinquere. Giani non è indagato, ma presto potrebbe essere convocato in procura per chiarire alcuni aspetti a partire dalla nomina di Gori, che è fondamento del presunto patto corruttivo.

«In particolare da Aldo Gliozzi, Piero Maccanti, Giulia Deidda, Alessandro Francioni e Franco Donati, veniva formulata la promessa a Ledo Gori di utilità di carriera, consistita nel fatto che sarebbe stato riconfermato nel suo incarico dirigenziale anche con il nuovo presidente eletto, promessa accettata dal Gori in cambio della sua incondizionata disponibilità a assecondare le richieste dei vertici del sodalizio criminoso in materia ambientale», scrive il giudice Antonella Zatini.

«Condizione essenziale»

In effetti, ricostruiscono gli inquirenti, Gliozzi e Maccanti, finiti ai domiciliari, hanno incontrato durante una cena nel marzo 2020 e in successive visite elettorali nel comparto industriale, il presidente Giani. E hanno fatto capire al futuro presidente che la nomina di Gori a capo segreteria «era una condizione essenziale per avere il sostegno dell’associazione conciatori, dei suoi imprenditori consorziati e del bacino di voti che erano in grado di orientare, essendo il Gori il loro uomo di fiducia e gradimento», continua il giudice. Una nomina in cambio dei voti, considerando che il comparto conta 400 aziende consorziate.

In effetti Gori, che ha iniziato la sua avventura in regione nel 1999 come referente di Libera, è stato nominato capo della segreteria, con uno stipendio di 100mila euro all’anno, il giorno dopo la proclamazione a presidente della regione Toscana di Eugenio Giani. Gori così ascolta le istanze del sodalizio, condiziona le scelte del direttore dell’agenzia regionale di protezione ambiente per evitare che vengano compiute scelte che compromettano i controlli compiacenti, palesando, in caso contrario, al direttore dell’agenzia il rischio di rimozione dall’incarico.

Non solo, Gori è stato per diversi anni il regista di accordi contenenti prescrizioni derogatorie alle norme statali sugli scarichi. La sua condotta, illecita secondo gli inquirenti, inizia nel 2010 da quando è diventato capo di gabinetto, confermato con l’elezione di Giani. Ma ci sono altri elementi che gli inquirenti puntano a chiarire. Giani ha ricevuto, ha denunciato Fratelli d’Italia, per la campagna elettorale regionale un contributo di 8mila euro dall’associazione conciatori di Santa Croce, associazione i cui vertici sono indagati nell’inchiesta. Ha ricevuto in tutto 20mila euro dall’intero comparto. C’è un altro particolare che diventa decisivo nella ricostruzione delle figure istituzionali a disposizioni della cricca dei rifiuti.

Gli indagati, al momento, sono il capo di gabinetto di Giani, ma anche il consigliere regionale del Pd Andrea Pieroni, quest’ultimo indagato per corruzione perché avrebbe presentato un emendamento, in materia di scarichi e autorizzazioni ambientali, del quale «non conosceva il contenuto tecnico (…) dietro la promessa di 2-3mila euro da erogarsi in concomitanza con la campagna elettorale delle elezioni regionali tenutesi nel settembre 2020». Emendamento che viene presentato il 26 maggio 2020, letto dal presidente del consiglio regionale che chiarisce, dopo qualche brusio proveniente dai banchi delle opposizioni, che l’emendamento era «stato presentato regolarmente, perché è tra gli incartamenti che ho qui nella mia cartellina, fin dall’inizio. Lo metto in votazione». Il presidente del consiglio regionale era Eugenio Giani.

Estraneo alle accuse

Abbiamo contattato la portavoce che non ha mai risposto. Nelle carte dell’inchiesta c’è anche un riferimento ai contributi elettorali raccolti da alcuni degli indagati «in favore del presidente uscente della regione Rossi Enrico (non indagato, ndr)» dal comparto conciario. Nell’inchiesta è coinvolta anche Giulia Deidda, sindaca di Santa Croce sull’Arno che ha anche il ruolo «di raccordo tra la politica e gli imprenditori nella raccolta dei contributi elettorali, orientandoli in favore dei candidati politici che dimostravano maggiore sensibilità verso le istanze dei conciatori». L’avvocato Enrico Marzaduri, che difende Gori, ha spiegato: «Il mio assistito è molto colpito perché si ritiene completamente estraneo alle accuse».

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