I nuovi pneumatici cosiddetti sostenibili di Michelin, parzialmente prodotti con gomma naturale (più ecologica di quella sintetica), nascondono una manovra di greenwashing che ha contribuito a finanziare la distruzione di uno degli ecosistemi forestali più importanti dell’Indonesia. Lo rivela questa inchiesta di Voxeurop.

Il nodo deforestazione

Ufficialmente, la storia comincia il 14 dicembre 2014, quando Michelin acquista il 49 per cento di Royal Lestari Utama (Rlu), un'azienda agroforestale di proprietà del conglomerato indonesiano Barito Pacific Group, con un passato legato alla deforestazione. L’accordo ha grandi ambizioni: contribuire secondo una logica ambientalmente rispettosa a circa il 10 per cento della fornitura globale di gomma naturale per Michelin. La collaborazione con le comunità locali mira a rafforzare contemporaneamente la produzione, i mezzi di sussistenza degli agricoltori e la protezione degli habitat ancora intatti. Il progetto coinvolge le province di Jambi (isola di Sumatra) e East Kalimantan (isola del Borneo).

Marzo 2015: le due aziende firmano un impegno di non deforestazione: la futura espansione delle concessioni di gomma di RLU sarà possibile solo su terreni aperti, nel rispetto degli habitat. A ottobre 2016 si presenta un'occasione d'oro per ricapitalizzare la joint venture: la banca francese BNP Paribas (Bnpp) ha appena fondato il Tropical Landscapes Finance Facility (Tlff), con il supporto e la supervisione del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep); una piattaforma di finanziamento per progetti commerciali legati agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il Tlff conclude nella primavera del 2018 l’emissione di obbligazioni verdi a lunga scadenza per un importo di 95 milioni di dollari. Bnpp commercializza le obbligazioni emesse dal Tlff che utilizza i proventi per concedere un prestito con cui Rlu intende aumentare la produzione e i rendimenti delle proprie piantagioni, generando così redditività finanziaria per gli investitori. Il circolo virtuoso dei profitti è chiuso.

L’illusione green

Immaginiamo ora un eco investitore che rilegge mentalmente il prospetto di Bnpp che lo ha convinto a investire in green bond: «Questo paesaggio un tempo verde, negli ultimi hanno ha subito una grave deforestazione»; «gli investitori hanno già piantato circa 18076 ettari di alberi della gomma prima di dicembre 2017»; «[prevedono] di rigenerare [...] zone boschive naturali, fornendo un habitat a tigri, elefanti e oranghi» e «cattura della CO2 attraverso lo sviluppo delle piantagioni». L'operazione sembra perfetta.

Ma solo sulla carta. Peraltro, la vicenda non è neppure cominciata nel 2014 con una stretta di mano tra Michelin e Barito, ma diversi anni prima. La firma della joint venture arriva pochi mesi dopo la fine di un vasto disboscamento iniziato nel 2010 da una delle filiali di Rlu, Lestari Asri Jaya (Laj), nella provincia di Jambi, nell’isola di Sumatra. Siamo alle porte del parco nazionale di Bukit Tigapuluh. Michelin ne era pienamente consapevole quando ha avviato con Barito le trattative che hanno portato all'accordo del 2014. I suoi addetti avevano, infatti, visitato la concessione di Laj diverse volte dal 2013 in poi.

Quello che gli investitori non sanno, quindi, è che una porzione notevole delle piantagioni definite “sostenibili”, sovvenzionate dai fondi raccolti dal Tlff, sono in realtà sorte sulle ceneri di alberi che sono stati abbattuti dalle filiali di Rlu, che gestiscono le concessioni, prima del lancio della joint venture Michelin-Barito. «Non ho assistito personalmente a operazioni di deforestazione condotte specificamente da Laj», afferma Hervé Deguine, responsabile delle relazioni con le ong di Michelin. Tuttavia, in vista dell'accordo con Barito, l’azienda francese ha commissionato una verifica sul campo all'organismo di consulenza ambientale no profit Tft con sede nel Regno Unito (che oggi è una fondazione con sede in Svizzera, Earthworm). Secondo questo studio (ottenuto confidenzialmente dai giornalisti), che Michelin non ha voluto rendere pubblico, Rlu ha disboscato circa 3500 ettari di foresta nella concessione Laj tra il 2012 e il 2014.

Le cifre del bluff

Questo dato è comunque più basso di quello fornito da Leo Bottrill, ad dell'azienda di tecnologia geospaziale MapHubs. I suoi calcoli sono stati inclusi dalla Ong Mighty Earth nel suo rapporto dell’ottobre 2020 (e successivamente in quello del 2021) che ha attirato per la prima volta l'attenzione del pubblico sulla questione. Bottrill stima che un'area totale di 8468,46 ettari sia stata deforestata da Rlu all'interno della concessione Laj (e nella vicina e piu piccola Wmw) prima della joint venture del 2015. «In sostanza, una parte significativa del prestito Tlff di 95 milioni di dollari è stata utilizzata per coprire le spese sostenute dalla Rlu per disboscare e piantare alberi della gomma in un'area naturale di importanza globale», dice Alex Wijeratna, direttore senior di Mighty Earth. Nulla di tutto ciò è illegale. Nel 2010, RLU ha ricevuto un permesso governativo per piantare alberi da gomma. Ufficialmente, gli investitori hanno quindi il diritto indiscutibile di percepire i proventi della vendita della gomma, compresa quella proveniente dagli alberi coltivati in un'area disboscata industrialmente e dove in passato vivevano elefanti, oranghi e tigri. Tutti e tre gli animali fanno parte della lista rossa delle specie minacciate dell'Unione internazionale per la conservazione della natura. Secondo uno studio sugli elefanti che vivono nell’area condotto dal biologo tedesco Alex Moßbrucke, ex-direttore dell’International Elephant Project, «la probabilità di estinzione in un periodo di 500 anni è stimata al 100 per cento», nonostante gli impegni alla tutela degli habitat promessa da Rlu. Inoltre Bottrill ha calcolato che l’abbattimento della foresta nella concessione di Laj contribuirà a rilasciare circa 13 milioni di tonnellate di CO2 tra il 2009 (l’anno prima della deforestazione nella concessione Laj) e il 2030.

Acquirenti ignari

Tale volume non verrà compensato dagli 8,27 milioni di tonnellate che verranno assorbite tra il 2014 (l’anno dell’accordo tra Michelin e Barito) e il 2030 dalla parziale riforestazione e dalle piantagioni di gomma, secondo la valutazione effettuata da Rlu. Senza contare che, nel novembre 2015, un'indagine dell'équipe indonesiana del Wwf aveva dimostrato che – pochi mesi dopo che Michelin e Barito avevano dottato la loro politica di non deforestazione – Laj disboscava ancora illegalmente in un'area protetta e al di fuori del perimetro della sua concessione. Tutte queste rivelazioni non sono emerse nella fase di certificazione delle obbligazioni da parte dell'agenzia di revisione sociale e ambientale Vigeo Eiris, nominata da Tlff nel 2017. Per prassi, Vigeo Eiris ha infatti esclusivamente condotto la sua valutazione sulla base della documentazione fornita da Rlu e di informazioni pubbliche relative al conglomerato ma non alle sue singole concessioni, come appunto Laj. Non ha effettuato nessuna indagine indipendente. È quanto prevede il fallace sistema dei Green Bond Principles, ossia gli standard volontari di mercato introdotti dall’International Capital Market Association.

Il rapporto di certificazione di Vigeo e il prospetto informativo di BNP Paribas, che cita a sua volta il link del rapporto, sono gli unici due documenti ufficiali a cui i potenziali acquirenti dei green bond hanno potuto fare riferimento per decidere di investire. Viste le omissioni su quanto realmente accaduto in passato, gli investitori sono stati sviati e i loro soldi hanno finito per remunerare a posteriori il disastro ambientale. E, col rimborso del prestito (maggiorato degli interessi), che Michelin ha erogato nell’estate 2022 dopo aver rilevato il 100 per cento dell’azionariato di Rlu, la verita è stata messa a tacere. «È altamente improbabile che gli ex detentori delle obbligazioni, oramai ripagati, facciano pressioni sulla società», spiega un avvocato specializzato in diritto commerciale.

L'articolo fa parte dell'inchiesta realizzata da Voxeurop, in collaborazione con Tempo, col sostegno di IJ4EU, GRID-Arendal's Investigative Environmental Journalism Grants programme, Global Initiative Against Transnational Organized Crime, Environmental Reporting Collective, Journalismfund.eu e Mediabridge. Questa inchiesta ha vinto il “premio Europa” al Lorenzo Natali Media Prize 2023

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