Nelle palazzine ex Enpam di Milano, Basiglio e Vimodrone per alcuni inquilini regna l’incertezza. La loro angoscia è iniziata nel marzo del 2022, quando la società americana Apollo global management ha comprato 68 immobili del complesso Dream di proprietà dell’ente di previdenza di medici e odontoiatri (Enpam) sparsi in tutta Italia per un valore complessivo di 842 milioni di euro, in uno degli affari di compravendita immobiliare più grandi d’Europa. 

L’Apollo ha poi affidato parte degli immobili a InvestiRE Sgr (Gruppo Banca Finnat) che ha costituito due appositi fondi, Hestia e Basiglio, per gestire e valorizzare gli immobili.

Tra i 1500 inquilini che risiedono nei 350 appartamenti c’è chi vive lì da cinquant’anni, chi da trenta e chi, come alcuni nuclei famigliari più giovani, da meno tempo. «Da oltre sei mesi stiamo vivendo un incubo tra i peggiori che possa capitare agli over 70 e cioè essere messi fuori casa se non comperi l’appartamento che l’Ente previdenziale dei medici ha venduto a una società americana», dice Giacomo Lamacchia che da circa trent’anni vive in uno degli appartamenti di Milano. «Entro il 12 giugno dovevamo comunicare cosa avevamo deciso: comprare la casa, stipulare un usufrutto o rinnovare l’affitto. Il problema è che tutele per il dopo affitto non ci sono ed è quello che spaventa la maggior parte di noi inquilini visto che non possiamo comprare», racconta.

Lo scorso aprile il signor Lamacchia ha ricevuto una raccomandata da InvestiRE Sgr (Gruppo Banca Finnat), l’azienda che ora si occupa delle trattative di compravendita con gli inquilini.

Dopo trent’anni di affitto a un costo di circa 550 euro al mese gli propongono di comprarsi la casa a prezzo più basso rispetto a quello di mercato. Nella raccomandata ricevuta il prezzo nero su bianco è di circa 185mila euro tasse escluse. Rimane un investimento ancora troppo alto per una persona che ha oltre 70 anni di età e vive di sola pensione. «Decorso il suddetto termine, quanto previsto dall’accordo sindacale non sarà più applicato e le unità immobiliari saranno offerte in vendita ai terzi sul libero mercato», si legge nella lettera che ha ricevuto come altri centinaia di inquilini.

Chi invece ha deciso di comprare la casa può rivolgersi «esclusivamente presso uno o più notai scelti dal Fondo per ragioni di efficienza del processo di vendita e di reciproco vantaggio». Una decisione che è stata accolta come un’imposizione da parte dell’inquilinato.

Al signor Lamacchia rimane un’unica opzione, che è quella di ritardare la sua uscita dall’appartamento in cui ha vissuto gran parte della sua vita. E quindi, rinnovare il contratto con la formula 3+2 ma con un aumento del costo del canone mensile che va dal 10 al 20 per cento in base al suo reddito. Decorsi i cinque anni, salvo ulteriori trattative, dovrà andarsene.

Attutire i colpi

Alla lettera ricevuta da Lamacchia si è arrivati dopo un lungo percorso di trattative e di incontri tra sindacati e società a cui hanno partecipato anche i membri delle istituzioni – tra questi il sindaco di Milano Giuseppe Sala, l’assessore alla Casa del Comune di Milano Pierfrancesco Maran, il sindaco di Vimodrone Dario Veneroni e la sindaca di Basiglio Lidia Reali – culminato in un accordo collettivo.

«Il fondo Apollo, che è un fondo speculativo, aveva inviato a circa il 90 per cento degli inquilini le lettere di disdetta quando ha comprato l’immobile», dice Gianni Belli presidente di Unioni inquilini Milano.

Dopo strenue trattative i sindacati sono riusciti a ottenere tre opzioni: compravendita, usufrutto o la proroga del canone di affitto per alcuni casi specifichi. Può continuare a pagare il canone chi ha un’età superiore ai 70 anni e un reddito Isee inferiore ai 35 mila euro, oppure i nuclei famigliari con la presenza di un componente con invalidità superiore al 66 per cento. Per chi non rientra nei parametri e non può permettersi di aprire un mutuo, l’opzione è una sola: lasciare casa.

«Viste le condizioni date e l’atteggiamento speculativo della società abbiamo parato il colpo. Un contratto collettivo di questo tipo attenua il grosso disagio che deve sopportare l’inquilinato. In ogni caso, non è mai una vittoria quando viene dismesso un patrimonio», dice Gianni Belli.

Lui stesso fa parte delle circa venti famiglie residenti in via Sulmona che hanno sottoscritto un contratto di uscita. Belli, infatti, ha 69 anni di età e una pensione da 1200 euro al mese, cifre che non gli permettono di comprarsi l’appartamento in cui vive da anni. E allora perché ha deciso di sottoscrivere l’accordo collettivo come sindacato? «Sono arrabbiato, ma ho deciso di anteporre l’interesse di tutti a quello mio, ragiono così se voglio essere un sindacato di solidarietà».

E aggiunge: «Ci tengo a specificare che abbiamo fatto le assemblee e hanno votato liberamente gli inquilini. Non lo so se è una vittoria quella ottenuta. Posso dire che abbiamo cercato di parare i colpi. A Milano è soltanto l’ultimo caso di dismissione di un ente. Poteva finire peggio, come è accaduto già. Il fondo Hestia che ha le proprietà in via Washington non ha accettato l’accordo con gli inquilini e ha deciso di vendere a terzi perché più vantaggioso».

Il caso della svendita del patrimonio immobiliare da parte degli enti di previdenza è un fatto sempre più comune. «Stanno vendendo tutto quanto per pagarci le pensioni», dice Belli. Che ora, però, con la sua piccola pensione farà fatica a trovare un appartamento a Milano a un prezzo accessibile.

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