Nel 2024 l’incremento della spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia è stato inferiore a quello degli altri paesi europei. Una situazione grave checché ne dica il governo Meloni al punto che 5,8 milioni di cittadini (quasi uno su dieci) lo scorso anno sono stati costretti a rinunciare a visite e prestazioni sanitarie.

È la fondazione Gimbe a presentare l’infausta ricognizione in vista dell’imminente discussione sulla Legge di Bilancio 2026.

Liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più marcate: in difficoltà tutte le regioni «sempre più in affanno nel garantire i livelli essenziali di assistenza mantenendo in ordine i bilanci», sottolinea il presidente Nino Cartabellotta nell’evidenziare che «il conto più salato di scelte miopi lo pagano anzitutto i cittadini».

La discesa è iniziata dopo il 2011 quando la spesa sanitaria pro-capite era allineata alla media europea. E paradossalmente il precipizio si è registrato dalla fase più critica, quella della pandemia: mentre nel resto d’Europa si potenziavano gli investimenti nel nostro paese si tagliava. «L’entità di questo progressivo definanziamento è imponente. Al cambio corrente dollaro/euro il gap pro-capite nel 2024 ha raggiunto 729 euro» dice Cartabellotta numeri alla mano, che moltiplicato per la popolazione residente fa 43 miliardi di euro di divario.

La propaganda di governo

E la situazione di certo non tenderà a migliorare: il governo evidenzia che si è passati da un rapporto tra spesa pubblica sanitaria e Pil del 6,2 per cento nel 2023 (il minimo storico), al 6,3 per cento nel 2024. E che il 6,3 per cento è garantito per quest’anno per poi salire al 6,4 per cento nel biennio 2026-2027.

E rimarca ad ogni occasione buona che dal 2022 il Fondo sanitario nazionale è salito da 126 a 136,5 miliardi, con oltre 10 miliardi in più, che sono stanziati 870 milioni per ridurre le liste d'attesa e avviato un piano triennale di assunzioni per 10mila medici e 20mila infermieri. Numeriche che però evidentemente non bastano visto che è la realtà dei fatti a comprovare una crisi profonda e inarrestabile tenendo conto dell’aumento del costo della vita e del conseguente impoverimento degli italiani su cui pesano spese crescenti per casa, energia, cibo.

«Siamo di fronte a un’erosione progressiva di risorse pubbliche al servizio sanitario nazionale che, soprattutto dopo la pandemia, è sempre più in affanno». Nella classifica dei paesi Ocse (la fonte utilizzata per l’elaborazione è il dataset Oecd Health Statistics aggiornato al 30 luglio 2025), con una spesa sanitaria pubblica pari al 6,3 per cento del Pil e una spesa pro-capite per 3.835 euro, l’Italia si piazza oggi al 14mo posto: per farsi un’idea in Germania (al secondo posto dopo gli Stati Uniti) la spesa si attesta al 10,6 per cento del Pil e quella pro-capite ammonta a 8.080 euro, oltre il doppio rispetto a noi.

Ed è emblematico il raffronto con il Regno Unito, che vanta un modello sanitario universalistico analogo al nostro: a partire dalla pandemia oltremanica la spesa pubblica per la sanità è aumentata al punto che in soli cinque anni il paesi ha superato Canada e Giappone ed è riuscito a posizionarsi poco al di sotto della Francia. E l’Italia è ultima nella classifica dei Paesi del G7, posizione che peraltro manteniamo ormai da anni. «Di fatto in Europa l’Italia è prima tra i paesi poveri: ci precedono solo alcuni paesi dell’Est e dell’Europa Meridionale, e persino Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna investono più di noi».

Per Cartabellotta bisogna smetterla con «il solito teatrino prima della Manovra». «È dall’impietoso confronto con gli altri Paesi europei e del G7 che bisogna ripartire» dice il presidente esortando le forze politiche tutte a trovare una quadra – «serve un patto che prescinda dagli avvicendamenti di governo e sancisca un impegno non negoziabile per rifinanziare progressivamente la sanità pubblica». E il tema non è tanto risalire le classifiche internazionali quanto «restituire forza e dignità al Ssn e garantire a tutte le persone, ovunque vivano e a prescindere dal loro reddito, l’inalienabile diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione. Se non investiamo sulla salute, pagheremo tutto con gli interessi: in disuguaglianze, malattia, impoverimento e perdita di futuro».

© Riproduzione riservata