Sulla digitalizzazione della sanità il cammino italiano è ancora lungo. Ed è sui ritardi del fascicolo sanitario elettronico (Fse) che è scattato l’allarme.

Entro giugno 2026, ossia alla scadenza del Pnrr, tutte le Regioni dovranno essere pienamente operative ma stando ai dati più recenti resi noti dalla Fondazione Gimbe appena 4 tipologie di documenti sanitari risultano disponibili al 100% sul territorio nazionale, sui 16 monitorati attraverso il portale pubblico del ministero della Salute e del dipartimento per la Trasformazione digitale. Sono la lettera di dimissione ospedaliera, il referto di laboratorio e quello di radiologia e il verbale di pronto soccorso. In coda alla classifica con appena il 5% la cartella clinica, al 29% la lettera di invito per screening, vaccinazione e altri percorsi di prevenzione. Al di sotto del 70% il documento di erogazione farmaci e la scheda singola vaccinazione (entrambi a quota 67%) e superano di poco il 60% il referto di anatomia patologica e il taccuino personale dell’assistito.

Documenti disponibili nei FSE Regionali (percentuale sul totale dei n. 16 documenti oggetto del monitoraggio del Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale)
Documenti disponibili nei FSE Regionali (percentuale sul totale dei n. 16 documenti oggetto del monitoraggio del Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale)
Documenti disponibili nei FSE Regionali (percentuale sul totale dei n. 16 documenti oggetto del monitoraggio del Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale)

Divari territoriali

Si tratta di percentuali che variano molto a livello territoriale: secondo i dati Gimbe nessuna regione alimenta il Fse con tutte le tipologie di documenti previste dal decreto del ministero della Salute del 7 settembre 2023 che ha definito i contenuti del Fse 2.0: si va dal 94% del Piemonte e del Veneto al 44% di Abruzzo e Calabria.

Tipologie documentali disponibili nel FSE per Regione (percentuale sul totale dei n. 16 documenti oggetto del monitoraggio del Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale)
Tipologie documentali disponibili nel FSE per Regione (percentuale sul totale dei n. 16 documenti oggetto del monitoraggio del Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale)
Tipologie documentali disponibili nel FSE per Regione (percentuale sul totale dei n. 16 documenti oggetto del monitoraggio del Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale)

Per non parlare dei servizi: se è vero che i Fse regionali possono offrire fino a 45 servizi digitali solo la Toscana e il Lazio superano la soglia del 50% dei servizi attivati (rispettivamente con il 56% e il 51%), la Calabria è l’ultima classificata con appena il 7%.

Servizi disponibili nei portali FSE regionali per Regione (percentuale sul totale)
Servizi disponibili nei portali FSE regionali per Regione (percentuale sul totale)
Servizi disponibili nei portali FSE regionali per Regione (percentuale sul totale)

E se il divario digitale tra le Regioni non sarà colmato rapidamente si rischia «una nuova forma di esclusione sanitaria», dice la Fondazione presieduta da Nino Cartabellotta. «In Italia i cittadini non hanno le stesse possibilità di accesso alla propria documentazione clinica. E questo non è accettabile in un servizio sanitario nazionale che si definisce universale».

C’è un’altra questione non da poco: solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati «con divari abissali e percentuali irrisorie nel Mezzogiorno. Per milioni di cittadini il fascicolo sanitario elettronico resta uno strumento ben lontano dalla piena operatività». E di fatto anche se si dovesse raggiungere l’obiettivo Pnrr in termini di disponibilità dei documenti da parte delle Regioni la misura risulterebbe comunque zoppa: il mancato consenso da parte dei cittadini vanificherebbe le potenzialità e l’adozione del Fse.

Cittadini che hanno espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sul FSE
Cittadini che hanno espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sul FSE
Cittadini che hanno espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sul FSE

E c’è anche un tema di scarso utilizzo dei servizi: nel primo trimestre dell’anno solo il 21% dei cittadini ha consultato almeno una volta il proprio Fse (considerando coloro che avevano almeno un documento caricato). E le disparità regionali sono marcate: si va dall’1% delle Marche al 65% dell’Emilia-Romagna con il Mezzogiorno a quota 11%.

«Non basta caricare i dati nel fascicolo, bisogna anche mettere le persone nella condizione di usarli. E questo significa investire seriamente in alfabetizzazione digitale», dice Cartabellotta. Alfabetizzazione che deve riguardare anche i medici: «Se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente».

Tra gennaio e marzo 2025 il 95% dei medici di medicina generale e pediatri ha effettuato almeno un accesso al Fse, mentre per quel che riguarda i medici specialisti delle aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione il 72%. Ma si tratta di percentuali di media nazionale, anche in questo caso a livello regionale la situazione cambia molto.

Piattaforme regionali scollegate

A denunciare la difficoltà della situazione anche il Coina, il sindacato delle professioni sanitarie che chiede un'accelerazione concreta anche e soprattutto sul fronte dell’interoperabilità dei dati fra le Regioni e le rispettive piattaforme: «Il Fascicolo sanitario elettronico 2.0 deve diventare davvero interoperabile e non restare una promessa sulla carta», sottolinea il segretario nazionale Marco Ceccarelli nell’evidenziare che la digitalizzazione è fondamentale anche per abbattere la burocrazia ospedaliera. «Sette schede per un solo ingresso in reparto e fino a quaranta minuti sottratti a ogni paziente per compilare documenti. È questa la realtà quotidiana negli ospedali italiani, un sistema che carica sulle spalle degli infermieri una mole insostenibile di burocrazia, togliendo tempo all'assistenza qualificata e aumentando il rischio di errori clinici».

Ceccarelli segnala anche che in Italia la burocrazia in sanità vale fino a 25 miliardi di euro l'anno tra sprechi, duplicazioni e inefficienze organizzative. «Una cifra che equivale a più di un punto percentuale del Pil sanitario e che sottrae risorse preziose a investimenti in personale e innovazione».

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