Il governo ha approvato ieri il decreto legge che proroga lo stato di emergenza causato dalla pandemia di Covid-19 fino al prossimo 31 marzo. Si tratta della terza proroga decisa dal governo Draghi e la prima che porta la durata dello stato di emergenza oltre il massimo di 24 mesi fissato dalla precedente normativa.

Lo stato di emergenza è uno strumento da anni al centro di polemiche. Consente alle amministrazioni pubbliche incaricate della gestione dell’emergenza di derogare alle leggi in vigore tramite semplici ordinanze.

In passato, i governi sono stati accusati per utilizzarlo in occasione che non costituivano vere emergenze, come l’organizzazione di eventi internazionali. Durante la pandemia, il secondo governo Conte è stato accusato di volerlo utilizzarle per creare una «dittatura sanitaria».

Oggi, invece, la situazione è meno tesa. Tutte le forze di maggioranza e gran parte dei presidenti di regione sono a favore della proroga, mentre Fratelli d’Italia è l’unico partito che si è espresso in modo apertamente contrario.

Emergenza e pandemia

Lo stato di emergenza è stato deliberato per la prima volta dal secondo governo Conte il 31 gennaio 2020, il giorno dopo la proclamazione di una «emergenza internazionale di salute pubblica» da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Da allora è stato rinnovato per tre volte dal governo Conte: a luglio (quando chiese in proposito un parere al Parlamento, anche se non era strettamente necessario stando alla lettera della legge), a ottobre e poi di nuovo a gennaio.

Il governo Draghi lo ha prorogato altre tre volte: ad aprile, di nuovo a luglio e poi l’ultima volta ieri. Quest’ultima proroga è stata leggermente diversa dalle precedenti. Lo stato di emergenza, infatti, ha superato per la prima volta la durata massima di 24 mesi prevista dal codice della protezione civile.

Superare questo ostacolo però non è stato difficile. Essendo fissato in una legge ordinaria, questo limite è stato aggirato approvando un nuovo decreto legge, invece di una semplice delibera come era stato fatto in quasi tutte le altre occasioni.

Da dove arriva

LaPresse

Lo stato di emergenza non è previsto dalla nostra Costituzione ed è comparso nell’ordinamento italiano soltanto di recente e tramite una legge ordinaria. Si tratta della legge 225 del 1992, successivamente modificata dal codice della protezione civile, introdotto con il decreto legislativo 1 del 2018.

L’articolo 24 di quest’ultimo decreto stabilisce che lo stato di emergenza viene deliberato dal Consiglio dei ministri su proposta del presidente e d’intesa con le regioni interessate, quindi senza coinvolgimento del Parlamento.

In questa prima delibera devono essere indicate sia le risorse da stanziare per l’emergenza che la sua durata, che non può essere superiore ai 12 mesi, prorogabile una sola volta per altri 12. Va anche indicata la dimensione territoriale su cui si applica lo stato di emergenza.

Sul territorio e per il tempo indicato dal decreto, una serie di enti, in genere la protezione civile, hanno il diritto di derogare tramite ordinanza alle norme di legge (pur «rispettando i principi generali dell’ordinamento», è specificato nella legge).

Lo scopo di queste ordinanze e delle deroghe alle leggi è consentire minori limitazioni ai vincoli di bilancio e agli obblighi di trasparenza delle pubbliche amministrazioni, consentendo ad esempio di fare acquisti di beni necessari più in fretta rispetto ai casi normali.

Le critiche

Lo stato di emergenza è stato criticato di frequente e fin dalla sua introduzione. Il suo utilizzo e la sua proroga sono stati al centro di particolari polemiche soprattutto all’epoca del secondo governo Conte.

Le accuse più frequenti vanno dalla sottrazione di poteri al parlamento a quella di ridurre le tutele e i contrappesi democratici, per arrivare a quella di aver compiuto un atto unico in Europa. C’è un fondo di verità soprattutto in quest’ultima critica, visto che come ha scoperto il sito di factchecking Pagella Politica, l’Italia è l’unico paese in Europa ad aver mantenuto in vigore una qualche forma di stato di emergenza per tutta la durata della pandemia senza interruzioni.

Nonostante le numerose critiche, lo stato di emergenza è stato utilizzato decine di volte da tutti i governi nel corso degli ultimi anni, anche se sempre su porzioni limitate del territorio italiano e mai, prima di oggi, in tutto il paese.

Il sito Openpolis ha calcolato che dal 2013 lo stato di emergenza è stato dichiarato 127 volte: per 102 volte è stato invocato in risposta a eventi meteorologici, per otto volte dopo eventi sismici o di origine vulcanica, per sette in seguito a emergenze internazionali, mentre in altre sei per emergenze ambientali o sanitarie (tra cui l’emergenza Covid-19). In quatto casi, infine, le emergenze sono state gestite da soggetti diversi dalla protezione civile.

Prima della pandemia, la gran parte delle critiche si focalizzava sulle ragioni per cui lo stato di emergenza veniva invocato, che in diversi casi non avevano nulla a che fare con eventi estremi o emergenziali.

Tra le varie “emergenze” di questo tipo si ricordano in particolare i mondiali di nuoto del 2009, l’organizzazione del G8 della Maddalena, poi svoltosi all’Aquila, e la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta. Silvio Berlusconi è stato il capo di governo che ha utilizzato in maniera più estesa lo stato di emergenza per l’organizzazione di eventi e appuntamenti internazionali.

Per queste ragioni, lo stato di emergenza ha finito con l’essere considerato da molti un modo per aggirare leggi ordinarie senza che ci fosse una vera necessità emergenziale, esponendo le procedure di acquisto e appalto al rischio di corruzione. Il codice della protezione civile del 2018 ha cercato di limitare in parte questo stato di cose.

E i Dpcm?

Anche se spesso c’è confusione sul punto, non è invece strettamente legato allo stato di emergenza l’altra “gamba” degli interventi anti pandemici: i decreti del presidente del Consiglio dei ministri, più noti con la sigla Dpcm.

Questi Dpcm sono atti amministrativi del governo che devono obbligatoriamente “discendere” da un altro atto del governo avente forza di legge, come ad esempio un decreto legge.

Durante la pandemia, il secondo governo Conte e poi quello Draghi hanno utilizzato i decreti legge per fissare le regole generali delle restrizioni anti pandemiche e poi i singoli Dpcm per determinare quali specifiche restrizioni mettere in vigore.

Anche se in alcuni di questi decreti, come il primo della serie, approvato nel marzo 2020, i Dpcm vengono affiancati allo stato di emergenza, il presidente del Consiglio li può emanare anche in una situazione ordinaria.

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