Nel passato di Franco Sirianni c’è una pena patteggiata per estorsione aggravata a tre anni e otto mesi con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.  Domani ha letto la sentenza a carico del direttore generale di Sigifer, l’azienda per la quale lavoravano i cinque operai morti travolti da un treno in corsa.

La procura di Ivrea ha già iscritto i due superstiti nel registro degli indagati e sta verificando le ragioni delle mancate comunicazioni e la causa dell’ultima tragedia sul lavoro. Il passato del padrone di Sigifer, oggi direttore generale dell’azienda, getta un’ombra sinistra sul subappaltatore di rete ferroviaria italiana che non ha voluto parlare con noi e chiarire la vicenda.

Sirianni è stato riabilitato dal tribunale di sorveglianza di Torino e, questo sottolinea la sua difesa, dentro quella storia inquietante ci sarebbe finito accidentalmente. Prima di leggere le accuse e le evidenze raccolte dagli inquirenti che hanno portato, nel 2012, alla sentenza di patteggiamento, bisogna precisare che la Sigifer è presente nella white list della locale prefettura e che quindi, da un punto di vista formale e sostanziale, aveva tutti i requisiti per eseguire quelle lavorazioni.

L’azienda ha 96 dipendenti, il 70 per cento sono assunti a tempo indeterminato ed è impegnata in un appalto in Albania per «lavori di costruzione ferroviaria, lavori di manutenzione sistematica delle sovrastrutture ferroviarie», si legge sul sito, già attiva in passato in alcuni appalti in Venezuela. Attraverso la società di diritto controllata ha lavorato per il «consorcio gruppo Contuy formato da Astaldi Spa, Ghella e Impregilo», si legge.

Gli altri appalti sono in Italia con rete ferroviaria, in passato la realizzazione della nuova linea ferroviaria della stazione di Torino Porta Susa e oggi la manutenzione della linea Milano-Torino dove cinque operai sono stati travolti e uccisi da un treno.

La Sigifer è un’azienda storica nel settore, con sede a Borgo Vercelli, attiva nel ramo dell’armamento ferroviario dagli anni novanta, dal 2000 diventa società in nome collettivo con proprietari i fratelli, Franco e Giuseppe. Si trasforma in una srl nel 2016 quando soci diventano Tiziana Gazzignato, Simona e Daniele Sirianni, proprio in quell’anno Sirianni non figura più nell’organigramma societario, ma diventa direttore generale.

Il passato del padrone

Torniamo al 2011 quando il capostipite finiva, insieme con altri colleghi imprenditori, ai domiciliari con l’accusa di estorsione aggravata. Avevano affidato a un broker il compito di avviare alcune società di diritto estero, ma non decollavano per diversi ostacoli fiscali, la loro idea era quella di investire in autobus in Africa che sarebbero stati prodotti grazie all’esperienza industriale proprio di Sirianni.

A un certo punto, però, i tre si erano convinti che il consulente li avesse truffati e così decidevano di contattare, tramite un autotrasportatore, due siciliani, uno nipote di un criminale catanese. L’obiettivo era quello di riavere i soldi. Sirianni, insieme agli altri soci, veniva definito mandante dell’attività criminosa che veniva svolta dai due criminali assoldati.

Nella storia i ruoli sono diversi, ma le condotte «sono convergenti», scrivevano gli inquirenti. I due soggetti assoldati dagli imprenditori bloccarono il figlio del broker con queste frasi: «Noi non ti abbiamo toccato prima perché ti abbiamo visto con tua mamma, noi le donne non le tocchiamo, se tu fai come vogliamo noi va tutto tranquillo non ti succede niente (…) tuo padre non si è comportato bene, ha sbagliato, questi sono affari».

Poco dopo arrivava il broker al quale i due criminali intimavano di versare 600 mila euro a loro e cinque milioni ai due imprenditori, non a Sirianni, per evitare brutte conseguenze «altrimenti ti facciamo male».

Da lì iniziava un incubo per le due vittime, padre e figlio, con pedinamenti, telefonate, minacce fino alla consegna di 120 mila euro nelle mani dei due criminali. La vicenda si concludeva con l’arresto dei tre imprenditori, anche Sirianni, che andavano ai domiciliari, dei due siciliani e dell’autotrasportatore che aveva fatto da tramite.

Il giudice fissava così il giudizio immediato e le difese degli imputati chiedevano il patteggiamento, concesso dalla procura di Milano, che precisava «possono concedersi agli imputati le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alle contestate aggravanti, in ragione della propria pregressa incensuratezza, delle dichiarazioni sostanzialmente confessorie rese dai medesimi e delle offerte di riparazione pecuniaria poste in essere in favore della vittima da Sirianni, Naretto e Cerruti». 

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