Lunedì è cominciata in diverse regioni la somministrazione di vaccini da parte dei medici di famiglia, un passaggio cruciale del piano vaccinale che, quando tutte le regioni saranno a regime, permetterà di coinvolgere gli oltre 40mila medici di medicina generale italiani. Luigi de Lucia, 69 anni, medico di famiglia romano, è stato uno dei primi a iniziare con le somministrazioni

Qual è il suo bilancio di questa prima giornata?

È andata bene, è stata una bella giornata. Abbiamo vaccinato 33 pazienti, tutti molto contenti, alcuni quasi sorpresi. Con tutto quello che si è sentito in questi giorni ci avevamo messo ormai una croce sopra all’idea di essere vaccinati rapidamente. E invece ce l’abbiamo fatta.

Ci racconti come sono andate le cose dal suo punto di vista.

Dunque, la mia giornata è iniziata alle 8.30 quando mi sono presentato alla sede della farmacia di zona della Asl per ritirare le fiale di vaccino. A me fanno capo 36 medici, un gruppo che lavora insieme, ad esempio visitando i pazienti degli altri quando uno di noi è fuori sede. In teoria avrei dovuto ricevere 72 fiale da 11 dosi di vaccino AstraZeneca, due per ognuno dei miei colleghi. Sapevo che con i problemi che la società ha avuto nella produzione non sarebbero mai state così tante. E infatti di fiale me ne hanno date soltanto quattro. Si sapeva che sarebbe andata così, ma io spero che presto arrivino anche tutte le altre dosi che aspettiamo.

E una volta ricevute le dosi cosa ha fatto?

Sono andato al mio centro, dove c’erano i miei colleghi che mi aspettavano per cominciare le vaccinazioni. Il nostro ambulatorio si trova in una zona popolare dell’XI municipio di Roma, nella parte sud occidentale della città. Come prima cosa abbiamo preparato tutta la documentazione necessaria per i pazienti che avremmo dovuto ricevere nella mattinata. Poi, facendo molta attenzione, ho cominciato a estrarre il vaccino dalle fiale che mi avevano consegnato e a diluirlo in quelle più piccole che avremmo usato per le vaccinazioni.

È un’operazione molto delicata?

Abbastanza. Bisogna estrarre esattamente 0,5 millilitri dalla fiala di vaccino e diluirla poi nei fialode. Per farlo si utilizzano delle speciali siringhe un po’ più pregiate di quelle normali, ma non le famose “luer-lock” molto costose ordinate dal commissario Arcuri. Usiamo siringhe da insulina, con ago normale a pressione, non a baionetta. Dopo aver preparato le 33 dosi necessarie, abbiamo cominciato a far entrare i pazienti.

Chi erano e come sono stati scelti?

In Lazio i medici di famiglia hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca che, in base alle indicazioni di Aifa, può essere utilizzato soltanto da chi ha 65 anni o meno. Per questo siamo partiti dai nati nel 1956. Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di individuare tutti i pazienti nati in quell’anno e abbiamo escluso insegnanti e operatori delle forze dell’ordine, che stanno venendo vaccinati dalla Asl. A quel punto, con la lista che abbiamo creato, abbiamo deciso di procedere in ordine cronologico: prima i nati in gennaio, poi quelli nati in febbraio e così via.

Come ci si prenota per ricevere il vaccino?

I nostri pazienti li abbiamo chiamati direttamente noi, fissando l’appuntamento e poi richiamandoli per assicurarci che si sarebbero presentati. Una volta preparate le dosi di vaccino non si possono conservare. Se qualcuno non si presenta il vaccino va buttato, quindi su questo è meglio essere prudenti. Dopo averli chiamati, abbiamo mandato ai pazienti una copia del consenso informato che dovevano riconsegnarci firmata e infine, prima di iniziare, abbiamo ricontrollato tutto un’altra volta.

Terminata la burocrazia è il momento delle vaccinazioni vere e proprie, come si svolgono?

Lunedì mattina nel nostro studio eravamo tre medici con tre postazioni vaccinali. Ma se avessimo più dosi potremmo facilmente arrivare fino a sei postazioni. Se non abbiamo le dosi, invece, c’è poco che possiamo fare...Comunque, durante le operazioni indossiamo il nostro normale camice, guanti, mascherina e occhiali protettivi, ma non la tuta completa che in genere si usa quando si prelevano i tamponi. Dopo la vaccinazione, che dura pochi istanti, teniamo il paziente in osservazione per una mezz’ora per assicurarci che non ci siano reazione allergiche. Fortunatamente davanti al nostro ambulatorio abbiamo un piazzale piuttosto grande e la maggior parte delle persone ha trascorso il periodo di attesa seduta al bel sole romano di ieri mattina. Per chi preferiva stare al chiuso avevamo comunque la sala d’attesa, che era vuota visto che noi non facciamo attività normale quando vacciniamo. Ecco, questa è una cosa che mi sembra che a molti non sia ancora chiara: noi le vaccinazioni le facciamo in un momento extra rispetto al nostro normale lavoro.

E i vostri pazienti, come hanno reagito?

Erano tutti molto contenti, davvero. Alcuni come dicevo quasi meravigliati. Poi lei deve sapere che io ho 69 anni, sono vicino alla pensione, e pratico da 45 anni. Quando i nostri pazienti storici vedono il volto del loro medico di famiglia si rasserenano come quando vedono un amico. Le dico la verità: non cambierei questo quartiere con uno studio ai Parioli per niente al mondo.

Qualcuno aveva dubbi o ha mostrato incertezze?

Qualcuno ci ha chiesto se avevamo già la loro seconda dose e abbiamo dovuto spiegargli che non potevamo conservarla noi e che non dovevano avere paura perché l’avrebbero trovata al loro ritorno. In molti ci hanno chiesto dei loro parenti e amici: «Il vaccino quando toccherà a loro?». L’unica risposta che potevamo dargli era «quando ci metteranno in condizioni di vaccinarli». In questo momento, con questa grande incertezza sull’arrivo di nuove dosi, non possiamo promettere niente di più purtroppo.

Con l’inizio delle vaccinazioni su larga scala sembra che forse potremmo lasciarci alle spalle le fasi peggiori della pandemia. Qui a Roma è stata particolarmente difficile lo scorso autunno. Cosa ricorda di quel momento?

Noi come medici la seconda ondata ce l’aspettavamo, soprattutto dopo l’estate che molti hanno passato a fare i mattacchioni, anche se i tempi non erano maturi per un ritorno alla vita normale. Nel nostro ambulatorio il picco massimo lo abbiamo visto tra fine novembre e inizio dicembre. Personalmente ho visto morire tre miei pazienti nell’arco di un paio di giorni. Quando perdi qualcuno che conosci da anni è sempre doloroso, ma alcuni casi lo sono più degli altri. Uno dei tre deceduti era un carissimo amico che viveva nella mia stessa palazzina, al piano di sotto. Averlo accompagnato in ospedale e poi non averlo più visto né sentito, se non per qualche messaggio, fino alla morte, è stato un colpo emotivo pesante.

Nell’ultimo anno abbiamo imparato che i medici di famiglia sono la nostra prima linea di difesa contro la pandemia e oggi scopriamo che sono un ingranaggio fondamentale per far arrivare i vaccini a tutti. Cosa pensa di quei politici che dicevano che ormai nessuno va più dal medico di famiglia?

Dico che è gente che non conosce la realtà. Quando diventano parlamentari ottengono una polizza assicurativa molto pingue, che li porta a usare strutture private senza pagare una lira. Che ne sanno delle persone normali di via del Trullo, della Garbatella o della Magliana, che vengono tutti i giorni nei nostri studi? Loro frequentano la cima della piramide, ma noi medici di famiglia siamo la base che la tiene in piedi.

 

© Riproduzione riservata