Nelle linee guida per i licei non ci sono autrici considerate imprescindibili, come sono invece definiti Pascoli o D’Annunzio. Scegliere di veicolare ai ragazzi e alle ragazze una visione del mondo attraverso i testi di alcune autrici significa permettere la trasformazione dell’immaginario, il modo in cui concepiamo la realtà, in cui costruiamo la nostra concezione etica
Il tema del canone letterario, o meglio di come le scrittrici ne siano escluse e siano per questo pressoché assenti dai manuali scolastici di letteratura, torna ciclicamente da anni, come una sorta di tormentone.
Nell’ormai lontano 2000 la Società italiana delle letterate aveva organizzato il suo primo seminario estivo proprio su questo, e da quell’incontro è sorto un volume, tuttora in circolazione, a cura di Anna Maria Crispino, in cui la questione del canone letterario viene del tutto ribaltata: il punto, secondo le studiose della Sil, è partire dal presupposto che le scrittrici sono per definizione Oltrecanone (Iacobelli, 2015).
Non si tratta di uno di quei sofismi per dire che le donne sono oltre o puerizie del genere, ma di scegliere di focalizzare l’attenzione laddove serve, vale a dire sulla struttura: il canone letterario è stato pensato, costruito e cementato da un sistema culturale e di potere che non prevedeva affatto la presenza delle scrittrici, per questo il punto di partenza per lo studio di testi di donne per lo più ignorate nei secoli è stato quello di andare a scovare ciò che era stato scritto e pubblicato, spesso con difficoltà, in uno spazio creativo ulteriore rispetto a quello canonico.
Il cambiamento e la scuola
Dal 2000 a oggi non sono solo passati 24 anni. Adesso in ambito editoriale, seppure spesso per mere ragioni di mercato, c’è un’attenzione enorme per la scrittura delle donne. Basti osservare una vetrina di una qualunque libreria per verificare che la maggior parte dei titoli esposti sono di autrici o costatare che dei sei libri finalisti al Booker Prize di quest’anno cinque sono scritti da donne.
Questo cambiamento reale rende la questione dell’insegnamento della letteratura a scuola secondo un canone desueto ancora più eclatante. Nelle linee guida per i licei, vale a dire i documenti ministeriali che hanno sostituito i cosiddetti “programmi”, non ci sono autrici considerate imprescindibili, come sono invece definiti Pascoli o D’Annunzio. Nelle indicazioni nazionali, invece, valide per tutte le altre tipologie di scuole superiori il margine è più ampio.
Certo, in nessuno di questi documenti si ritrova il divieto di proporre lo studio di Gaspara Stampa nell’analisi della poesia rinascimentale o di Vittoria Colonna o di Veronica Gambara, ma né il ministero né di conseguenza i manuali scolastici esortano e sostengono l’ampliamento o la modifica del canone. Perché?
Il filosofo francese post-strutturalista Gilles Deleuze definiva l’ordine simbolico come il muro dei significati su cui noi esseri umani siamo spillati, «su cui sono iscritte tutte le determinazioni oggettive che ci rendono fissi, ci inquadrano, ci identificano e ci permettono di riconoscerci».
Aggiungeva, poi, che l’unico strumento che permette una possibile via di fuga rispetto a questo sistema di senso a cui, senza poterlo scegliere, aderiamo, che ci pervade, è la letteratura, o meglio: «Il divenire-donna della letteratura».
Non si tratta di femminilizzazione: per Deleuze il devenir femme, il divenire-bambino, il divenire-animale sono le trasformazioni che permettono uno spostamento, uno scarto rispetto all’ordine stabilito. Similmente, la filosofa Luisa Muraro scrive che l’ordine simbolico dentro al quale viviamo immersi ha come unico accesso e strumento per il cambiamento la letteratura.
Trasformare l’immaginario
Ecco allora che la resistenza a conservare un canone letterario in cui i testi fondamentali sono ancora solo quelli di autori inizia a diventare più chiara: scegliere di veicolare ai ragazzi e alle ragazze una visione del mondo attraverso i testi di alcune autrici significa permettere la trasformazione dell’immaginario, il modo in cui concepiamo la realtà, in cui costruiamo la nostra concezione etica.
Il filosofo Stanley Cavell scriveva che quando incontriamo un personaggio, che sia letterario o di un film, proviamo prima di tutto a riconoscerci, ci domandiamo poi se le sue scelte siano condivisibili oppure no e a partire dalle risposte che ci diamo decidiamo via via che cosa sia giusto fare nella vita reale, anche la nostra.
Studiare il primo romanzo di Sibilla Aleramo Una donna, in cui racconta di aver lasciato il proprio figlio, di averlo abbandonato, ci spinge a porci delle domande sulla sua scelta e quindi anche su quelle delle madri che lasciano i propri figli, a comprendere che nel caso di Aleramo la protagonista della storia era stata stuprata e poi costretta al matrimonio col suo carnefice, nonché condannata a vivere una vita che non aveva scelto in nessun modo.
Andarsene non è un atto contro il bambino, ma per sé stessa. Gli esempi in questa direzione possono essere tantissimi ovviamente, e la letteratura è solo uno degli ambiti in cui il canone, o meglio l’ordine costituito, impongono delle visioni della realtà e oppongono strenua resistenza al loro cambiamento.
«Di Talete si racconta che mentre mirava gli astri e guardava in su cadde nel pozzo: e una servetta tracia prendendolo in giro gli disse che lui desiderava conoscere i fenomeni celesti, ma si lasciava sfuggire quelli che aveva davanti a sé e sotto i suoi piedi»: si tratta di una scena che ritroviamo nel Teeteto di Platone e su cui ha già ampiamente riflettuto Adriana Cavarero.
Quello della serva tracia che ride di colui che è considerato il primo filosofo della tradizione occidentale è un episodio particolarmente significativo, una sorta di condensato di verità: la serva si prende gioco dell’intero razionalismo, all’alba dei tempi, prima che potesse anche solo essere concepito, ma è una serva e nessuno la ascolta.
Il canone, quindi, oltre a essere un elenco polveroso di nomi di autori del passato, consta di significati che consideriamo validi anche perché sono funzionali a un sistema che continua, nonostante i progressi fatti, a fondarsi su discriminazioni di classe, di razza e di genere.
Molte e molti insegnanti lo sanno, per questo dedicano la loro vita al tentativo di s-canonizzare la gioventù dai pregiudizi di cui è vittima, spesso senza il supporto di manuali, dei colleghi e del sistema. La loro, del resto, è una vera lotta culturale.
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