Anatomia di uno squagliamento. Il precipitare degli eventi intorno alla (ex) Superlega del calcio europeo comprime allo spasimo il ciclo di obsolescenza delle notizie e delle dichiarazioni pubbliche, e pone sull'orlo di una crisi di nervi i secessionisti. Prendete il povero Andrea Agnelli, presidente juventino che da vicepresidente dell’ex-neo organizzazione ha rischiato fino all'ora di pranzo del 21 aprile di essere il secondo di due.

Parlando nella giornata di lunedì con Corriere dello Sport e Repubblica aveva detto che anche dopo la defezione delle 6 inglesi il progetto sarebbe andato avanti perché basato «su un patto di sangue». Ma dal sangue all’esangue il passaggio si è consumato in poche battute, sicché nella mattinata dello stesso giorno Agnelli ha cambiato idee e atteggiamento, affermando in una chiacchierata con la Reuters che andare avanti in 6 non avrebbe senso. Figurarsi in 3, come da aggiornamenti giunti dopo la pubblicazione del flash di agenzia che riferiscono dei ritiri da parte di Atlético Madrid, Inter e Milan. Fino alla notizia dei ritiri di Juventus e Real Madrid. Addio anche da presidente e vicepresidente.

Rimane in sospeso il Barcellona. Ma soltanto perché una decisione in merito va presa dall'Asamblea de Compromisarios, per la quale non esiste ancora nemmeno una data. Si terrà entro la fine della stagione calcistica. E a quel punto i votanti avranno davanti la surreale alternativa: rifiutare di entrare in una Superlega già defunta o accettare di rimanerci da soci unici.

Premi virtuali e reali 

E dunque cosa rimane dopo 72 ore vissute nel frullatore, a vivere una guerra atomica del calcio europeo che si è fermata al piano (anche molto duro) delle parole? Di sicuro si prende atto di due sparizioni.

La prima sparizione riguarda la stessa Superlega, che è stata uno strumento di pressione fino a che non si è provato a realizzarla. Perché quando si è deciso di farla sul serio, si è scoperto che l'invincibile armata da cui quello strumento avrebbe dovuto essere usato era in realtà un esercito di Franceschiello. Carbonizzato dalla guerra-lampo che esso stesso pretendeva di scatenare. Con l'effetto di dimostrare nel pieno del conflitto l’inoffensività dell'arma che in tempo di pace sembrava così temibile. Da qui in poi ai club dell'auto-nominata élite calcistica europea non sarà più possibile agitare l’ipotesi della Superlega come strumento di pressione. Rischierebbero di vedersi ridere in faccia, da una Uefa che dalla vicenda esce rafforzata in modo inatteso e dal resto del movimento calcistico europeo, che adesso guarderà loro con meno timore reverenziale.

La seconda sparizione riguarda la gigantesca torta dei profitti che i club aderenti al super-campionato continentale sognavano di spartirsi. Cifre che a questo punto rimangono un miraggio. Era previsto un premio d'ingresso da 3,5 miliardi di euro garantito da JP Morgan, con ripartizione di cui alcuni soci fondatori avrebbero potuto beneficiare più di altri (350 milioni di euro il primo scaglione, coi successivi da 225 milioni, 112,5 milioni e 100 milioni). Denari che qualcuno fra i soci dava praticamente per scontati, tanto da avere già modulato la spesa corrente.

Adesso invece bisognerà tornare all'austerità da Covid, possibilmente senza la tentazione di ricorrere al giochino delle plusvalenze incrociate per guadagnare un altro anno di ossigeno.

Soprattutto, si deve ricominciare a farsi piacere la ripartizione delle risorse previste dall'Uefa per la Champions League (CL). Cui, per inciso, non potranno accedere tutte le 12 società che hanno provato l’azzardo della Superlega. Certamente rimarranno fuori 2 delle 6 inglesi, dato che il format della CL assegna massimo 4 posti per federazione nazionale. Nell’ultima edizione completata, quella che lo scorso agosto ha visto trionfare il Bayern Monaco, la squadra vincitrice ha sommato premi per 82,4 milioni di euro. Quasi 18 in meno del premio d'accesso minimo previsto dall'abortita Superlega. Quanto al premio di accesso minimo della stessa CL, ci si assesta sui 230 mila euro del primo turno preliminare.

Dura rimettere piede nella realtà dopo aver vissuto 72 ore nel miraggio. E a questo punto, ciò che risulta ulteriormente beffardo, si dovrà sperare che l'aumento del montepremi giunga dalla stessa organizzazione che si era preteso di abbandonare perché non abbastanza remunerativa.

Nel pieno dell’emergenza da abbandono dei 12, infatti, Aleksander Ćeferin avrebbe provato a rilanciare. Secondo un'indiscrezione riferita lunedì 19 aprile da Bloomberg il presidente dell'Uefa avrebbe contattato il fondo Centricus Asset Management per ottenere un finanziamento da 6 miliardi di euro, da investire nella riformata CL che partirà nel 2024. Dunque, risposta finanziaria a attacco finanziario. La cosa avrà un seguito dopo il patatrac della Superlega? Il tempo dirà.

La pagina web scomparsa

Nel mezzo di tanto trambusto c’è spazio anche per un mistero buffo. Riguarda il mondo dell’informazione, per la precisione una notizia messa in rete alle 23.20 di martedì 20 aprile dal quotidiano sportivo catalano El Mundo Deportivo. Titolo clamoroso: «L’Uefa ha offerto denaro alle squadre inglesi perché si ritirassero». L’articolo sosteneva che la confederazione europea avrebbe offerto una «importante somma di denaro» ai 6 club della Premier per convincerli a abbandonare il club degli scissionisti. E aggiungeva che una proposta analoga non sarebbe stata presentata ai club spagnoli perché raccolti intorno al presidente del Real Madrid, Florentino Pérez, visto come «il nemico principale» e “ideologo” della Superlega.

Per la cronaca, i 3 club italiani non sono stati menzionati. L’indiscrezione è stata ripresa da molti siti non spagnoli, ma poi dalla mattina successiva risulta rimossa dal sito di El Mundo Deportivo. Sparita più velocemente della Superlega. Minacce di azioni legali? Consultata da Domani, una fonte Uefa che preferisce mantenere l’anonimato ha smentito l’esistenza di tale proposta ai club inglesi.

© Riproduzione riservata