«Siamo a casa da oltre un anno, il 60 per cento dei lavoratori è fermo in ogni settore», racconta un direttore della fotografia. Il Tar che intanto ha accolto il ricorso è in attesa del decreto correttivo, attualmente al vaglio della Ragioneria dello stato per esprimersi
«È andata cautamente bene», dice Christian Collovà, uno degli avvocati che hanno seguito il ricorso al Tar del Lazio contro il decreto cinema del 10 luglio 2024, presentato da diversi produttori italiani. La sentenza, attesa per martedì 4 marzo, è stata rinviata al 27 maggio in attesa di un decreto correttivo, attualmente al vaglio della Ragioneria dello stato.
Secondo Collovà, le richieste dei piccoli produttori dovrebbero essere accolte nella rettifica: «La decisione è stata rimandata perché, se il decreto fosse stato revocato, sarebbero decadute anche le correzioni, riportandoci al punto di partenza».
Cosa cambia sul Tax credit
Tutto ha avuto inizio quasi un anno fa, quando, a luglio, l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano aveva annunciato nuove misure per il settore audiovisivo, in particolare riguardanti il tax credit.
Con il nuovo decreto veniva richiesto il possesso del 40 per cento di capitali privati al momento della domanda di tax credit, un investimento minimo in promozione compreso tra 90mila e 300mila euro, e un numero minimo di proiezioni in un determinato numero di sale entro quattro settimane dall’uscita.
Inoltre, Sangiuliano aveva introdotto un criterio per la distribuzione delle pellicole che prevedeva la stipula dei contratti esclusivamente con le prime venti società, in ordine di fatturato – nessuna delle quali sarebbe italiana.
Il provvedimento aveva lasciato insoddisfatti quasi tutti i lavoratori del cinema, in particolare le piccole e medie imprese che operano nel settore e che sopravvivono proprio grazie a questo strumento.
Per questo motivo martedì 4 marzo in occasione della sentenza del Tar l’associazione italiana tecnici di ripresa (Airt) si è riunita in un presidio proprio di fronte al tribunale del Lazio nel giardino delle Cro cerossine. «Siamo a casa da oltre un anno, il 60 per cento dei lavoratori è fermo in ogni settore», racconta un direttore della fotografia, che preferisce rimanere anonimo, aggiungendo: «Abbiamo già subito abbastanza ripercussioni». Tali richieste, inoltre, risultano insostenibili per le piccole e medie imprese del comparto.
«C’erano delle storture nella legge Franceschini – nessuno di noi lo contesta – ma non si può bloccare l’intero settore. I progetti non partono e vengono rimandati perché non trovano finanziamenti», commenta un lavoratore dell’Airt.
L’obiettivo della protesta è ottenere, in tempi rapidi, un incremento del supporto finanziario per garantire la continuità del tax credit, essenziale per la sopravvivenza delle produzioni locali, medie e piccole, e l’annullamento dei decreti attuativi che stanno paralizzando il settore.
«Il cinema italiano è in dirittura d’arrivo», racconta Antonio de Feo, uno dei produttori indipendenti firmatari del ricorso: «Grazie al tax credit riuscivamo a pagare gli stipendi. La misura penalizzava solo i produttori medio-piccoli, mentre quelli grandi non hanno problemi».
«Anche gli stranieri non vengono più», commentano due costumiste: «Abbiamo scioperato per i Nastri d’argento e ora siamo qui: è la prima manifestazione del 2025».
La questione è politica. «I sovranisti rimangono fermi nella convinzione che il cinema sia una questione di sinistra», sostiene Matteo Orfini, deputato del Partito democratico, presente al presidio. E aggiunge: «Così svendono alle grandi piattaforme, che certamente non sono italiane». Secondo Orfini la legge andava rivista, ma non così: «È ovvio che fossero necessari meccanismi più severi ed efficaci di controllo sull’uso del credito, soprattutto in seguito ai casi di utilizzi impropri e truffe».
Tuttavia, quanto fatto sembra aver un effetto controproducente: «Si è demonizzato uno strumento che ha generato Pil, indotto economico e ha permesso la sopravvivenza del settore».
Il governo, però, non sente ragioni: «Sono otto mesi che chiediamo di discuterne in parlamento e non riusciamo a farlo nemmeno in commissione». E ora che il Tar ha accolto il ricorso, i produttori dovranno comunque aspettare per presentare una nuova domanda per il tax credit, comportando ulteriori ritardi e periodi di inattività per maestranze, attori e attrici: «Non se ne parlerà prima di settembre. Non va bene. Rischiano di chiudere cento, centocinquanta piccole case di produzione» afferma de Feo.
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