Tensioni tra Cei e Santa sede, per Leone XIV gli abusi sono già un dossier delicato

Resta stretto e difficile da sciogliere il nodo degli abusi nella chiesa cattolica. Oltre a interi continenti come l’Africa e l’Asia, tra i paesi più sviluppati il problema riguarda in particolare l’Italia, dove i vescovi rimangono restii ad affrontarlo davvero. A confermarlo è il secondo rapporto annuale sulle politiche e le procedure di tutela nella chiesa. Appena pubblicato dall’organismo della Santa sede che dal 2014 si occupa della questione, la pontificia Commissione per la tutela dei minori, il rapporto – in rete accessibile in inglese e spagnolo – ha subito suscitato una inusuale e stizzita replica della Cei, la Conferenza episcopale italiana. Un’avvisaglia di questa nuova tensione tra Cei e Santa sede era arrivata il 5 luglio scorso, quando Leone XIV aveva nominato come presidente dell’organismo il sessantenne parigino Thibault Verny, arcivescovo di Chambéry. Il prelato è succeduto al cardinale Seán Patrick O’Malley, per oltre un ventennio guida esemplare della diocesi di Boston, dove nel 2002 lo scandalo di abusi insabbiati era esploso a livello mondiale grazie all’inchiesta giornalistica raccontata dal film Il caso Spotlight. Poi il prelato statunitense aveva criticato a viso aperto il grave errore di valutazione commesso da papa Francesco nel 2018 in Cile su abusi e insabbiamenti – che hanno finito per travolgere gran parte dell’episcopato cileno – e il pontefice aveva dovuto fare marcia indietro. Abusi sessuali del clero, nella chiesa italiana «troppe resistenze» Il caso francese Appena nominato, Verny, già presidente in Francia del Consiglio per la prevenzione e la lotta contro la pedofilia, in un’intervista con i media vaticani, aveva spiegato la sua nomina anche come riconoscimento di quanto la Conferenza episcopale francese ha fatto con coraggio costituendo nel 2016 la Ciase, la Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella chiesa. Presieduto dal laico cattolico Jean-Marc Sauvé, già vicepresidente del Consiglio di stato, nel 2021 l’organismo era arrivato a un rapporto finale che aveva suscitato enorme scalpore perché vi s’ipotizzava una stima, in settant’anni, di oltre duecentomila vittime (o sopravvissuti, come molti preferiscono essere chiamati). Sauvé aveva riconosciuto, parlando con il quotidiano cattolico La Croix, che ogni istituzione «pensa innanzi tutto alla propria protezione». Per questo il rapporto – ricordava con amarezza – era stato contestato da «una parte della chiesa», mentre «un’udienza della Ciase fissata con il papa è stata rinviata e mai riprogrammata». Proprio in questo contesto il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, si era affrettato a esprimere riserve sui risultati del rapporto francese. Dialogo sugli abusi: l’obbedienza è un problema morale L’eccezione italiana Sull’eccezione italiana anche il gesuita Hans Zollner, riconosciuto esperto della questione, aveva più volte espresso riserve e critiche. «Incapacità e inadeguatezza dimostrate davanti a questo grave scandalo nel passato» sono state raccontate nel 2022 da Lucetta Scaraffia e da altre sei autrici nel libro Agnus Dei (Solferino) sugli abusi sessuali del clero in Italia sulla base della documentazione disponibile dal 2010 sul sito dell’associazione Rete L’Abuso, fondata e diretta da una vittima, Francesco Zanardi. Così la nomina da parte del nuovo pontefice di un esponente della chiesa francese – pioniera nell’affrontare la questione nonostante nuovi incidenti nelle diocesi di Tolosa, Strasburgo, Marsiglia (dov’è stato coinvolto il cardinale Jean-Marc Aveline) – è apparsa come un segnale inequivocabile. La questione è ovviamente cruciale per la credibilità della chiesa cattolica. La dimensione del fenomeno è mondiale e le sue radici vanno rintracciate in una storia complessa, incrociandosi con l’evoluzione dottrinale del cristianesimo, che è ovviamente inseparabile dai contesti sociali. Il punto è «il nodo della sessualità come sopraffazione», perché nel cattolicesimo il peccato – ha scritto ancora Scaraffia nel suo breve e originale Atti impuri (Laterza) – viene «sempre considerato comunque trasgressione del sesto comandamento e mai atto contro un’altra persona». Dal caso Rupnik al cardinale Cipriani, Leone XIV di fronte alla crisi degli abusi Il caso Rupnik Accanto agli abusi sui minori vi è il fenomeno degli innumerevoli abusi perpetrati a danno di donne religiose. Da decenni denunciato a intermittenza e negli ultimi anni, lo scandalo è deflagrato nell’affare vergognoso del mosaicista Marko Rupnik, scomunicato ma perdonato in circostanze oscure, espulso dai gesuiti e incardinato in una diocesi slovena. Anche qui vi è stato un recentissimo scostamento rispetto alle ambiguità e alle incertezze dimostrate da Bergoglio perché il 9 ottobre sono finalmente stati nominati i cinque giudici del tribunale che giudicherà Rupnik. Sono «donne e chierici che non fanno parte del Dicastero per la dottrina della fede e non hanno alcun ufficio presso i dicasteri della curia romana» si legge in un comunicato dell’antico Sant’Uffizio, competente per la causa. Lo scopo è «meglio garantire, come in ogni processo giudiziale, l’autonomia e l’indipendenza del suddetto tribunale». Del resto papa Leone ha anche una formazione giuridica in diritto canonico, e nel contrasto degli abusi è molto attento nel bilanciare fermezza ed equità procedurale. A luglio lo ha spiegato alla giornalista Elise Ann Allen nella sua prima intervista come pontefice, e il 15 ottobre è entrato in carica come prefetto del Dicastero per i vescovi un canonista preparato e schivo, il carmelitano Filippo Iannone, prima nomina curiale di peso maturata da Prevost. Questione «sistemica» Accanto all’inerzia e alla latitanza di molti cattolici in troppi paesi, tra cui appunto l’Italia, sugli abusi vi è anche stanchezza. La questione è però «sistemica», come nel 2021 hanno affermato il cardinale tedesco Reinhard Marx e il rapporto della Ciase. Affrontare gli abusi è dunque un impegno «profondamente pastorale e missionario»: per questo non deve venir meno la «vigilanza», ha dichiarato Verny sul Figaro del 18-19 ottobre in una lunga intervista con Jean-Marie Guénois, nella quale è stato toccato anche il caso Rupnik. Il nuovo presidente della Commissione per la tutela dei minori, reduce da un’accesa assemblea plenaria che l’organismo ha tenuto a Cracovia, fa notare che si è fatto tesoro delle critiche rivolte al primo rapporto annuale; così nel secondo appena pubblicato vi è largo spazio per la voce di vittime e sopravvissuti. Sulla base di «quattro pilastri: verità, giustizia, riparazione, riforma delle istituzioni». Obiettivo è incoraggiare le diocesi, le conferenze episcopali e le congregazioni religiose «ad agire in materia di prevenzione», uniche a poterlo fare. A proposito poi delle disparità tra i paesi e delle difficoltà di raccogliere dati, nella chiesa e in altri ambiti sociali, Verny ha consapevolezza dei molti ostacoli interni che hanno indotto alle dimissioni dalla Commissione di figure di spicco come l’irlandese Marie Collins e lo stesso Zollner. Ma ribadisce stima nei loro confronti, e si dimostra sempre più convinto che la lotta contro gli abusi non è una questione secondaria. Burocrazia e abusi nella chiesa. I dati dimostrano che la linea della Cei è sbagliata