Il 24 agosto 2016 nel terremoto che colpì Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo morirono 299 persone. Gli sfollati furono 41mila. Nove anni dopo sono ancora migliaia i cittadini nei prefabbricati, mentre molti cantieri devono ancora partire. Laddove invece case, scuole e servizi sono stati ripristinati, mancano i cittadini, che non hanno più fatto ritorno
Il 24 agosto 2016 il Centro Italia ha contato 299 morti e 41mila sfollati. Nove anni dopo, la domanda è una: a che punto è la ricostruzione – non solo delle case, ma della vita – nei 138 comuni del cratere tra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, e chi ne risponde. Il perimetro è chiaro: cantieri privati e pubblici, servizi essenziali, rientro stabile delle persone. Le scelte dell’esecutivo Meloni e della Regione Marche guidata da Francesco Acquaroli pesano sul ritmo dei lavori e sulla possibilità concreta di tornare ad abitare i paesi. Le statistiche parlano. L’unità di misura resta il tempo di ritorno alla normalità.
Il “cambio di passo” rivendicato dal governo coincide con la nomina di Guido Castelli a commissario (gennaio 2023): cabina di regia accentrata, ordinanze per qualificare le stazioni appaltanti, obiettivo dichiarato «anno dei cantieri» nel 2025.
A metà 2025 i contributi ai privati superano gli 11 miliardi, con erogazioni tra 5,5 e 6,1 miliardi; la ricostruzione pubblica programma oltre 3.500 interventi per circa 4,5–4,6 miliardi, ma con quota di chiusure ancora bassa e molti cantieri avviati solo nel 2025 (439 nei primi mesi, traguardo 1.200 entro fine anno). La struttura commissariale ha assorbito anche i sismi 2022–2023 senza risorse aggiuntive, mentre inflazione e adeguamenti hanno gonfiato i quadri economici: sono spiegazioni ufficiali, ma anche scelte di governo con effetti misurabili su tempi e comunità.
La situazione nei territori
Amatrice è il termometro. Il centro storico si muove dopo anni di recinzioni; il presidio “Grifoni” è a metà con consegna indicata nel 2026; il commercio continua in spazi provvisori; la Salaria resta un collo di bottiglia con interventi parziali riaperti tra 2023 e 2024 e altri ancora in corso. La fotografia sociale è netta: una quota di famiglie vive nelle Sae (Soluzioni Abitative di Emergenza) o con sostegni, gli anziani percorrono chilometri per curarsi.
Ad Accumoli la scuola nuova è un paradosso diventato simbolo: edificio finito, classi vuote per mancanza di bambini, fotografia della diaspora e della denatalità accelerata. Nel frattempo il passaggio dal Contributo di autonoma sistemazione al nuovo sussidio per disagio abitativo ha escluso fasce fragili come molti inquilini pre-sisma. La distanza tra inaugurazioni e servizi resta la misura del ritardo.
Sul versante umbro i numeri sono più solidi: ricostruzione “leggera” al 92% e “pesante” all’80%, oltre 3.500 progetti autorizzati con 2.000 cantieri chiusi. È una capacità amministrativa che accorcia i tempi. Il campanello d’allarme arriva dal lavoro e dai servizi: i sindacati avvertono che «le case ricostruite rischiano di restare vuote» se non si garantiscono occupazione, trasporti affidabili e presidi di prossimità. La velocità edilizia produce edifici; la qualità del rientro si misura sulla presenza di ambulatori, scuole e collegamenti. Solo qui si giudica la coerenza dell’indirizzo nazionale: sincronizzare opere e vita.
La distanza tra parole e fatti
In Piceno la responsabilità politica è frontale. La giunta Acquaroli ha fatto della ricostruzione un perno identitario, con ordinanze speciali sulle scuole e proroghe al 31 dicembre 2025, “acconti” per rincari e una narrativa sulla ripartenza in vista delle prossime elezioni regionali. Il privato ha ripreso slancio dopo la stretta sul Superbonus, ma la parte pubblica si è sbloccata tardi e a strappi: alcune scuole concluse, molte opere ancora da avviare. Arquata del Tronto è evocata come laboratorio di rigenerazione, ma centinaia di famiglie vivono nelle casette e i servizi arrancano; il turismo ha perso giri, i collegamenti interni restano fragili. A poche settimane dal voto regionale, la prova non è nei comunicati: è nella coincidenza tra cronoprogrammi e apertura reale di scuole, ambulatori, strade.
I numeri del Commissario dicono che la programmazione pubblica supera i 3.500 interventi e che il 2025 è l’anno di molte aperture; sulla mappa sociale restano «circa 10mila nuclei familiari, poco più di 20mila persone» in attesa di una sistemazione definitiva, con 2.690 Sae ancora occupate. Il presidio di legalità nei cantieri – monitoraggi Anac su migliaia di procedure senza evidenze rilevanti – è un punto di forza; la trasparenza, però, non sostituisce la continuità dei servizi. Se il rientro si ferma al weekend, la ricostruzione edilizia genera luoghi senza abitanti. È compito della politica colmare la distanza tra il conto dei Sal (stato di avanzamento lavori) e l’agibilità della vita quotidiana.
Le elezioni di autunno
La retorica dell’eredità spiega poco. All’esecutivo Meloni spetta tenere insieme spinta contabile e agenda sociale, misurabile su sanità territoriale, scuola, mobilità e lavoro; alle Regioni spetta trasformare proroghe e ordinanze in servizi funzionanti. Nel Reatino l’ospedale è atteso nel 2026; in Piceno troppe opere restano sulla carta; in Umbria c’è il rischio di case finite e paesi vuoti nei giorni feriali. Tre cartine di tornasole, un solo messaggio: la responsabilità è di chi oggi governa e decide priorità, verifiche, tempi.
Ma le percentuali valgono quando coincidono con la vita delle persone. La prova sta nel rientro stabile: bambini in classe in montagna, ambulatori a distanza ragionevole, negozi che riaprono nei centri storici. La politica ha scelto di misurarsi sui numeri; i territori chiedono tempi e responsabilità. Se l’autunno porterà promesse, anche per le elezioni regionali marchigiane, l’Appennino giudicherà con due domande semplici: chi ha accorciato le distanze dai servizi, chi ha trasformato un cantiere in comunità. Solo qui si capisce chi governa davvero il ritorno alla vita.
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